DICIAMOCI LA VERITA’

 

 

 Pensieri errati rispetto alla rabbia

 

Molti cristiani cercano di lottare contro la rabbia (ira) come se si trattasse di un semplice problema morale.

“L’ira è un peccato, non bisogna adirarsi!”, dirà qualcuno. “Devi far scomparire l’ira dalla tua vita e sarai felice”, dice il moralista. L’ira, però, non scompare così facilmente perché è parte della natura umana.

C’è differenza tra essere adirato e manifestare ira contro qualcuno. C’è differenza tra essere severo ed agire con aggressività. C’è differenza tra dire la verità con onestà e dirla in modo che ferisca.

 

Maria credeva di avere tutto il diritto di essere adirata col marito, Luigi, perché si negava a cambiare il suo atteggiamento. Stava rovinandosi la salute sia fisica che emozionale.

Entrambi avevano certe aspettative l’uno dall’altra e ritenevano anche di avere il diritto di esigerne il compimento da parte del partner.

 

Maria diceva a se stessa:

- E’ offensivo e insopportabile essere trattata ingiustamente dal proprio marito.

- Ho il diritto di esigere che mio marito tratti me e i bambini con amore, tenerezza, considerazione e bontà.                        

- Dato che Luigi è mio marito, mi deve amare. Dovrebbe comportarsi nel modo che la Bibbia prescrive ai mariti, e cioè di amare la moglie così come Cristo ama la Chiesa.

- E’ orribile che mio marito mi critichi e mi paragoni negativamente con altre donne. Questo comportamento è spaventoso e del tutto insopportabile.

 

Maria consultò uno psicologo cristiano, ed ecco il dialogo che ne seguì:

“Quando ti sei sposata speravi che tuo marito fosse buono, pieno di considerazione e affetto, ma non avevi avuto da Dio alcuna garanzia che il tuo consorte avrebbe corrisposto alle tue aspettative.”

“E perché no? Io ho delle attenzioni nei suoi confronti, considero i suoi sentimenti, non lo critico mai, anzi gli offro il mio sostegno, e sono carina con lui. Perché lui non dovrebbe trattarmi nella stessa maniera?”

“Non so perché Luigi non si comporti così, però so che non sei riuscita a cambiarlo.”

“Io però non lo sopporto più.”

“Maria, raramente la gente fa quello che dovrebbe fare, semplicemente perché altri così desiderano. Raramente un marito o una moglie diventano costantemente buoni e pieni d’amore solo perché il coniuge spera che così diventi.”

 

Anche se non vogliamo giustificare la condotta di Luigi, Maria doveva vedere la differenza tra ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che era. Non è difficile osservare intorno a noi la disparità tra ciò che dovrebbe succedere e ciò che realmente succede. Viviamo in un mondo di peccato e sulla terra non c’è giusto, neppure uno…

Molte persone, però, passano la vita soffrendo dolori di testa, ulcere e pressione alta per il fatto che gli altri non sono perfetti. Confondono ciò che dovrebbe essere con ciò che realmente è, e ogni volta che un’altra persona li tratta ingiustamente dicono a se stessi che hanno tutto il diritto di adirarsi e di rimanere in questo stato.

 

“Maria, che senso ha dirsi continuamente ciò che Luigi dovrebbe essere? Se tanti anni di preoccupazioni per i suoi difetti non hanno cambiato le cose e hai ottenuto soltanto di sentirti infelice, non sarebbe meglio che incominciassi a dirti la verità?”

“Quale verità?”

“Che non importa ciò che Luigi dovrebbe essere o come tu vorresti che trattasse te e i bambini. Il fatto è che il suo modo di agire nei confronti tuoi e dei bambini tu lo consideri ingiusto e deplorevole. Invece di dirti continuamente quanto disastrosa e insopportabile è la tua vita, puoi decidere adesso di non lasciarti più rendere infelice dal suo comportamento.”

“Ma tratta tutti gli altri molto meglio di quanto tratti me. Che decisione dovrei prendere!”

“Supponi di smettere di dirti continuamente quanto è terribile il fatto che tuo marito non ti tratti nel modo che tu vorresti facesse. Supponi di dire a te stessa che anche se lui non è come vorresti che fosse e anche se la situazione è veramente sgradevole, non ha senso che ti preoccupi per qualcosa che non hai potuto cambiare.”

 

La gente riesce a vivere abbastanza bene malgrado si verifichino situazioni poco gradevoli. Quasi nessuno, poi, nella vita ottiene le cose che avrebbe voluto avere.

Ecco i pensieri corretti che Maria imparò a formulare nei confronti del marito:

- Luigi è lo sposo che Dio mi ha dato. Anche se avrei preferito che fosse diverso, posso vivere con lui senza dover stare continuamente in aspettativa di cose che comunque non si realizzeranno mai.

- Sarebbe molto bello se cambiasse, ma questo non è essenziale per la mia felicità personale.

- Posso vivere una vita piena e soddisfacente anche se Luigi non mi tratta come io vorrei che facesse. La mia vita può essere piena e gioiosa anche se lui non cambierà mai.

- Non sto buttando via la mia vita. Credo che Dio possa operare nel cuore di mio marito e farlo diventare la persona che Lui vuole che sia. Credo anche che stia operando nel mio cuore per farmi diventare quella persona che Lui vuole che io sia.

 

Maria affrontò la realtà e scoprì che il comportamento del marito non era poi così terribile, anche se poco piacevole.

Se il comportamento di Luigi nei suoi confronti non era motivo di allegria, poteva comunque trovare altre attività e occupazioni valide e significative che potevano produrre soddisfazione nella sua vita.

Maria incominciò a cercare le buone qualità del marito e ad apprezzare certe sue cose che prima non aveva mai notato. Come risultato di questo cambio nella sua condotta, Luigi incominciò a trovare piacere nella compagnia della moglie.

Per molti anni aveva percepito la sua disperazione e se ne difendeva con attacchi di critica. Quando Maria smise di agire in modo condannatorio nei suoi confronti, questi ridusse spontaneamente le sue critiche e il suo atteggiamento da marito che non considera la moglie.

 

 

 

Altre considerazioni rispetto alla rabbia

 

Pensieri sbagliati:

- La rabbia è una cosa cattiva. Se sono cristiano non devo mai adirarmi.

- La rabbia porta sempre a gridare e a gettare le cose per terra o qualsiasi altra cosa che aiuti a calmare le emozioni.

- Se mi arrabbio è sempre meglio soffocare questo sentimento che manifestarlo.

- Ho tutto il diritto di arrabbiarmi quando un’altra persona non soddisfa le mie aspettative. Non posso fare altro che restare arrabbiato finché le cose non cambiano.

- E’ provocatorio e insopportabile che altri facciano delle cose che non mi piacciono o che non mi trattino come vorrei che facessero.

 

Pensieri corretti:

- La rabbia non è sempre cattiva.

Il sentimento di rabbia in sé non è sempre dannoso e offensivo. Lo stesso Gesù si adirò. E’ quello che facciamo da adirati che ha un significato morale. Non bisogna poi permettere che la rabbia ci domini per lungo tempo (Efesini 4:26) con pensieri distruttivi e offensivi.

- A volte è meglio esprimere la rabbia.

In certe occasioni la rabbia deve essere espressa, vedi Gesù con i mercanti nel tempio. In Matteo 18:15-17 ci viene insegnato come affrontare le situazioni che ci producono rabbia: “Se tuo fratello ha peccato contro te, va’ e riprendilo…” Non ci viene detto di incominciare a gridare, o a perseguitarlo, o a gettare a terra le cose, o a sbattere la porta con violenza affinché si renda conto del peccato commesso. Ci vien detto di dirlo apertamente. 

- Adirarsi non implica gridare, gettare cose a terra o manifestare una qualsiasi condotta violenta.

Se si lascia spazio all’aggressività, questa aumenta e non diminuisce. La rabbia è una condotta ed è la risposta della mente e del corpo ad un certo stimolo. Eliminando lo stimolo, cessa la risposta, cioè la rabbia.

Non ripetendoci più il modo ingiusto in cui siamo stati trattati, riduciamo la rabbia che ne consegue.

La Parola di Dio non ci chiede di reprimere la rabbia, ma di dominarla. A volte è salutare e nello stesso tempo una manifestazione d’amore dire: “In questo momento sono molto arrabbiato. Mi piacerebbe che affrontassimo questa situazione, perché sento che anche tu ne fai parte”.

- Non ho il diritto di arrabbiarmi quando un’altra persona non risponde alle mie aspettative.

Posso scegliere se continuare arrabbiato oppure no. Non c’è nessuna relazione tra la condotta di un’altra persona e la nostra rabbia. Non importa quanto ingiusta, disattenta, o quanta poca considerazione abbia mostrato nei nostri confronti, noi ci arrabbiamo a causa delle cose che diciamo a noi stessi (non è giusto che mi trattino così, vorrei che fosse più gentile, ecc…).

E’ inutile chiedere a Dio di essere cambiati, se noi non siamo pronti a cambiare il modo di pensare. E’ sgradevole che una persona ti tratti in un certo modo, ma non è una cosa così spaventosa e terribile.

- Non è terribile, né strano, che altre persone facciano cose che non mi piacciono o che mi trattino male, anche se io mi comporto da gentiluomo con loro.

 

Sarebbe bello che tutti fossero carini, affettuosi e pieni di attenzioni nei nostri confronti, ma la Bibbia ci avverte che troveremo comportamenti peccaminosi nella gente.

Ai nati di nuovo Dio dice di essere perfetti come Lui è perfetto, e non di cercare di rendere perfetti i nostri simili. La perfezione di Dio comprende il suo perfetto perdono e pazienza.

