COME  DOMINARE  LA  TENSIONE  NERVOSA

 

Pressioni sui bambini

Una delle tensioni più ricorrenti nei giovani è dovuta alle esigenze e alle speranze che gli adulti ambiziosi riversano su loro.

I bambini desiderano gradire agli adulti, perché una delle prime scoperte che fanno nella vita è che è sensato e prudente guadagnarsi il favore dell’autorità.

Si rendono conto che non conviene incorrere nello scontento degli adulti e, così, fanno tutto il possibile per rispondere a ciò che si esige da loro.

Tutto questo è buono nella misura in cui noi ci dimostriamo sensibili alle capacità naturali e al livello individuale di maturità dei nostri bambini. Finché non chiediamo loro l’impossibile, è buono che inculchiamo loro il desiderio di progredire e di svilupparsi.

 

Come genitori vogliamo che i nostri figli si elevino al di sopra degli altri bambini della loro età e, quando ciò non si verifica, ci sentiamo defraudati e non perdiamo il tempo nel mostrare la nostra disapprovazione.

A volte, anche se in modo incosciente, li paragoniamo ai loro compagni con sarcasmo: “Se Giovanni lo può fare, non vedo perché non riesca a farlo tu”. Imponiamo loro dei pesi eccessivi, con velate minacce, se non rispondono alle nostre richieste (ottimi voti a scuola, lezioni di musica, sport).

Specialmente i maschi che non hanno particolari doti atletiche si vedono denigrati e umiliati fino al punto di sentirsi inferiori. E ciò provoca una grande tensione interna.

E’ meglio dare incentivi ai figli che produrre in loro timori. L’incentivo produce stimolo e speranza, mentre il timore paralizza e schiavizza.

Quando proponiamo ai nostri figli delle mete impossibili e ci afferriamo a speranze irreali, questi entrano nella fase del timore. Il risultato spesso è la ribellione.

 

Attitudini

Quando una persona si trova in una posizione che gli costa uno sforzo enorme, è evidente che quello che sta facendo va al di là delle sue possibilità.

Può aver bisogno di una maggiore preparazione o non possiede le capacità mentali, fisiche o naturali che quel lavoro richiedono. Questa situazione produce una profonda frustrazione.

Non tutti gli individui sono state creati per realizzare lo stesso tipo di lavoro e ciò non toglie nulla al valore della persona.

Se la tensione è il risultato dell’insicurezza che la persona sente relativamente alla sua capacità di affrontare le esigenze di una certa situazione, la noia viene prodotta da una mancanza di stimoli.

La noia può creare tensione, ma non è la tensione in sé (un professore che dovesse fare il bidello).

In assenza di sfide o di progetti da realizzare nasce la noia, con conseguente senso di frustrazione e insoddisfazione. Se questa irritazione interiore o la latente insoddisfazione non si scaricano o si risolvono, possono produrre una situazione di tensione intollerabile.

Per coloro che hanno motivazioni o per gli indolenti sarà un male minore, ma per chi possiede ambizione e stimoli, la noia è un modo di vita inaccettabile. E molti non hanno potuto sviluppare i loro talenti.

 

La capacità di realizzare un certo compito raramente è il risultato unico di un dono naturale. E’ necessaria una fase di preparazione.

Se possediamo la conoscenza necessaria, potremo realizzare il nostro compito senza difficoltà, ma se dovremo lottare contro la nostra incompetenza, la tensione si può accumulare come una montagna.

La mancanza di capacità si vince con l’esercizio e la pratica. E’ anche vero che dobbiamo essere realisti relativamente ai nostri limiti. I sogni sono un povero sostituto del talento.

L’educazione e la pratica aiutano, ma il loro proposito è quello di sviluppare ciò che già esiste e non quello di sostituirsi alle capacità reali.

Se siamo realisti riguardo ai nostri limiti, ci risparmieremo molti dispiaceri.

 

Non serve a nulla pretendere di avere certe capacità soltanto perché lo desideriamo o perché vogliamo impressionare gli altri. La tensione che si produce nel cercare di vivere conforme ad una certa immagine è distruttiva.

A volte, la nostra cultura e i nostri desideri di essere più di quel che siamo, ci creano una tale pressione da portarci a dover fare qualcosa che è al di fuori della nostra portata.

Non permettiamo che esercitino su di noi forti pressioni per occupare posizioni che superano la nostra capacità.