Se ci dedichiamo a meditare nelle caratteristiche negative degli altri, ci troveremmo sempre intenti a criticare e ad avere motivi di scontentezza Tutti presentano degli aspetti che non ci piacciono e in tutti vorremmo poter cambiare qualche cosa.

Anche noi non ci conduciamo in modo perfetto con gli altri, però Dio ci ama malgrado tutto. E se Dio accetta le persone che ci circondano, dobbiamo farlo anche noi.

 

Il semplice sentimento passeggero dell’ira è normale. Quando diventa rabbia o produce amarezza acquista una forma peccaminosa (Efesini 4:26,31 / Giacomo 1:19-20).

L’ira non è sempre peccato, come ci dimostra Gesù (Marco 3:5 / 11:15-17).

Un modo sbagliato di interpretare la rabbia è quello di non rivolgere la parola ad una persona, mettere in mostra i suoi difetti o criticarla e umiliarla. La rabbia manifestata in modo violento è altamente distruttiva.

 

 

 

Quando altri si arrabbiano con me

 

Ecco alcuni suggerimenti per affrontare la rabbia di altri:

- Non ti perturbare ogni volta che qualcuno si arrabbia con te. Non è un disastro! Affronta la realtà.

- Non cercare di essere diverso solamente per evitare che altri si arrabbino con te, perché lo faranno comunque e se ciò avverrà, sarà un loro problema e non il tuo.

- Fa’ attenzione a non dare spazio agli attacchi di rabbia degli altri. Ignorali quando ti gridano contro, ma presta attenzione quando ti parlano in forma ragionevole.

- Non lasciarti intimidire. Chiedi che si rivolgano a te in modo ragionevole.

- Sii cortese e affettuoso. Il fatto che uno sia arrabbiato con te non significa che anche tu debba fare altrettanto. Di’ frasi come queste: “Mi dispiace che ti senti male. Posso fare qualcosa per aiutarti?”

- Ammetti le accuse quando hanno un fondo di verità. Non mentire per difenderti. Non sei obbligato a comportarti nel modo perfetto.

- Permetti ad altri di essere arrabbiati con te e non sentirti offeso quando ciò succede. Se insisti nel pretendere che tutti ti rispettino come tu fossi il Signor Perfetto che non fa mai errori, ti sentirai molto deluso.

 

A volte la rabbia che qualcuno ti manifesta non ha niente a che fare con te. Forse sei soltanto l’occasione per lo sfogo della frustrazione e infelicità di quella persona. Non sentire riferita a te ogni parola che ti viene detta.

 

 

 

La rabbia e la preghiera

 

In vece di presentare a dio tutte le nostre lamentele e i punti in dettaglio su cui non siamo d’accordo, diciamogli: “Signore, so che nulla mi è impossibile e così accetterò questa realtà nel tuo nome. Tu dici che basta un granello di senape di fede per muovere montagne e io lo voglio credere. Credo che Tu puoi cambiarmi, così come puoi cambiare le circostanze. Credo che puoi trasformare questa situazione da insopportabile in tollerabile”.

 

Alcune montagne richiedono tempo per muoversi, forse degli anni. E’ sbagliato pensare che Dio debba rispondere subito per evitare che tutto diventi terribile e spaventoso. Ciò può portarci ad arrabbiarci con Dio e ad accusarlo di non preoccuparsi per noi.

 

 

 

Risposta alla frustrazione e alla rabbia

 

La contrarietà è un sentimento umano inevitabile. E’ la condizione di desiderare qualcosa e non poterlo ottenere. La frustrazione ha luogo quando i nostri obiettivi o desideri sono bloccati. Può anche essere il risultato di una situazione opposta: quando non vogliamo qualcosa e veniamo forzati ad accettarlo o a farlo.

La contrarietà è in relazione anche con le nostre aspettative. Quando compiamo un gesto amorevole verso qualcuno ci aspettiamo che venga riconosciuto e corrisposto. Se questa nostra aspettativa non viene soddisfatta ci sentiamo invasi dalla delusione e dalla rabbia.

 

E’ opinione diffusa che le contrarietà sconvolgono la persona. Questo non è vero! Se la situazione di contrarietà è già messa in preventivo è possibile evitare una reazione rabbiosa.

Le contrarietà non sono generalmente dei terremoti, ma possono essere tollerate abbastanza bene se uno lo vuole. Un modo per risolverle è accettarle come inevitabili. Sono parte della vita, non sorprendiamoci quando si verificano.

Possiamo scegliere di vedere la contrarietà come una catastrofe o come un’opportunità di crescita (Giacomo 1:2-3,12 / 1 Pietro 1:6-7).

 

Le contrarietà si verificano nell’area dei desideri, delle ambizioni, delle speranze, degli appetiti e degli istinti. Quando ci sentiamo contrariati dobbiamo considerare la causa della nostra contrarietà.

Possiamo venir contrariati dalla persona che più odiamo o da quella che più amiamo. Anche le leggi della natura possono contrariarci (prenotare un’ora di tennis dopo un mese di duro lavoro e quel giorno piove).  I nostri stessi valori di vita o sistema morale possono crearci un senso di frustrazione: “Se non fossi cristiano…”

Per le nostre contrarietà possiamo a volte dar la colpa allo stesso Dio per non concederci quello che pensiamo di meritare e per le troppe limitazioni a cui dobbiamo assoggettarci nel seguire la sua Parola.

 

I desideri sono naturali, tutti ne abbiamo. Ci fissiamo delle mete e ci proponiamo di raggiungerle. Dobbiamo però distinguere tra “voglio questa cosa” e “ho bisogno di questo”.  Se qualcuno o qualcosa si interpone in questo mio desiderio sorge naturale la rabbia.

Dobbiamo dirci: “Voglio questa cosa, ma se non potrò ottenerla mi adatterò e cercherò un’alternativa”. Imparare a vivere senza una certa cosa, alla fine, può portarci ad un livello di soddisfazione superiore nella nostra vita. Questo non significa che dobbiamo rinunciare senza sforzo alle cose che desideriamo. Dobbiamo però impedire che la loro mancata acquisizione ci sconvolga e ci porti ad esprimere rabbia.

 

Dobbiamo far sapere agli altri quali sono le nostre aspettative, perché anche loro ne siano informati. Se una moglie (madre) dice al marito e ai figli che si aspetta che la aiutino, è probabile che lo facciano. A volte sentono un senso di gratitudine nei suoi confronti, però non lo manifestano in quell’area perché non sospettano che lei lo desideri.

Se non otteniamo le risposte desiderate dobbiamo imparare ad adattarci. Importante è in ogni caso comunicare le nostre aspettative.

 

 

 

Il sentimento della rabbia

 

La rabbia è un sentimento intenso di contrarietà che si esprime in varie maniere.

La furia è distruttiva; la rabbia è più che altro un sentimento; la collera cerca vendetta e castigo; il risentimento è rabbia repressa con un sentimento latente di ingiustizia o di offesa; l’indignazione è quel sentimento che sorge nel vedere trattare qualcuno malamente senza motivo.

La Scrittura ci fa presente che la rabbia può essere parte della vita, ma nello stesso tempo ci avverte che alcune sue forme non sono sane e che devono, quindi, venir eliminate.

La rabbia può indurci anche ad ergerci contro le ingiustizie della vita, e allora è benvenuta. Però può portarci a odiare, ferire, disprezzare, distruggere, ridicolizzare, criticare e rimproverare aspramente: queste sono forme chiaramente negative.

 

Una delle ragioni principali per non arrabbiarsi è che in realtà la rabbia impedisce alla persona di risolvere i problemi. La rabbia, infatti, non è la soluzione alla contrarietà, ma una reazione della stessa.

Quando si presenta un problema bisogna considerarlo, parlarne con l’altra persona, cercare di trovare una soluzione e non esplodere. Se, per esempio, il problema sono le condizioni di lavoro diventate intollerabili, bisognerà cercarsene un altro. Arrabbiarsi non porterà nessun miglioramento.

Un modo per risolvere la rabbia è cercare la sua origine, la contrarietà da cui procede. Eliminando la contrarietà, cioè risolvendola, scomparirà la rabbia.

L’energia prodotta dalla rabbia bisogna canalizzarla perché non distrugga o ferisca, ma sia usata più saggiamente per vedere di eliminare la contrarietà.

Se la contrarietà che ha originato la rabbia non può essere eliminata, bisogna imparare ad accettare realtà sostitutive da cui si potrà anche ricavare soddisfazione maggiore.

La rabbia in genere è accompagnata da pensieri di vendetta, di rivincita, cioè da un’attitudine negativa nei confronti dell’altra persona.

 

Di fronte ad una persona arrabbiata dobbiamo reagire con dolcezza per non peggiorare le cose (Proverbi 15:1). La dolcezza può anche evitare scatti di rabbia in chi ancora non è adirato. Gridare con il figlio perché non ha sistemato bene la sua stanza non gli insegnerà a farlo meglio (Proverbi 22:24-25 ; 29:22 / Colossesi 3:21 / Efesini 6:4).

La rabbia, sia espressa che repressa, ha ripercussioni negative sul corpo (pressione arteriosa alta, battito cardiaco veloce, tensione muscolare, stomaco contratto, alterate caratteristiche chimiche del sangue, rischio di emorragie).

 

La rabbia ha anche un suo aspetto costruttivo. Lo stesso Gesù si arrabbiò in alcune occasioni, ma per certo non peccò (Marco 3:1-5 ; 10:13-14 / Matteo 21:12-13 ; 23:13-36 ; 17:14-17). L’indignazione contro il peccato e il maligno ci porterà ad agire in difesa della giustizia e della santità (1 Corinzi 5:1-2 / 2 Corinzi 7:11).

La giusta indignazione presenta tre caratteristiche:

 

1) Deve essere controllata

Anche quando la causa della rabbia è legittima ed è diretta contro l’ingiustizia, se non è controllata può causare errori di giudizio e aumentare le difficoltà (Giacomo 1:19 / Proverbi 14:17,29). La ragione deve controllare i sentimenti.

 

2) Non deve essere mossa da odio, malizia o risentimento

La rabbia che medita un contrattacco complica solamente la situazione (1 Pietro 2:23 / Romani 12:19 / Proverbi 30:33).

 

3) Non è sospinta dall’egoismo          

Quando le motivazioni sono egoiste, implicano orgoglio e risentimento. La rabbia non deve dirigersi all’ingiustizia subita, ma all’ingiustizia perpetrata contro altri.

La rabbia generalmente procede dal desiderio di difendersi o di forzare altri a fare ciò che noi desideriamo. La rabbia non deve mai avere forma di violenza o di attacco (Luca 15:28).

 

 

La rabbia può essere Repressa, Soppressa, Espressa e Confessata.

A) Repressa

Cioè fare come se la rabbia non ci fosse. Non è però un atteggiamento salutare. L’energia prodotta dalla rabbia non può essere distrutta e deve trovare altri sfoghi. Spesso produce incidenti in cui vengono implicati altri del tutto estranei al problema. La rabbia repressa produce disturbi fisici, come dolori di testa, nausea, vomito, ulcere, stitichezza o diarrea, coliti, prurito, infiammazioni della pelle, asma, trombosi coronarica, attacchi cardiaci.

Nelle malattie di cuore il controllo delle emozioni è più importante del livello di colesterolo. Le persone amareggiate hanno un livello di colesterolo più elevato degli altri: le emozioni più che la dieta lo innalzano.

 

La rabbia repressa può trasformarsi anche in depressione, in ogni caso crea rigidità e freddezza nella personalità. Il sentimento di ostilità chiuso a forza nelle parti più recondite del subcosciente trova sbocchi in altri problemi: depressione, ansietà e completo collasso mentale.

Può esprimersi anche come irritabilità e atteggiamento critico. Si pensa di risolvere il problema dei residui tossici sotterrandoli, però così vengono

contaminate le falde acquifere e quel veleno ritorna in ciclo per altre vie.

La rabbia è un’emozione che deve essere riconosciuta e accettata. Quando reprimiamo o sopprimiamo la rabbia non stiamo risolvendo il problema, ma lo stiamo sotterrando, sotterrandolo vivo però. Accettando la rabbia possiamo imparare ad usarla e a risolverla.

 

B) Soppressa

La persona che sceglie questo metodo si rende conto della sua rabbia, ma non vuole farla trasparire all’esterno. In alcune situazioni ciò può essere salutare e prudente, ma alla fine dovrà essere riconosciuta e drenata in un modo sano, altrimenti il nostro serbatoio finirà per scoppiare nel luogo e nel tempo meno opportuni.

Con frequenza una persona decide di sopprimere la sua rabbia, quando l’oggetto del suo sentimento può reagire con più forza o più autorità. In questo caso la rabbia si può scaricare su qualcuno che non rappresenta una minaccia. Può aiutarci al momento, ma produce in genere una reazione a catena.

   

Il sentimento di colpa è un altro modo per sopprimere la rabbia. Un sentimento negativo verso la madre, considerato improprio, trova sfogo su altre persone della stessa età della madre.

Si può anche accusare un altro per evitare la rabbia che uno sente contro se stesso (sbaglio strada e accuso la moglie perché non me lo ha fatto notare prima).

 

Poniamoci queste domande: “E’ la causa della rabbia ragionevole? Procede da una contrarietà? E’ una forma di manifestare desideri inespressi?

Bisogna trattare il problema direttamente, andare dalle persone contro cui è sorto in noi un sentimento di rabbia.

Se la causa della rabbia non è legittima, allora il problema siamo noi. Se mi arrabbio perché mia moglie non cucina come mia madre, devo rendermi conto che non lo fa semplicemente perché non è mia madre. Con l’esperienza imparerà.

 

Come è possibile risolvere i sentimenti negativi senza ferire l’offensore? C’è un modo sano per scaricare le emozioni rinchiuse nel subcosciente? Sì.

- Mettendo la nostra irritazione in preghiera davanti al Signore.

- Spiegando i nostri sentimenti negativi ad una terza persona comprensiva che possa darci buoni consigli e guidarci.

- Mostrando spirito d’amore e perdono verso l’offensore.

- Comprendendo che Dio permette, a volte, avvenimenti che ci possono contrariare per insegnarci ad essere pazienti e aiutarci a crescere.

- Comprendendo che nessuna offesa causata da un’altra persona può essere equivalente alla nostra colpa davanti a Dio che ci ha usato misericordia.

 

Sopprimere la rabbia ha in sé qualche merito, specialmente se aiuta a star tranquillo, calmo e ad agire in modo razionale. La Scrittura ci dice qualcosa al riguardo nei seguenti versetti: Proverbi 14:29 ; 15:1,18 ; 16:32 ; 19:11 ; 22:24 ; 29:11 / Nehemia 5:6-7 / Geremia 1:19.

 

L’individuo che pratica l’autocontrollo troverà che il livello della sua rabbia andrà decrescendo. Non proverà la collera che sperimenterebbe se si abbandonasse alla prima reazione di rabbia che esce dal suo cuore. La considerazione tranquilla della causa della rabbia e delle sue conseguenze lo aiuterà a risolvere la situazione in modo appropriato.

 

C) Espressa

Ci sono molti modi per esprimere la rabbia. Uno è reagire con violenza, gridando e maledicendo, il tutto sotto l’influsso di una emozione molto forte. Reagendo così anche l’altro può fare esattamente la stessa cosa.

Un altro modo meno distruttivo potrebbe essere quello di fare un giro in bicicletta, o di scavare in giardino, o di prendere a pugni il cuscino, o di scrivere una lettera con i motivi di scontento (senza però spedirla).

 

D) Confessata

Questo è il miglior metodo, specialmente se combinato con un uso intelligente della soppressione e autocontrollo. Confessare a Dio e alla persona con cui si è adirati, usando parole simili a queste: “Il modo come si sta sviluppando questa discussione mi innervosisce. E’ meglio forse interrompere e riprendere in un altro momento”.

E’ difficile parlare con serenità su un problema quando si è arrabbiati. L’ammissione della rabbia può aiutare a scaricare il sentimento e a far giungere il messaggio all’altra persona in un modo accettabile.

Non è necessario essere arrabbiati per ottenere che gli altri intendano il nostro punto di vista. Ecco alcune tecniche per evitare esplosioni di rabbia:

- Esprimi il problema appena ti è possibile. Aspettare può produrre risentimento e amarezza.

- Comunica il tuo problema o preoccupazione in privato per non creare imbarazzo.

- Metti in rilievo gli aspetti positivi della relazione con l’altra persona prima di esprimere la tua lamentela.

- Parliamo in prima persona e non diciamo: “Tu hai detto, tu hai fatto”. Ciò può essere visto come un’accusa con conseguente autodifesa. In questo modo l’altro non ascolta più perché pensa a contrattaccare.

- Metti l’accento sulle cose che ti preoccupano e non fare supposizioni sulle motivazioni dell’altro, sfuggono al nostro autocontrollo.

- Fare paragoni tra l’atteggiamento di questa persona e un’altra aiuta molto poco nel problema attuale.

- Dimentica il passato. Parla del presente e di quello che ti sta capitando adesso.

- Presenta una sola lamentela. L’altro se no potrebbe sentirsi travolto e tendere alla chiusura.

- Assicurati di suggerire in un modo tranquillo soluzioni giudiziose, possibili e realistiche da poter mettere in pratica.

- Assicurati che l’altro ti comunichi i suoi sentimenti e idee riguardo al problema su cui state discutendo. Se risponde con rabbia, non è motivo per fare altrettanto.

 

 

 

Come agire quando qualcuno è adirato o critico nei nostri confronti:

 

- Se qualcuno ti critica, prestagli attenzione. Solo per questo è possibile che la sua irritazione si riduca.

- Ascolta questa persona (Proverbi 18:23). Cerca di vedere al di dietro delle sue parole, forse non sei tu l’oggetto della sua aggressività.

- Accetta la sua critica, forse ha ragione. Se esagera, non cercare di correggerla all’istante.

- Non accusare la persona di ipersensibilità o di irrazionalità, non è il modo per risolvere il problema.

- Non cercare di deviare dal tema. Non ridere della critica che ti viene rivolta, perché l’altro sta dicendo cose per lui (lei) importanti.

- Mantieniti aperto alla critica e considera la sua validità prima di rispondere. Potrebbe avere un fondamento di verità e rappresentare per te un’opportunità di crescita. Potresti addirittura ringraziare l’altro, perché ti ha fatto notare un certo particolare (Proverbi 13:18 ; 23:12 ; 25:12 ; 28:13).

- Dopo che l’altro ha terminato di presentare la sua lamentela, chiedigli un’opportunità per rispondergli. Ripeti la sostanza del suo intervento per vedere se hai capito bene e poi digli quello che pensi. Ammetti se l’altro ha ragione.

Se invece pensi che si sbagli, puoi difenderti, però attento al tuo modo di esprimerti. La critica può essere in parte buona e in parte senza fondamento, tu accetta quella corretta e presenta il tuo punto di vista sull’altra.

 

 

 

Il messaggio della rabbia

 

Dietro la rabbia ci può essere: timore, repulsione, aspettative, contrarietà, esigenze velate.

Una definizione plausibile: “L’ostilità ha le sue radici in una relazione d’amore che è trattenuta o negata”. L’unica cura è riempire questo vuoto con amore, l’amore di Dio espresso in Cristo Gesù.

Per alcuni la rabbia è come una tigre silenziosa pronta a lanciarsi sulla sua vittima. Non fargli caso, negarne la presenza o cercare di cacciarla non serve a niente.