Anche se a volte è necessario uno spintone per aprirci nuovi orizzonti, ci sono altre occasioni in cui sappiamo con certezza che quel compito è troppo al di là delle nostre possibilità.

 

Il prezzo del successo

Per uno stipendio superiore, che produce anche un aumento di autostima di fronte alla società, si accettano condizioni di lavoro massacranti.

Ma a che cosa ci serve il denaro, se per ottenerlo dobbiamo sacrificare la nostra identità? Non è meglio un lavoro di minor prestigio e paga inferiore, invece di continuare a rovinarci la salute e il carattere?

Chi si ritrova con grandi responsabilità sulle spalle lavora infaticabilmente pur di ottenere grandi risultati. Accetta le ulcere, l’assorbimento di tutto il suo tempo libero e di tutte le sue energie, oltre a una realtà in cui le perdite effettive sono maggiori del guadagno.

Nel suo sforzo per arrivare al vertice è diventato un estraneo in casa propria e non gli rimane più tempo per frequentare le riunioni della Chiesa. Non gli rimane, quindi, più tempo per Dio ed è troppo occupato per preoccuparsi della sua famiglia.

A volte ci sforziamo esageratamente, perché abbiamo un’opinione troppo elevata della nostra importanza. Pensiamo di essere indispensabili e che il mondo non potrebbe continuare ad esistere senza di noi.

Quando arriveremo alla fine delle nostre risorse scopriremo, ma ahimè troppo tardi, che non eravamo poi così indispensabili.

 

Cercare di vivere secondo un’immagine prefabbricata di noi stessi porta inevitabilmente alla tensione.

Una donna, per esempio, potrebbe pensare di non svolgere a dovere il suo ruolo di sposa e di madre, se non fa il pane in casa, se non cuce gli abiti della famiglia, se la casa non è sempre perfettamente pulita, se non sa coltivare i fiori, se non va in palestra per mantenersi in forma, se non è monitrice alla scuola domenicale, ecc.

La verità è che sarebbe una madre e una sposa molto migliore, se non fosse così occupata. Tutte queste attività la fanno sentire tesa e nervosa e ciò naturalmente influenza l’ambiente familiare.

Quello che più conta è l’affetto che si riversa all’interno della famiglia e che produce legami di apprezzamento.

 

Imparando a dire di no

Ci siamo mai chiesti perché siamo così ‘buoni’? Perché accettiamo più responsabilità di quelle che è possibile sopportare? Perché non riusciamo a resistere alle richieste che ci vengono rivolte?

- Non conosciamo i nostri limiti

Siamo realisti rispetto alle nostre forze e ai nostri limiti? Ci sono delle persone amanti delle sfide e a cui piace l’azione, ma è possibile che il loro vigore fisico ed emozionale non sia all’altezza della situazione.

Dato che il desiderio è così forte tendono a minimizzare i loro limiti, ma nel tempo dovranno subirne le conseguenze.

Non esistono superuomini e la persona matura conosce i propri limiti.

 

- Vogliamo che la gente ci apprezzi

Ci sono molte persone che soffrono di un sentimento di insicurezza e si considerano indegne in seguito ad una serie di privazioni emozionali ed esperienze negative avute durante la fanciullezza.

Hanno imparato che nel fare cose per gli altri ci si può guadagnare una certa misura di apprezzamento. Questo darsi al lavoro o alle richieste degli altri non è altro che un modo per chiedere riconoscimento.

Se dobbiamo fare delle cose per gli altri per sentirci apprezzati, significa che abbiamo una povera opinione di noi stessi.

- Fa parte della nostra cultura

Forse è l’educazione ricevuta che ci spinge ad agire in questo modo. E’ bene aiutare la gente ed essere compiacenti, ma bisogna determinare delle priorità.

 

In generale coloro che si affannano e lottano per raggiungere delle mete irreali, stanno realizzando uno sforzo inconscio per soddisfare delle necessità basilari, che non hanno trovato soddisfazione nella fanciullezza. Sentire, per esempio, di appartenere a qualcuno, o sentirsi apprezzati e amati.

Così lavorano duramente per sentirsi accettati. L’accettazione, però, si stabilisce nelle relazioni e non tramite ciò che si realizza. Dio ci ama per quello che siamo e non grazie ai nostri sforzi, o in base al livello della scala sociale in cui ci troviamo.