 

 

 

Passi per dominare la rabbia

 

- Descrivi la condotta o atteggiamento che vuoi cambiare (rabbia, litigi, gridare…)

- Fa’ una lista di ragioni personali per liberarti da questa condotta o atteggiamento.

- Scegli la ragione più importante per liberarti da questa condotta. Segnala.

- Incomincia a pensare come potresti cambiare la tua condotta. Scrivi queste idee.

- Adotta un’attitudine positiva. Qual è stata la tua attitudine fino ad ora riguardo a questo cambio da effettuare?

- Eliminando un atteggiamento che non ci piace si crea sempre un vuoto. A volte si preferisce il vecchio modo di essere a questo vuoto, e così si ritorna indietro. Per impedire che ciò accada devi sostituire questa condotta negativa con una positiva.

- Leggi le Scritture che si riferiscono a questa area. Fa’ una lista delle attitudini positive che questi passaggi suggeriscono in contrasto con quelle negative.

Scrivi come farai per rendere pratici questi suggerimenti. Valuta le conseguenze che ne deriveranno da questo nuovo modo di pensare (Efesini 4:31-32).

 

 

 

 

 Pensieri errati rispetto all’ansia

 

Susanna sta lavando i piatti in cucina su ordine della madre quando improvvisamente le cade un bicchiere e si rompe. Sa che questo suo errore le procurerà un castigo.

In occasioni simili la madre fa tre cose: grida, la insulta e la picchia. Susanna trema di paura e il cuore incomincia a batterle forte. Entra la madre e succede quello che Susanna prevedeva.

Il giorno dopo la madre chiede ancora alla figlia di lavare i piatti, ma Susanna cerca una scusa pere evitare di farlo (deve andare in bagno, ha mal di pancia, ecc…).

Il rischio di rompere qualche altra cosa la rende tesa, perché la reazione della mamma la farebbe soffrire. L’ansia la porterà più facilmente a rompere qualcosa e il conseguente comportamento della madre lo porterà a minare il suo concetto di stima propria.

Susanna va a pattinare, ma ha difficoltà a mantenere l’equilibrio. Gli amici la scherzano e la mettono in ridicolo. Il padre la chiama pigra e la madre grida ogni volta che non si comporta come lei vorrebbe. L’ansia aumenta. Per difendersene Susanna assume il tipo comportamento dei neurotici: evita le situazioni che la rendono ansiosa. Lentamente si isola.

 

La gente che soffre di ansia dice a se stessa: “Se quello che temo dovesse succedere per me sarebbe la fine, sarebbe spaventoso”.

Ecco un elenco di situazioni valutate come terribili dalla persona ansiosa:

- La gente può trovarmi sgradevole.

- E’ probabile che non soddisfi le aspettative della gente.

- E’ probabile che la gente mi rifiuti.

- E’ probabile che mi sbagli.

- Forse dirò o farò qualcosa di stupido.

- Se raggiungo la felicità, è probabile che la perda.

- Anche se ottengo il loro amore, è probabile che lo perda.

- Forse non ho quel bell’aspetto che hanno gli altri.

- La gente può disapprovarmi.

- Possono scoprire che in fondo non son o nessuno.

- Nessuno mi amerà mai.

- Forse non so amare.

- Può darsi che mi chiedano cose che non so fare.

- Potrei perdere tutto ciò che ho.

- Potrei farmi del male.

- Potrei morire.

 

 

 

 Quello che gli altri pensano di me

 

Il tema centrale nel problema dell’ansia è questo: “Ciò che gli altri pensano di me è di così cruciale importanza da dover stare molto attento ogni volta che faccio qualcosa. Devo fare tutto il possibile per evitare che gli altri pensino male di me, perché questo sarebbe per me un colpo mortale”.

Anche se è motivo di gioia il fatto che gli altri pensino bene di noi e ci amino, è anche vero che possiamo vivere abbastanza bene senza la loro approvazione e il loro affetto.

E’ bello essere stimati, ma non dobbiamo lottare perché tutti ci approvino.

E’ un’ottima cosa cercare di migliorare le tecniche di comunicazione e delle relazioni, ma non dobbiamo cercare di apparire a tutti i costi importanti agli occhi degli altri.

E se malgrado i miei sforzi per essere gradito a tutti, c’è ancora chi mi rifiuta, mi dirò forse frasi dolorose come queste: “Non valgo niente, sono un fallito!”, oppure: “Me la pagheranno”, o “Non ho bisogno di nessuno”.

 

La Bibbia non ci dice di affannarci affinché tutti ci amino, ma ci dice di amare Gesù, di aver fiducia in Lui, di glorificare solo Lui e di preoccuparci sinceramente per il nostro prossimo.

Il prezzo che paga una persona ansiosa per essere gradita a tutti è troppo alto. Gesù ci insegna che nel cercare l’approvazione del Padre celeste risulteremo sgraditi a molti. Ma malgrado il rifiuto che sperimentò, Gesù visse una vita gioiosa e ci dice: “Che la mia gioia sia in voi” (Giovanni 15:11).

 

 

 

Considerazioni sull’ansia

 

L’ansia produce:

- Preoccupazione, timore, ossessione.

- Mancanza di salivazione, traspirazione, battito cardiaco e respirazione accelerati, vertigini, tremiti, mal di testa, muscoli tesi, imbarazzo di stomaco…

 

L’ansia è:

- Timore in assenza di pericolo.

- Esagerazione della probabilità di pericolo e del suo grado di pericolosità.

- Immaginazione di risultati negativi.

 

La persona che soffre di vertigini, trovandosi in un luogo sopraelevato, temerà di cadere anche se la protezione esistente dà una totale garanzia (piani alti di un edificio, sentiero di montagna, aeroplano, camminare su una passerella…).

Lo stesso vale per chi ha paura degli animali (zoofobia), dei luoghi chiusi (claustrofobia) e dei luoghi aperti (agorafobia).

 

La vita di molte persone gira intorno allo sforzo per evitare l’ansia. Il timore al timore consuma il loro tempo e l’ansia nei confronti dell’ansia produce loro tanta tensione che alla fine succede proprio quello che temevano (Giobbe 3:25).

I pensieri errati sono l’esagerazione delle cattive conseguenze di uno stato di ansia. Infatti, per quanto sia sgradevole, è poco probabile che un momento di ansia arrechi danno a una persona.

L’amore di dio è sufficiente per i nostri timori. Questo amore avvolge e penetra la nostra anima, dove vivono le nostre emozioni e i nostri pensieri.

Possiamo immaginarci il Signore al nostro fianco in qualsiasi occasione sussurrandoci: “Coraggio, sono qui con te”.

Dobbiamo sostituire alcune delle menzogne autocondannatorie, che stavamo credendo, con verità come questa: “Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in me” (Romani 8:11).

Per quanto le cose possano essere sgradevoli, possiamo vivere in questa situazione senza deprimerci oltre misura o venirne distrutti. Le cose sono sgradevoli solo nella misura con cui dico a me stesso che lo sono.

 

Ecco i principali pensieri errati nei casi di ansia:

- Se dovesse succedermi quello che temo, sarebbe terribile.

- Anche se la possibilità che ciò occorra è molto remota, credo che succederà inevitabilmente.

 

Se cerchiamo di evitare l’ansia, questa aumenterà. Se la affrontiamo e ci sottoponiamo alla prova, questa sparisce. Nessuno, neanche Gesù, ci ha promesso che la vita deve essere sempre gradevole.

Quando sei ansioso, domandati:

- E’ terribile quello che mi sto dicendo? (Es.: l’attore pensa che si dimenticherà la sua parte o che reciterà male, e questo sarebbe terribile).

- Le conseguenze sarebbero poi così terribili come mi sto dicendo? (Vedi l’attore di cui sopra).

 

Rispondi a queste domande nel modo seguente:

- Non è terribile. Può essere sgradevole. C’è, però, una enorme differenza tra una cosa sgradevole e una terribile.

- Anche se dovesse capitarmi quello che temo, non sarebbe comunque terribile. Potrebbe non essere piacevole, ma sicuramente non sarebbe la fine del mondo.

 

 

 

 Fuga dalla realtà

 

L’attore avrebbe potuto rinunciare ad apparire sulla scena la sera del debutto. Avrebbe potuto scegliere di fuggire da quei sentimenti così sgradevoli che stava provando, ma affrontò la situazione e poi si sentì bene.

Molte situazioni che la vita presenta potranno essere sgradevoli e il tentativo di evitarle, per liberarci da questa sensazione negativa, può renderle ancor più penose. Cercare di evitare l’ansia, quindi, non è il modo migliore per risolvere il problema.

Devi dire a te stesso:

- Anche se mi piacerebbe evitare determinate circostanze o situazioni, non lo farò. Fuggire dalla realtà non farà altro che aumentare la mia ansia. Andrò avanti, sperimenterò i sentimenti sgradevoli che ciò comporta e li supererò.

- Non devo temere i sentimenti sgradevoli, perché sono parte della vita e non mi uccideranno. A volte è positivo avere sentimenti sgradevoli.

 

Una donna ha paura di guidare la macchina. Abita in città e così usa sempre i mezzi pubblici. Il marito decide di trasferirsi in campagna. Di fronte all’inevitabilità di doversi servire dell’automobile, la moglie presenta al consorte una serie di scuse per coprire il vero problema:

“Io non cambio casa. Qui mi trovo molto bene e poi detesto la vita in campagna. Non voglio parlarne più. Se vuoi cambiare casa, fallo pure, ma ci andrai solo. Se mi ami veramente, non chiedermi questo”.

I pensieri che stavano occupando la sua mente in quella circostanza erano:

“Se guido una macchina, avrò un incidente e, forse, potrò uccidere qualcuno o morire io stessa. Non potrebbe capitarmi niente di più tremendo”.

A questi pensieri sbagliati sostituì in seguito questi altri:

“Guidare una macchina non è la cosa più pericolosa che possa fare una persona. Vivere senza conoscere Gesù è ben più pericoloso. Se poi commetterò un errore, ne affronterò le conseguenze e con Gesù al mio fianco ciò sarà possibile”.

In progressione e con qualcuno sul sedile accanto, incominciò a prendere confidenza con la macchina fino a percorrere da sola lunghi percorsi.

 

La maggior parte dei problemi di ansia sono compresi in questi quattro punti:

1) Il terrore di commettere errori in pubblico

2) La paura di infastidire qualcuno

3) La paura di perdere l’amore di qualcuno

4) Il timore al dolore fisico e alla morte

 

Questi timori sono spesso esagerati e inutili. Siamo noi, in realtà, a procurarci l’ansia, non le situazioni o gli avvenimenti. L’ansia appare perché dici a te stesso che una certa cosa è terribile. E per terribile intendiamo qualcosa molto peggiore di ciò che pensiamo possiamo sopportare. Terribile è qualcosa che crediamo non dovrebbe esistere.

Sempre esisteranno stimoli sgradevoli, frustranti, sfortunati, inopportuni. Noi, però, controlliamo i nostri sentimenti ed i pensieri sono quelli che li producono. Mai potremo liberarci da tutte le cose sgradevoli da cui siamo circondati, ma possiamo acquisire, però, la capacità di affrontarle efficacemente. Credere che la vita dovrebbe essere sempre dolce, gradevole e senza problemi, ci renderà infelici. Con queste idee in testa cercheremo di evitare o di fuggire da ogni problema invece di superarlo.

Gesù ci dice chiaramente che in questo mondo troveremo contrarietà, problemi, prove e tentazioni di ogni tipo (Giovanni 16:33).

Possiamo liberarci dall’ansia paralizzante, se riposiamo in questo fatto meraviglioso: in Cristo siamo sicuri, amati, protetti, il suo sguardo è sempre fisso su di noi e siamo in cammino verso la gloria eterna.

 

Liberarsi dall’ansia implica:

1) Diminuire il pericolo nel quale pensiamo di trovarci

2) Riconoscere che siamo noi a produrre le ansie

3) Affrontare questi pensieri errati

4) Mettere la verità al posto dei pensieri sbagliati e non preoccuparci nel sentirci deboli (2 Corinzi 12:9)

 

Alcuni versetti da utilizzare per contrastare certi pensieri sbagliati:

2 Corinzi 4:17 / Luca 10:19 ; 11:9 / Giacomo 4:7 / 1 Giovanni 4:4 / Isaia 40:31

 

 

 

 

 Pensieri errati rispetto al dominio proprio

 

Per la maggior parte di noi non c’è una comoda uscita dalle difficoltà e responsabilità della vita. E’ molto più facile gettare la colpa su Dio per non essere usciti a cercare lavoro, piuttosto che fare qualcosa per risolvere il problema.

E’ moto più facile continuare a dormire evitando così di affrontare quel mucchio di incartamenti che devono essere evasi, piuttosto che sedersi alla scrivania e sbrigare il lavoro arretrato.

E’ molto più facile sedersi davanti al televisore con un pacchettino di patatine, piuttosto che mettersi a fare ginnastica o portare avanti una dieta.

E’ più facile rimandare la lettura della Bibbia e mettersi a fare un’infinità di altre cose, come telefonare, vedere in TV una telenovela, pulire la casa, piuttosto che autodisciplinarsi e prendere in mano le Sacre Scritture per dedicare un tempo al Signore.

 

Dov’è il dominio proprio nella nostra vita? Non è da supporre che dovremmo averlo? Non è uno dei frutti dello Spirito Santo?

Molte persone provano con la droga, l’ipnotismo e persino con la chirurgia, piuttosto che affrontare le responsabilità e i compiti impegnativi che la via propone, ma rare volte questi metodi portano risultati durevoli o la felicità così desiderata.

 

Anna non ha lavoro. Ha una qualifica che le aprirebbe sicuramente una porta, ma non lo cerca. Teme di essere rifiutata e di non trovare alcun impiego. Non si sente abbastanza attraente, perché ha 15 kg di troppo.  Non si propone, però, di dimagrire.

Il cammino facile di Anna è quello di evitare i problemi e di non fare nulla. Ha delle mete elevate, si inquieta pensando che non le potrà realizzare, si riempie di frustrazione pensando ad un immaginario rifiuto, si amareggia, si arrabbia, si sente colpevole, ma mai si propone di fare quei passi che le permetterebbero di realizzare quelle cose che vorrebbe disperatamente poter fare.

Manca di dominio proprio e arriva al punto di colpevolizzarne il cielo: “Dio non ascolta le mie preghiere! Non fa nulla per cambiarmi. Non mi ama!”

Non è raro sentire dei cristiani, che mancano di dominio proprio, lamentarsi per non essere gioiosi, per avere sensi di colpa, per una profonda insoddisfazione nella vita, per mancanza di fiducia in se stessi ed esprimere rabbia contro Dio.

 

 

 

Pensieri errati rispetto alla mancanza di dominio proprio

 

- Se desideri qualcosa, devi ottenerla senza considerare altre implicazioni.

- E’ terribile e ingiusto dover aspettare per ottenere qualcosa che desideriamo, specialmente se lo desideriamo ardentemente.

- E’ terribile sentirsi a disagio o frustrati (bisogna evitare la delusione ad ogni costo).

- Non è possibile controllare i nostri desideri più intensi. Sono “necessità” e non si può vivere senza soddisfarle. Non è possibile sopportare i momenti di frustrazione o di mancanza di gratificazione.

- Non si può sopportare il dolore o il malessere fisico.

- Non si può sopportare il fatto di non dormire bene.

- Non si possono sopportare circostanze che non vanno d’accordo con i nostri desideri. A volte si può subire questo stato di cose, ma è una situazione comunque terribile e lo diremo ai quattro venti.

- Non si può sopportare il fatto di non essere trattati come facevano i nostri genitori superprotettori.

- Non si può sopportare l’idea di dover compiere sforzi fisici.

- Non si può sopportare nessun tipo di fallimento.

- Non si può lottare contro i propri desideri, sono troppo forti per poterli affrontare.

- Non si può rinunciare a qualcosa perché uno è debole. E anche se questo qualcosa è dannoso, almeno soddisfa una necessità di gratificazione (una qualsiasi abitudine che si rivela essere un problema).

- Abbiamo il diritto di elevare richieste nei confronti di altri.

 

I metodi moderni di educazione provocano la credenza erronea che dobbiamo ottenere e possedere ciò che vogliamo e ci piace, scartando ogni altra ipotesi.

Un bambino grida e i genitori cercano in tutti i modi di offrirgli quello che può soddisfare la sua necessità del momento. L’attenzione costante che riceve gli rinforza la possibilità di continuare a gridare e gli insegna che può ottenere tutto quanto desidera senza dover aspettare per ottenerlo. Impara anche che non dovrà mai affrontare alcuna contrarietà.

Il bambino cresce e i genitori continuano a viziarlo e a risolvergli ogni problema. Impara che è terribile avere delle contrarietà e che non c’è ragione per averne. Affrontando poi la vita si rende conto che gli altri non compiono le sue richieste (tutti mi odiano), che i suoi sbagli non sono giustificati (nessuno mi capisce e si preoccupa per me), che gli altri non sono disposti a fare quello che lui può fare (questo mondo è uno schifo).

Si rende anche conto che la società esige da lui che si adegui ad un certo codice morale, dovendo rinunciare di conseguenza  anche a cose che gli piacciono. Lui, invece, crede che tutti i suoi capricci sono delle necessità vitali e non potendole soddisfare, si sentirà infelice (meglio farla finita).

 

Chi pensa: “Non riesco a controllarmi. Non riesco ad abbandonare ciò che vorrei smettere di fare. Non riesco a resistere a ciò che devo evitare. Non posso fare ciò che veramente vorrei fare”, sta ubbidendo ad una menzogna. Ricordiamoci che i sentimenti sono controllati dai pensieri. Se pensi, quindi, di non riuscire a controllarti in una certa area, probabilmente non ce la farai. Devi cambiare modi di pensare.

Un esempio di pensiero corretto riguardo alla possibilità di dimagrire:

- E’ ridicolo e stupido credere di non poter dimagrire. Certo che posso! C’è forse qualcosa che mi impedisca di rinunciare ai miei appetiti e di smettere di mangiare alimenti che ingrassano? No! Io posso fare qualsiasi cosa per mezzo di Cristo che mi fortifica.

- Certo che posso controllare le mie passioni. Gesù è morto sulla croce per liberarmi da qualsiasi malvagità presente in me e io non soccomberò davanti ai desideri senza freno della carne. Io posso controllarmi!

 

Per affrontare i pensieri sbagliati riguardo il dominio proprio dobbiamo usare determinazione e energia. Il Signore ci sostiene con la sua mano destra.

Paolo ci dice: “Beato l’uomo che sopporta la prova; perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano” (Giacomo 1:12).

Ai cristiani di Corinto dice: “State saldi, incrollabili, sempre abbondanti nell’opera del Signore” (1 Corinzi 15:58).

Per i fratelli di Efeso prega in questi termini: “Il Padre vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore” (Efesini 3:16).

 

Dov’è la nostra forza? Nell’uomo interiore, nella persona interiore, nella nostra anima, dove i pensieri si muovono nel tentativo di creare i nostri sentimenti e atteggiamenti.

Quando Paolo dice: “Ogni cosa posso in Cristo che mi fortifica” (Filippesi 4:13), ci dà un principio dinamico per distruggere le menzogne sulle quali possiamo basare la nostra vita.