 

Un esempio:

Teresa, anche se non lo sapeva, era una persona tremendamente ostile. Era rimasta orfana da piccola ed era stata allevata dagli zii con cui non aveva sviluppato una buona relazione.

Quando veniva sgridata o criticata, aveva imparato a controllare la sua rabbia e la sua frustrazione lasciandosi assorbire dal lavoro. Dava lo straccio per terra con molta energia, oppure si metteva a scopare la casa, o intraprendeva qualsiasi altra cosa, lottando con le lacrime, chiudendosi in se stessa e autocompatendosi.

Da adulta, oggi, continua ad albergare nel suo cuore sentimenti di ostilità e di risentimento da cui si sente sollevata lavorando senza sosta.

Nel suo subconscio vuole autocompatirsi e lavorando in modo eccessivo può impersonare il ruolo della martire. L’eccesso di lavoro può rappresentare una punizione diretta verso se stessi, cioè uno si infligge la sofferenza dell’eccesso di lavoro, perché si sente indegno, o disadattato, e meritevole solo di castigo.

D’altra parte può essere utilizzato come un’arma per umiliare e riempire di vergogna gli altri, vedendo quanto lei si affatichi più di loro.

Nel primo caso la rabbia si dirige verso se stessi, nel secondo verso gli altri, utilizzando questo eccesso di lavoro come un’opportunità per vendicarsi e far sentire gli altri colpevoli di questa sua condizione di martire.

 

Molti lavorano continuamente e raramente si fermano per riposare o si concedono periodi di vacanza. Pensano che questo sia l’unico modo per guadagnarsi l’accettazione, l’amore e il rispetto degli altri.

 

Rapporto con gli altri

Spesso un certo aspetto che non ci piace in una certa persona lo possediamo noi stessi. Non volendo affrontare questa realtà facciamo finta che non esiste, ma, quando un’altra persona evidenzia questo aspetto così indesiderabile in noi stessi, tutta l’ostilità che abbiamo repressa verso noi stessi si dirige verso quel povero individuo.

A volte non ci piace una certa qualità in un’altra persona, perché manca a noi. E’ difficile accettare la nostra debolezza nel constatare la forza dell’altro. E’ qui che nasce la gelosia.

Ma siccome il nostro subconscio non ci permette di ammettere che siamo gelosi, giustifichiamo la nostra attitudine criticando eccessivamente l’altra persona o trovando motivi validi per farlo.

Ogni persona merita di essere compresa. Nel nostro tentativo di farlo non dobbiamo dimenticarci del  principio fondamentale che ogni comportamento ha una causa e che le cause sono sempre multiple. Esistono, quindi, molte ragioni per cui una persona agisce in quel modo.

 

Quando comprenderemo l’intimo dell’individuo e il tipo di esperienze che ha avuto e che l’hanno fatta diventare la persona che è, la nostra attitudine nei suoi confronti sarà completamente differente.

Avremo, così, una visione delle sue problematiche e non vorremo più condannarla, ma sentiremo compassione per lei e il desiderio di aiutarla.

Forse quella persona continua ad avere un atteggiamento censurabile, ma non ci sentiamo più minacciati. Sappiamo adesso che è un suo problema.

Può continuare ad essere una persona sgradevole, ma ci sarà più facile da sopportare quando ci rendiamo conto che la sua ostilità non si dirige verso di noi, ma è un’espressione dei suoi conflitti interiori.

Noi possiamo essere il bersaglio della sua rabbia, ma solo perché siamo lì casualmente e non per altre ragioni.

 

Parlare agli altri delle nostre tensioni

Non è facile parlare agli altri delle nostre tensioni e preoccupazioni, perché facendolo diventiamo vulnerabili. Piuttosto che rischiare la nostra immagine, preferiamo non rivelare le nostre necessità.

In questo modo, però, non possiamo ricevere quell’aiuto di cui tanto abbiamo bisogno. Non vogliamo che nessuno si renda conto delle nostre ossessioni dovute a timori costanti e a preoccupazioni.

Ci mettiamo una bella maschera e continuiamo a far credere che tutto vada bene, temendo che qualcuno possa percepire le ferite che alberghiamo nel nostro cuore e le sofferenze che nascondiamo.

Perché siamo così? Perché temiamo di essere indiscreti o di venir mal interpretati, di incorrere nella disapprovazione o di perdere la stima dei nostri amici, di sentirci dare la colpa per quanto sta succedendo o di farci considerare dei falliti.