A volte, certo, non è facile rinunciare a se stessi. Non è facile privarsi di qualcosa che realmente desideriamo, o a cui diamo molto valore, o a cui siamo legati sentimentalmente. A volte però, per ottenere una vita più elevata e nobile, è necessario farlo. Nella maggior parte dei casi scopriamo che, per ottenere qualcosa che abbia valore nella nostra vita, dobbiamo essere disposti a tollerare situazioni scomode, dispiaceri, ansie o insoddisfazioni.

I maggiori risultati si ottengono spesso quando si è disposti ad accettare situazioni che sono di solito molto sgradevoli. E’ possibile rinunciare a se stessi, non è la fine del mondo dover soffrire e non è così inverosimile poter sopportare.

 

Antonio, laureato in psicologia,, viene lasciato dalla moglie che porta con sé anche i figli.

Ne rimane sconvolto. Continua ad esercitare la sua professione, ma la vita si trasforma in un tormento. Incomincia a bere per dimenticare il dolore, ma questa nuova realtà non fa altro che aumentare i suoi sensi di colpa e di inutilità.

A questo punto decide di fare tre cose che cambiano totalmente la sua vita:

1) Riconosce che si sta distruggendo, alimentando il pensiero che la sua vita e felicità dipendono da un’altra persona. La verità, invece, è un’altra e ci dice che la felicità è la conseguenza di una sana relazione con Gesù. “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il culto” (Matteo 4:10).

2) Rifiuta i pensieri sbagliati e si dice: “Amavo mia moglie e l’amo ancora, ma Gesù è il Signore della mia vita”.

3) Rifiuta di lasciarsi trascinare dall’autocompassione, non si concentra più sulla sua solitudine e decide di smettere di bere per evitare il dolore (si mentalizza a sopportarlo).

 

Possiamo vivere vittoriosi in mezzo alla tormenta: “Con la vostra perseveranza (pazienza) guadagnerete le vostre vite” (Luca 21:19).

 

 

 

Pensieri errati rispetto alle nostre necessità

 

Noi facciamo confusione tra “voglio, desidero” e “ho bisogno”. La parola necessità implica il non poter vivere senza la cosa in questione (per es. l’ossigeno per respirare).

Tutti ci siamo detti in qualche occasione di aver disperato bisogno di una certa cosa, quando in realtà è solo un desiderio disperato. Per es.: “Ho bisogno di sentirmi amato”,”ho bisogno di sentirmi accettato per sentirmi bene”,”non sopporto più di vivere in questa casa”,”non sopporto la solitudine”.

Sono tutte frasi fittizie, perché in realtà si può continuare a vivere malgrado queste difficoltà. Dicendoci che non possiamo sopportare qualcosa, aumentiamo la possibilità di evitare o evadere la sofferenza. Nel cercare di evitare o evadere ogni cosa sgradevole per la nostra vita, ci priviamo delle ricompense che offrono la perseveranza, la pazienza, la speranza, il coraggio e la stessa fede.

 

Ciò non significa che bisogna accettare tutte le cose sgradevoli o difficili della vita, o chiedere a Dio prove e sofferenze. Ci sono cose che dobbiamo evitare, rifiutare e di cui dobbiamo liberarci. Non dobbiamo arrecarci danno volontario o portare avanti situazioni distruttive che sono contrarie alo proponimento di Dio.

La Bibbia dice: “Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi” (Giacomo 4:7). Ciò significa che non dobbiamo accettare ciecamente la negatività, la malattia e il disastro. Gesù è morto in croce per redimere le nostre vite dal peccato, la malattia e la distruzione: “Tu sarai stabilita fermamente mediante la giustizia; sarai lungi dall’oppressione, perché non avrai niente da temere; e dalla rovina, perché non si accosterà a te” (Isaia 54:14).

 

San Paolo sapeva distinguere tra l’aver bisogno e il desiderare. Ha saputo elevarsi al di sopra dell’angoscia e delle lamentele per i desideri e le necessità non soddisfatte (Filippesi 4:12). Non è caduto nella disperazione quando le cose andavano male e soffriva persecuzione, ma ha detto: “Il mio Dio supplirà magnificamente a ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza, in Cristo Gesù” (Filippesi 4:19). Impariamo a distinguere le cose che desideriamo da quelle di cui abbiamo effettivamente bisogno.

 

 

 

La capacità di decidere: il cammino verso la gioia

 

Siamo responsabili delle nostre decisioni. Molto spesso evitiamo di ammettere che siano responsabili della nostra vita e ci piace gettare la colpa di quanto ci accade su altre persone, su circostanze o avvenimenti e non su noi stessi e le nostre decisioni.

Molto spesso ascoltiamo parole come queste: “Se mio marito si comportasse come  capo famiglia, io non mi sentirei così frustrata”. Falso! La verità è un’altra: “Decido di essere frustrata, perché dico a me stessa che mio marito non si comporta come un capo famiglia”.

Ancora: “Se non mi sentissi così male e così sola, potrei smettere di mangiare troppo”. Falso! La realtà invece è questa: “Dico a me stessa che sto male e che mi sento sola e poi decido di mangiare troppo”.

E ancora: “Se trovassi la Chiesa giusta assisterei al culto tutte le domeniche”. Falso! Ecco la verità: “Dico a me stesso che non trovo la Chiesa adeguata e così decido di non assistere alle riunioni”.

Poi: “I miei figli sono così tremendi che ho sviluppato un carattere non più controllabile”. Falso! Questa affermazione è più veritiera: “Ho deciso di rispondere al cattivo comportamento dei miei figli con attacchi d’ira”.

 

- Ammetti di essere tu a fare le tue scelte.

- Ricorda che sei responsabile di quello che stai facendo.

- Preparati ad accettare le conseguenze della tua condotta, anche quando sono sgradevoli.

 

Una giovane incinta dice: “Non ho potuto evitarlo. Qualcosa ci ha trascinati come attratti da una calamita e io non son o riuscita a dire di no”.

Sonia segue il marito che ha deciso di trasferirsi in un’altra città. Detesta questa nuova situazione e incolpa il marito per la decisione presa e per i sentimenti negativi che in lei ha prodotto.

E’ vero, il marito ha deciso di cambiare città, ma Sonia ha deciso di seguirlo (per paura di venir abbandonata, probabilmente). I sentimenti negativi che Sonia sperimenta in questa nuova situazione non glieli ha imposti il marito, ma sono la conseguenza della decisione da lei presa di seguire il marito.

“E’ lui che prende sempre tutte le decisioni, io non conto niente”, dice Sonia con tristezza. La situazione va avanti in questi termini, perché Sonia ha deciso di accettarla e di non opporsi. I sentimenti negativi che ne derivano sono, quindi, frutto della sua decisione di non opporvisi per timore ad essere abbandonata. Deve, quindi, incolpare se stessa e non il marito. E’ lei che ha aiutato il coniuge, con il suo atteggiamento passivo, a trattarla senza apparente considerazione.

 

 

 

Impara a ricompensarti

 

Alfredo deve perdere 30 kg. Inizia una dieta e dopo due settimane  è dimagrito 3 kg. Invece di festeggiare per il risultato ottenuto, pensa ai 27 kg che restano da smaltire e inoltre il profumo della pizza gli sembra irresistibile. Dobbiamo ricompensarci debitamente e con astuzia, se vogliamo portare a compimento un certo disegno.

 

- Dobbiamo ricompensarci per ogni piccola vittoria.

- Dobbiamo ricompensarci quando otteniamo ciò che ci siamo proposti.

- Dobbiamo ricompensarci con frequenza.

- Dobbiamo ricompensarci quando abbiamo dimostrato dominio proprio.

- Dobbiamo ricompensarci anche quando non lo fa nessuno.

- Dobbiamo ricompensarci quando ci siamo sforzati molto per ottenere qualcosa.

- Non dobbiamo esitare nel ricompensarci.

 

Per alcuni cristiani l’idea di ricompensarsi produce un certo sconcerto. Siamo pronti ad incolparci, accusarci, abbassarci, ma non a ricompensarci. Dio non ci getta nel fango per ogni errore che facciamo, anzi ci rivolge parole di incoraggiamento e piene di amorevole preoccupazione.

 

Marco si mangia le unghie. La madre lo riprende, minaccia, castiga, mette una soluzione amara sulle unghie, ma non ottiene il minimo cambiamento.

Un giorno decide di ricompensarlo per i risultati positivi che ottiene. Prima lo ricompensa per ogni ora che riesce a non mangiarsi le unghie e poi aumenta gli intervalli. Facciamo così anche noi nei nostri tentativi per ottenere un certo risultato. Che tipo di ricompensa dobbiamo darci? In primo luogo sono le parole che diciamo e ci diciamo. La madre manifestava a Marco tutto il suo compiacimento per i suoi buoni risultati. Poi è passata a ricompense più personali, come restare alzato più a lungo la sera, invitare certi amici suoi, andare a vedere una partita di calcio, ecc.

Marco, così, ha imparato che è gradevole esercitare il dominio proprio, anche perché in questo modo evitava dei castighi.

 

Molte volte fuggiamo dal dominio proprio, perché pensiamo che è troppo difficile ottenere una cosa che produce così tanta sofferenza.

Marco imparò che esercitare il dominio proprio non era poi così doloroso, sperimentò anzi un sentimento positivo grazie alle ricompense che otteneva e si sentì bene con se stesso. I castighi non producevano altro che odio verso se stesso e un maggior accanimento nel mangiarsi le unghie.

Se perdi 5 kg e poi ne riguadagni 1, ti castighi per il kg ricuperato e ti feliciti per i 4 persi? Il perdono è uno dei regali più preziosi che potessimo ricevere. Smettiamo di immergerci nelle cose negative, di fare liste dei nostri errori, di ferirci, di insultarci, di umiliarci per essere cattivi cristiani, di dirci che non meritiamo nessuna benedizione di Dio, di accumulare colpe e condanne sulle nostre teste.

Gesù è morto sulla croce per prendere su di sé la nostra colpa e la nostra condanna. Certo, non dobbiamo ricompensarci per gli errori, né dobbiamo pretendere di essere più di quello che siamo, ma smettiamo di castigarci per ogni infortunio di percorso e ricompensiamoci per ogni piccolo passo in avanti (Romani 8:1)

 

Come ricompensarci:

- Dobbiamo ricompensarci manifestandoci apprezzamento: “Bravo!”, “Hai fatto un buon lavoro!”.

- Dobbiamo ricompensarci con attività che ci producono piacere (una gita, una partita a tennis, un film…).

- Dobbiamo ricompensarci con premi simbolici (un piccolo regali, per es.).

- Dobbiamo ricompensarci aiutando altri a imparare quello che noi abbiamo imparato.

- Dobbiamo ricompensarci per le vittorie spirituali godendoci l’allegria e la fiducia che vengono dallo Spirito santo.

 

 

 

 Pensieri errati rispetto all’autodisprezzo

 

Oscar soffre di intensi attacchi di ansia. E’ nervoso, teso e spesso si sente depresso senza una vera ragione. In casa esplode in attacchi di rabbia per cose infime, mentre fuori è amabile e mansueto come un agnellino.

Oscar ha vissuto per molti anni cercando di essere gradito alla gente. Ha sempre fatto ciò che gli altri si aspettavano da lui. Le principali decisioni della sua vita, come studio, matrimonio, carriera, le ha prese su influenza di altre persone. L’approvazione degli altri era per lui segno di essere nel giusto e di essere una persona di valore.

 

Oscar si converte, lascia la droga e una vita libertina, testimonia del potere di Dio nella sua vita, ma non è contento. In lui non c’è la gioia di essere figlio di Dio.

Pensa che deve controllare i suoi sentimenti negativi, perché crede che è questo che gli altri si aspettano da lui. Non vuole essere giudicato o condannato, né sembrare ipocrita. E’ cresciuto pensando di dover soddisfare le aspettative della gente e per lui è più importante essere accettato che fare qualcosa che gli piaccia. Associa l’approvazione degli altri con la felicità.

In tutta la sua vita Oscar non si è mai permesso di pensare a se stesso e alle sue necessità come qualcosa di importante. Non deve ,forse, il credente onorare il suo prossimo più di se stesso? Senza onorarsi nel modo convenevole, però, non è possibile onorare il prossimo.

Non dobbiamo degradarci o autodisprezzarci. Chi degrada se stesso sente di aver valore solo quando gli altri lo approvano.

 

Oscar, però, scopre che malgrado il suo atteggiamento le cose non vanno bene, non è gioioso. Ecco alcuni suoi pensieri errati:

- Il modo di ottenere che gli altri mi accettino è di essere o di fare ciò che loro vogliono che io sia o faccia.

- Agisco più da credente, se cerco di essere gradito agli altri invece di soddisfare me stesso.

- Gli altri hanno diritto a giudicare le mie azioni.

- Non è buono e non sto agendo da credente, se considero le mie necessità più importanti di quelle degli altri.

- Non agisco in modo corretto, se non sono disposto a dimenticare i miei interessi per gradire amici e familiari, quando questi così desiderano.

- Gradire gli altri è una polizza che mi garantisce come risposta una loro propensione positiva nei miei confronti. In caso di necessità mi aiuteranno.

- Se gli altri sono scontenti di me, non avrò un momento di pace, né di felicità.

- L’approvazione di tutti gli altri è essenziale ai miei sentimenti di benessere e di pace mentale, dato che Dio non vuole che io mi senta contento, se non godo dell’approvazione di tutti.

- Essere come gli altri vogliono che io sia è l’unico modo per essere amato.

- Gradire gli altri e fare ciò che loro sperano che io faccia è l’unico modo per avere degli amici.

 

Quando c’è un’amicizia sincera (1 Samuele 18:1), non serve gradire o cercare l’approvazione dell’altro, perché si è creata una relazione tra anime legate l’una con l’altra. Gesù ci ha insegnato ad amare il prossimo come noi stessi. (Matteo 19:19).

 

 

 

Pensieri riguardo la stima propria

 

1) La nostra vita, includendo le nostre opinioni, sentimenti, desideri e necessità, non è meno importante, né ha meno valore di quella di qualsiasi altro.

2) La nostra vita, includendo le nostre opinioni, sentimenti, desideri e necessità non è più importante, né ha più valore di quella di qualsiasi altro.

 

Giovanni 15:13 / 1 Giovanni 3:16 ci dicono che non serve a Dio o a qualsiasi altro che noi disprezziamo la nostra vita perché non ci sopportiamo. Gesù è morto sulla croce per noi e disprezzarci è come un insulto per Lui. Dobbiamo disprezzare il peccato e non le persone.

 

Angela è una donna simile a Oscar. Se questi reagiva cadendo in depressione, Angela manifesta rabbia. Lei non ride e non si rilassa mai. “La Bibbia dice che bisogna dare, e questo è quello che faccio”, afferma con un tono che non nasconde la rabbia. Nello stesso tempo, però, si sente in colpa per questo suo sentimento.

“Nessuno fa niente per me e qualunque cosa faccia gli altri non manifestano alcun rispetto nei miei confronti. Mi sento una cosa che tutti possono usare. Forse è egoismo da parte mia e forse sono una cattiva cristiana, ma non so come evitarlo”.

 

Il Signore dice che dobbiamo sopportarci, perdonarci, essere generosi gli uni verso gli altri, ma mai in un modo degradante, o per motivi autocondannatori, o soltanto con l’obiettivo di essere graditi, né tantomeno per diventare gli schiavi dei desideri altrui. Tutte queste motivazioni indicano auto disprezzo.

Angela è una donna amareggiata. Tutta la sua vita ha lottato per ottenere l’approvazione e l’amore degli altri, ma non ha avuto buoni risultati. E’ diventata vittima dei desideri degli altri con l’intento di essere loro gradita e di ottenerne l’approvazione e l’amore. Quando non riceve parole di approvazione e accettazione si sente disperata e desolata, e crede di non essere altro che una cosa (auto disprezzo) da usare.

 

Pensieri sbagliati di Angela:

- Se non dò continuamente non sono una buona cristiana (in fondo non stava dando, ma facendo cose per ottenere qualcosa per se stessa).

- Devo ricevere apprezzamento per tutte le cose che dò (il vero dare non ha bisogno di essere riconosciuto).

- La mia autostima dipende dalle opinioni degli altri.

- L’amore è qualcosa che deve essere guadagnato e perciò richiede uno sforzo.

- Il rispetto è qualcosa che deve essere guadagnato con sforzo.

- Se non faccio ciò che gli altri vogliono e si aspettano da me, non mi ameranno.

- Se non faccio ciò che gli altri vogliono che faccia, non merito la loro approvazione e amicizia.

- Gli altri hanno il diritto di chiedermi qualsiasi cosa e devo farlo per evitare che si offendano con me.

- Se gli altri non mi dicono che sono una brava persona, ciò significa che non lo sono.

- Se qualcuno non mi apprezza, ciò significa che c’è qualcosa che non va in me.

- Se qualcuno è irritato nei miei confronti, certamente è colpa mia.

- E’ mio dovere fare che tutti si sentano felici e a loro agio.

- E’ mio dovere uccidermi di lavoro per la mia famiglia. Se non lo faccio, mi potrebbero rifiutare.

 

Angela pensava che il suo problema era quello di non riuscire a dare abbastanza.

Aveva, però, altri pensieri sbagliati:

- Il rigetto, cioè il non essere accettati, è una cosa terribile.

- Malgrado tutto ciò che faccio per ottenere approvazione, ci sono ancora persone che non mi accettano e mi rifiutano…Ciò implica che sono cattiva.

- E’ una cosa cattiva arrabbiarsi.

- Mi arrabbio, quindi sono cattiva.

- E’ terribile essere una cosa che tutti usano.

- E’ terribile non poter dominare i sentimenti negativi.

- Sono terribile: non riesco a dominare i miei sentimenti negativi.

 

C’è differenza tra il rispetto per se stessi e l’egoismo. La persona che si rispetta veramente può interessarsi genuinamente agli altri e dedicarvisi senza timore. Anzi, in certe occasioni, la cosa più amorevole che possa fare per un’altra persona è dirle: “No!”

Una persona egoista, invece, alimenta desideri profondi, è timorosa e cerca di manipolare gli altri. L’approvazione della gente deve soddisfare una necessità insaziabile del suo intimo.

 

Siamo il tempio di Dio sulla terra (1 Corinzi 3:16) e questa è una buona ragione per rispettarci e amarci. Quando moriamo al peccato e viviamo per Dio, tramite il potere dello Spirito Santo, possiamo amarci perché acquistiamo valore e diventiamo belli interiormente. Non è vanità, perché questa non è accompagnata da pace e soddisfazione per ciò che si è o si ha (1 Timoteo 6:6).

Quando smetteremo di lottare per ottenere l’approvazione degli altri, la otterremo senza sforzo. Quando noi ci apprezziamo, anche gli altri lo faranno.

Ecco il modo giusto di pensare:

- Non è necessario che tutti mi amino.

- Non devo guadagnarmi l’approvazione e l’accettazione di nessuno.

- Sono un figlio di Dio e Lui mi ama profondamente, mi ha perdonato e per questo mi sento accettato.

- Le mie necessità e desideri sono così importanti come quelli degli altri.

- Il rigetto non è terribile. Può essere sgradevole, ma non terribile.