E per quanto sia difficile sopportare da soli questo peso, può essere più sicuro che rischiare il rifiuto della persona che dovrebbe aiutarci.

 

Quando il direttore di Michele andò in pensione parte del personale ebbe una promozione, ma lui restò al suo antico impiego. Si sentì vittima di una ingiustizia e profondamente offeso (il genero del vicepresidente prese quello che doveva essere il suo nuovo posto).

Aveva bisogno adesso di sfogare la sua rabbia e di curare la sua ferita. Non disse, però, niente alla moglie perché temeva le sue reazioni. Temeva che lo considerasse un fallito, un incapace, o che lo spingesse a far valere i suoi diritti (azione del tutto inutile), o che raccontasse in giro ad altra gente, umiliandolo ancora di più, queste sue vicissitudini.

 

E’ molto importante avere un amico o una persona cara che non ci stia dicendo ciò che dobbiamo fare, ma che ci incoraggi a parlare.

Il più delle volte non abbiamo bisogno di risposte, ma soltanto di qualcuno che ci ascolti. Le domande che facciamo sono spesso un modo per supplicare che ci lascino parlare.

Ciò ci aiuta ad esteriorizzare le nostre frustrazioni e preoccupazioni, in modo tale da poterle vedere come sono realmente e affrontarle anche in un modo realistico. Le tensioni trovano già un grande sollievo nel momento in cui vengono portate all’esterno.

Non possiamo aiutare una persona con ferite profonde dicendole di pensare ad altro e di non tornare più sul tema, o di controllarsi se le vengono le lacrime agli occhi.

Questo è solo un modo per interiorizzare il problema e creare altre valvole di sfogo, come l’aggressività o un’ulcera. Le cose che interiorizziamo non le possiamo controllare e così troveranno per proprio conto altre vie di uscita.

Le cose espresse, invece, sono molto più controllabili.

 

 

 EQUILIBRIO TRA L’EGO E IL MONDO ESTERNO

 

Perché il nostro vivere in questo mondo sia soddisfacente, dobbiamo prendere atto della necessità di sottostare a certe leggi, comportamentali e ambientali, come io e il prossimo e io e la natura.                                                                                                 La presa di coscienza di queste leggi a cui sottostare rappresenta la nostra responsabilità (il matrimonio richiede fedeltà perché possa durare; un bambino bagnato che non rientra a casa per cambiarsi, si ammalerà) o maturità.                                                                  Quando il mio desiderio non si sottopone a queste leggi nascono i conflitti, le cui conseguenze sono imprevedibili. Dobbiamo vivere e lasciar vivere (Luca 6:31 “E come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro”), realtà che comporta una rinuncia o ridimensionamento dei miei desideri (la mia voglia di vivere intensamente, per esempio, che mi spingerebbe a sfruttare tutto il tempo possibile, si scontra con la necessità di dover dormire. In assenza di questa osservanza se ne pagheranno le conseguenze).

 

Nel sermone del monte Gesù ci dà dei consigli su come mantenere questo equilibrio con il mondo esterno: “Non giudicate, e non sarete giudicati” (Luca 6:37), “col giudizio col quale giudicate, sarete giudicati” (Matteo 7:2).                                                                      Ciò sta a indicarci l’immediata reazione naturale del mondo esterno verso i sentimenti critici e distruttivi, che noi possiamo avere. Se invece facciamo il bene agli altri e li trattiamo con rispetto, riceveremo una buona risposta, una risposta positiva: “Date e vi sarà dato…perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi” (Luca6:38). Tocca a me, quindi, responsabilizzarmi sul modo come comportarmi col mondo esterno. Le reazioni che subisco, quasi normalmente, sono frutto del mio atteggiamento (il serpente generalmente scappa davanti all’uomo, ma se gli pesti la coda, probabilmente ti pungerà).     