- Il fatto di non essere accettato, né approvato dagli altri non è terribile. Non è una cosa augurabile, ma non è terribile.

- Se qualcuno non mi ama, posso vivere lo stesso. Non ho bisogno di sforzarmi per ottenere il suo affetto.

- Posso dominare i miei sentimenti negativi distinguendo la verità dai pensieri sbagliati.

- E’ un errore pensare di dover gradire gli altri e di essere approvato da loro.

- Gesù è morto sulla croce per liberarmi dall’errore di credere che gli altri devono decidere il mio valore.

 

Noi dobbiamo essere graditi a Dio e non agli uomini. Spesso queste due realtà sono in contrasto tra loro (Giovanni 6:15 / Matteo 16:22-23). Lo stesso Gesù a volte pensò prima a se stesso (per riposarci e ricuperare energie, per esempio).

Non chiediamoci: “C’è qualcuno che si aspetta questo da me?”, ma piuttosto: “Mi sta guidando Dio a farlo?”

Dobbiamo imparare a prendere le critiche come se non fossero “nulla” e sapere che il vero giudice è il Signore (1 Corinzi 4:3-4).

 

Se siamo disposti a credere quanto affermato dalla Parola di Dio: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Ebrei 13:5), non c’è nessuna ragione per pensare che ci disintegreremo, se gli altri non ci mostrano la loro approvazione.

Poi, la maggior parte delle volte, la disapprovazione degli altri è di corta durata e limitata. E’ molto difficile trovarsi nella situazione in cui nessuno ci approvi o ci ami.

Diciamo: “Tu sei importante per me e vorrei che ti preoccupassi per me. Comunque non ti chiederò e non insisterò che ti prenda cura di me e non diventerò matto per ottenere la tua approvazione, affetto o amicizia. Io mi preoccupo per te e anche per me, perché Gesù è morto per ciascuno di noi. Tu sei importante e anch’io lo sono. Gesù ci ama e ci ama nello stesso modo”.

Possiamo liberarci per sempre dall’autodisprezzo quando ci renderemo conto che l’approvazione di Dio è molto più preziosa di quella della gente.

 

 

 

Pensieri errati riguardo al timore al cambio

 

“Sono così e non cambierò mai! Che ti piaccia o no, ho un pessimo carattere. Sono proprio come mio padre”.

 

Lidia crede che sono i suoi alunni a farla irritare. Pensa che i suoi scatti di rabbia sono una caratteristica permanente della sua personalità.

Gesù è morto in croce per liberarci dai nostri peccati, ma Lidia annulla di netto la possibilità di cambi costruttivi nella sua vita.

Giovanni pensa che sia giustificabile dar sfogo ai suoi sfoghi di rabbia ogni volta che ha voglia di farlo. Dopo tutto anche suo padre si comporta nello stesso modo.

Clara incolpa il marito per il suo peso eccessivo (vuole sempre cibi fritti, che però mangia anche lei). Teme di perderlo, ma ha anche terrore di prendersi le sue responsabilità e di agire su se stessa con disciplina e autorità.

 

Lidia, Giovanni e Clara credono che le condizioni insoddisfacenti in cui vivono sfuggano al loro controllo. Hanno evitato di responsabilizzarsi per i loro sentimenti e azioni. Credono anche di non poter cambiare.

Spesso è facile pensare di essere vittima delle circostanze. Quante volte al giorno gettiamo la responsabilità dei nostri sentimenti o delle nostre azioni su qualcosa o qualcuno che sta al di fuori del nostro controllo?

Quando inciampi, incominci a guardarti intorno per vedere se c’è un ostacolo su cui gettare la colpa? Quando ti bruci la bocca con una bevanda troppo calda, perché guardi la tazza come se fosse lei la responsabile? Quante volte abbiamo accusato altri di farci perdere la pazienza, di farci sentire frustrati o infelici?

 

Nessuno provoca queste attitudini, ma noi stessi. Nessuno ci obbliga a sentire, pensare o comportarci come lo facciamo. Naturalmente le circostanze e la gente che ci circonda hanno una certa influenza nella nostra vita. Per es. non ci sentiremo perfettamente bene, se veniamo colpiti dall’influenza o se nostra moglie ci tira addosso tutto quello che le capita a portata di mano ogni volta che tossiamo. Reagiremmo in modo differente, se ci desse dei baci.

Quello, però, che si vuole dimostrare con queste considerazioni è che siamo noi a decidere come rispondere ai fatti e alle circostanze della nostra vita, in accordo al  nostro credo.

Sarebbe falso dire: “La ragione del mio malumore è nell’influenza che ho preso”. La verità è invece questa: “L’influenza mi produce sensazioni sgradevoli nel corpo e nelle emozioni e io mi lascio andare al malumore, complicando così la vita agli altri”.

Dato che siamo ammalati, pensiamo di avere il diritto di comportarci in modo sgradevole ed egoista. Pensiamo che la nostra pace mentale dipenda dal comportamento degli altri e che non possiamo far nulla al riguardo.

 

Alcuni pensieri sbagliati:

- Sono come sono perché sono nato così.

- Se avessi una cultura superiore, sarei accettato dagli altri.

- Se fossi come Tizio, sarei più felice.

- Se avessi un aspetto migliore, sarei più felice.

- Non dipende da quanto sai, ma dalle persone che conosci. Ecco perché non riesco a farmi strada.

- I bambini mi fanno diventare tesa e nervosa.

- I miei suoceri mi fanno diventare teso e nervoso.

- Tu mi fai arrabbiare.

- Se fossi più giovane, avrei più energie e sarei più felice.

- Se vivessi in un quartiere migliore, sarei più felice.

- Questa casa mi deprime.

- So che dovrei cambiare, ma non ci riesco.

- Dico delle parolacce, perché in ufficio le dicono tutti.

- La ragione per cui bevo è da ricercarsi nelle pressioni che devo subire tutti i giorni.

- La ragione per cui rubo sta nel fatto che il mio capo non mi dà l’aumento che merito.

 

 

 

Demoliamo il nostro vecchio modo di pensare

 

1) La gioia viene dalla nostra relazione con Dio e dalla sua inamovibile fedeltà.

 

Non abbiamo bisogno di vivere in circostanze perfette per essere felici, né ci serve l’apprezzamento altrui. Paolo e Sila, gettati in carcere, non si sono lasciati condizionare dal loro stato, né si sono lasciati andare a lamentele e accuse (“a che serve predicare il Vangelo? Nessuno ci ascolta e Dio si sta forse preoccupando per noi?).

Paolo e Sila avevano delle solide convinzioni che trascendevano le circostanze, i fatti, la gente, i sentimenti e persino il dolore. Queste convinzioni erano centrate nella persona, nel potere e nella presenza di Gesù Cristo. Credevano che la loro sofferenza non era così importante come il messaggio che portavano. Non hanno incolpato nessuno per la loro agonia fisica, né sono rimasti a soffrire in silenzio, mordendosi le labbra disperati perché Dio aveva permesso che toccasse loro una simile sorte, ma si sono messi a cantare. La loro allegria veniva dalla fede in Cristo che avevano dentro e non dalle circostanze esterne.

 

 

2) Tu hai il controllo sulla tua felicità e sulla tua infelicità.

 

Noi decidiamo che pensieri lasciar passare nella nostra mente. Siamo noi che scegliamo di gettare la colpa sugli altri per le nostre disgrazie. Siamo noi che scegliamo di scusarci per il nostro cattivo comportamento. Non è la gente che ci rende irritati, tristi o infermi, non sono le cose o i fatti esteriori che ci perturbano, ma il modo come li vediamo.

Un cristiano non dovrebbe mai vivere una vita dominata dalle circostanze esteriori (Filippesi 4:11). Spesso, invece, continuiamo a credere che la gioia e l’amore dipendano da altre persone, circostanze, fatti, benedizioni materiali, successo, capacità,ecc.

 

 

 

E’ possibile cambiare?

 

Essere contento in tutte le circostanze non significa necessariamente soffrire in silenzio. Significa comprendere che la nostra gioia non è radicata nelle circostanze, ma che viene dal nostro interiore, da Gesù tramite il potere dello Spirito Santo.

Soffrire in silenzio non è necessariamente un segno di virtù. A volte, anzi, è più distruttivo dissanguarsi in silenzio che alzarsi e fare qualcosa. La paura, spesso, ci impedisce di intraprendere una qualsiasi azione.

 

Clara pensa che il marito si arrabbierà, se dovesse dirgli di non portare più a casa gelato e pizza, a causa della sua dieta.

Lidia non comunica alle colleghe i problemi che ha con i suoi scolari, per timore che la considerino una cattiva maestra.

Giovanni imita il comportamento rude del padre per timore, dovendo prendere una decisione propria, che questi lo derida.

Se gli altri (marito, colleghi, padre) non sono d’accordo con il nostro cambio, li affronteremo e accetteremo le conseguenze negative.

 

La Bibbia è piena di casi di vite cambiate dal potere di Dio. La fede ci pone in contatto con questo potere. Noi siamo gli unici che possiamo impossessarci della vita di fede, nessun altro ci può aiutare. O ci armiamo di fede e crediamo in Cristo Gesù e a ciò che siamo in Lui, o vivremo vittime delle circostanze, della gente, dei fatti e situazioni che non possiamo controllare (2 Corinzi 5:17).

Ciò non significa che non si debba mai cercare di cambiare le circostanze quando sia appropriato farlo. Non dobbiamo assumere un atteggiamento passivo di fronte alle circostanze e cercare di cambiare sempre e soltanto noi. A volte è possibile chiedere ad altre persone che cambino comportamenti che sono particolarmente fastidiosi, che feriscono o sono dannosi. Non è vero che dobbiamo accettare tutte le circostanze dolorose come se queste fossero il nostro destino nella vita.