 

Il nostro processo di maturità (naturale, ma lo stesso avviene nel nostro rapporto con Dio) passa per varie tappe: l’infanzia, la fanciullezza, l’adolescenza e l’età adulta. Se una di queste fasi non è superata correttamente, non si può accedere all’altra e il nostro processo di maturità subisce uno stop (che può durare anche tutta la vita).                                                                                       La prima impressione da neonati è che i genitori soddisfano in modo generoso e immediato tutte le nostre esigenze. La nostra mente viene, così, condizionata e ritiene che il mondo esterno debba soddisfare tutte le nostre necessità (Dio deve provvedere per ogni cosa). Da adulti,invece, se vorremo una cosa, dovremo procurarcela da soli. Tracce di questa prima fase della vita si manifestano in adulti in questo modo: “Sai ciò che mi piace e, se veramente mi amassi, lo faresti tu per me”. Cioè, quando si sente una necessità o un desiderio che qualcuno potrebbe soddisfare, si aspetta che automaticamente lo faccia, specialmente se questa persona ha un sentimento nei nostri confronti. Se non lo fa, ci sentiamo rifiutati e arrabbiati.

 

Crescendo, poi, viene il tempo della disciplina, delle cose che si possono fare e di quelle che non si possono fare. Nasce, allora, un conflitto per determinare chi comanda, perché è ancora viva l’immagine dei genitori come mezzo per soddisfare le nostre necessità.                                                                                                                                                                                                                                                                      E’ necessario che in questa fase i genitori si mostrino fermi, perché così nel bambino si sviluppa il senso della responsabilità verso di loro (autorità in genere e, quindi, verso Dio), il senso di fiducia nel suo autocontrollo e un sincero rispetto verso l’autorità paterna.                                                                                                                                                                                   Sono errori comuni quello di perdonare sempre, di dare soddisfazione ad ogni desiderio del bambino e il controllo eccessivo (figlio timido e incapace di iniziative).

 

A volte incontriamo delle persone che non hanno superato la fase dello scontro infantile di poteri e le sentiamo chiedere agli altri cose come questa: “Se mi amassi veramente, me lo lasceresti fare come piace a me…nessuno mi deve dire cosa devo fare…ho diritto di fare tutto ciò che voglio”.                                                                                                                                                                      Una fonte molto comune di insicurezza radica nel fatto che spesso aspettiamo dal mondo esterno più cose di quelle che può produrre. Tendiamo a desiderare subito le cose espresse dai nostri desideri e la necessità che ne consegue di una gratificazione immediata ci porta a forzare il mondo esterno.                                                                                                                                                 Questa richiesta irrazionale di un servizio immediato non contraddice soltanto l’impressione fondamentale che il mondo esterno sia al nostro servizio liberamente (così pensiamo anche di Dio e rimaniamo delusi ogni volta che le sue risposte non sono immediate), ma contraddice anche la fiducia nella vita.                                                                                                                                            Nasce un conflitto, che porta insicurezza emozionale, tra i nostri desideri e il bisogno di controllare le nostre richieste al mondo esterno per non restare frustrati.

 

Richieste limitate portano ad una gratificazione limitata e ciò produce un certo risentimento interiore, oltre una certa ostilità verso il mondo esterno (porta a considerare la vita come una routine con una infinità di frustrazioni).                                                              Sentirsi importanti unicamente per l’aspetto fisico o per ciò che si è capaci di fare, produce insicurezza emozionale. Nelle relazioni amorose le persone si idealizzano e trovano compiacimento nell’affermarsi reciprocamente. Ciò può essere fonte di grande sicurezza, ma anche di insicurezza.

 

 

L’AMORE COME BASE PER LE RELAZIONI UMANE

 

L’amore è fondamentalmente l’offerta di se stessi e del proprio affetto verso l’oggetto amato. L’amore che pone condizioni, che manipola, causa nel bambino un danno simile alla mancanza totale di amore. L'amore che non è autentico favorisce lo sviluppo dell’insicurezza man mano che il bambino diventa adolescente. Gli adulti che non hanno ricevuto amore nella loro infanzia non potranno trasmetterlo ai loro figli. L’insicurezza si trasmette, così, di generazione in generazione.

 

Perché è così importante l’amore                                                                                                                             L’amore è una emozione che ci permette di avere relazioni con gli altri e questa è la principale esperienza di ciascuno di noi nella vita. Grazie al fatto di aver avuto una relazione con i nostri genitori siamo capaci, adesso, di avere relazioni con persone estranee alla nostra famiglia.                                                                                                                                                                             Fin dalla nascita le relazioni con gli altri sono state il mezzo del nostro sviluppo emozionale e della sensazione di benessere. L’amore è l’emozione delle relazioni umane. Le persone che amano veramente gli altri li appoggiano, li proteggono e li rispettano, si identificano con i loro sentimenti e si preoccupano per il loro benessere: “L’amore non fa nessun male al prossimo” (Romani 13:10).                            Quando una persona perde la sua illusione per la vita e abbandona le sue relazioni personali sta contraddicendo la sua natura, si sta isolando dalla fonte che provvede la maggior parte delle sue necessità emozionali.

 

Dio è amore, ciò significa che è una persona che vuole avere relazioni con gli altri. Lui è amore, Lui ama e noi corrispondiamo al suo amore poiché siamo fatti a sua immagine.                                                                                                                                      Dio, essendo una persona ed essendo amore, risponde all’amore che gli viene rivolto. Noi abbiamo una relazione con Dio, anche se non lo vediamo. Abbiamo un’intima relazione con Lui, perché è il padrone di tutte le cose: “In Lui sono state create tutte le cose (Colossesi 1:16-17)…in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti 17:28).                                                                                                          Avere relazioni con gli altri è per noi una cosa naturale, perché siamo fatti a immagine di Dio. Amiamo perché l’amore fa parte della nostra natura. Ciò significa che, quando amiamo qualche oggetto o persona, questo diventa una parte di noi stessi. L’amore non si può espellere, più lo esprimiamo e più cresce.

 

L’ostilità, la colpa e il timore impediscono le relazioni con gli altri e sono, così, incompatibili con la nostra natura. Queste emozioni, quindi, non sono una parte permanente di noi stessi, ma possiamo espellerle, esteriorizzarle e, infine, superarle. Ci sentiamo, allora, liberati.                                                                                                                                                                                         

Ciò non significa che queste emozioni non tornino ad apparire mai più, infatti, davanti ad una nuova situazione, possiamo reagire con ostilità, colpa o timore. Dato che l’ostilità, la colpa e il timore non sono emozioni sociali distruggono le relazioni a base amorosa.            Se, però, queste emozioni negative vengono vinte, il sentimento d’amore può essere ricuperato. La nostra socialità viene restaurata quando i nostri sentimenti antisociali sono superati.

 

Che cos’è l’amore                                                                                                                                              L’amore è identificazione, la possibilità, cioè, di sentire ciò che l’altro sente, come se si fosse una sola persona. L’amore, quindi, dice: “Dato che sento quello che tu senti, penso di essere come te e mi preoccupa il tuo benessere”.                                                     E’ per identificazione che possiamo diventare come la persona che amiamo, perché adottiamo i suoi ideali e le sue abitudini. Per questo abbiamo detto che l’amore è l’emozione delle relazioni. Ci permette, infatti, di avere delle relazioni in cui condividiamo i nostri sentimenti.

Quando abbiamo delle angosce che si possono manifestare con reazioni di ostilità, colpa o timore ci preoccupiamo per noi stessi. Questa preoccupazione blocca la nostra capacità che ci rende sensibili ai sentimenti degli altri.                                                                      In questo modo non riusciamo a identificarci con gli altri e non li amiamo.

 

Come matura l’emozione amorosa                                                                                                                               Nella prima fase della sua vita il bambino pensa che sia questo l’amore: “Mi sento amato quando mia mamma mi fa sentire bene”. Poi incomincia la lotta per il potere con i genitori e il bambino pensa così dell’amore: “Mi sento amato quando mia mamma mi fa sentir bene, quando fa ciò che le chiedo e mi lascia fare quello che voglio”.                                                                                            In una fase successiva pensa così: “Mi sento amato quando mia mamma mi fa sentir bene, quando posso avere quello che voglio e quando vengo trattato in un modo speciale, quando i miei genitori, cioè, mi offrono tutta la loro attenzione”.                                                  Il concetto di amore deve evolversi secondo un processo chiamato maturazione. Se continuiamo a vedere l’amore come lo vede un bambino, resteremo infantili e ci sarà difficile adattarci alla vita quotidiana, che, essendo noi adesso adulti, non potrà offrirci il mondo che si offre ai bambini.

Nell’adolescenza si presentano nuovi stimoli, come il senso di responsabilità e il desiderio di dare amore. Se il processo di maturità non ha subito traumi, ci sentiremo amati adesso quando qualcuno accetta il nostro amore e si offre alla nostra azione disinteressata nei suoi confronti.                                                                                                                                                                                    Da bambini sentiamo amore quando riceviamo delle cure particolari, da adulti quando ci offriamo a qualcuno per aiutarlo.

 

Il principio di intercambio nelle relazioni umane                                                                                                             Tutti iniziamo la nostra vita in una posizione di dipendenza, sentiamo il bisogno di essere amati. La facoltà di amare gli altri, da adulti, procede dall’amore che abbiamo ricevuto durante l’infanzia.                                                                                       Quando amiamo stiamo esercitando un attributo divino, stiamo sentendo, cioè, un’emozione la cui qualità appartiene basilarmente a Dio. Siamo creati a sua immagine. Dio è amore, Dio è colui che ama. Noi rispondiamo al suo amore, abbiamo il bisogno di sentirci amati, abbiamo un bisogno istintivo di avere relazioni con gli altri per raggiungere la maturità e la realizzazione personale nella vita.      Prima di poter amare gli altri dobbiamo sentirci amati e questa necessità viene soddisfatta nell’infanzia grazie all’amore dei genitori.

 

Quando però non è così, l’amore può sentirsi per la prima volta nell’adolescenza, anche se prima è necessario superare il risentimento prodotto dalla privazione precedente dell’amore.                                                                                                                              La nostra coscienza dell’amore divino è intensamente condizionata dall’esperienza che abbiamo avuto dell’amore dei genitori (condizionato o disinteressato).                                                                                                                                                        L’amore, quindi, rientra nel principio di interscambio: una persona ama, se è stata amata. Siamo tutti in una posizione di ricettività per poter poi dare a nostra volta.  Dio ci ha amati per primo: ecco l’amore che ci viene offerto per essere noi, poi, in grado di amare a nostra volta.                                                                                                                                                                            Normalmente salutiamo chi ci saluta, scriviamo a chi ci scrive, facciamo dei regali a chi ce ne fa e facciamo dei complimenti a chi ci tratta nello stesso modo. L’amore offerto di solito produce una risposta amorosa e chi non risponde all’amore generalmente viene cancellato dalla lista.                                                                                                                                                                      Noi, però, grazie all’amore che ci viene offerto incessantemente da Dio, possiamo continuare ad amare chi non risponde al nostro sentimento (amare è anche tollerare, pazientare, perdonare).

 

Può succedere a volte che non riceviamo una risposta immediata in questo gioco di interscambio.                                                   Maria, per esempio, dice ad Anna: “Sei veramente una buona cuoca”. Anna, però, non risponde subito: “Anche tu, però, sei un’ottima cuoca”, ma in un secondo, quando meno se lo aspettava, Maria si sentirà dire: “Hai una pettinatura stupenda”.                                        Si può ritardare la risposta per non dare a vedere la nostra gioia al complimento, o per non far credere che la nostra risposta è un mero complimento. Il piacere di questi interscambi è comunque nella spontaneità. La relazione tra genitori e figli è il classico esempio di un grande ritardo nel rispondere all’amore offerto. E’ per questo che, a volte, ascoltiamo: “Con tutto quello che ho fatto per te, mi ripaghi in questo modo?” Il bambino deve raggiungere l’età adulta prima di entrare nella dimensione dell’interscambio. Se si sentirà amato dai suoi genitori, normalmente li amerà e sarà disposto a prendersi cura di loro quando saranno vecchi, senza, però, sentirsi come se stessero pagando dei debiti.

 

In una vera relazione non esiste il timore di mostrare liberamente i propri sentimenti. L’orgoglioso non partecipa al gioco dell’interscambio, perché si aspetta di essere ammirato, considera sempre inferiore ciò che gli altri gli possono offrire e aspetta sempre il riconoscimento del suo valore, senza bisogno di dare nulla in cambio. Chi si sente inferiore (timore al rigetto) mostrerà sempre i suoi lati negativi. Si aspetta di essere aiutato quando gli altri vedranno le sue mancanze e il suo scarso valore. E’ cosciente soltanto delle sue debolezze e così c’è uno squilibrio nell’interscambio. Mette l’accento non sulle cose che ha raggiunto, ma sui suoi limiti. E’ come il mendicante che elemosina amore. Non avendo avuto uno sviluppo emotivo normale nell’infanzia viene portato a cercare un riconoscimento da parte degli altri (anche se ottenuto prersentando cose negative).

 

L’amore di Dio cosciente compensa questa deficienza e, quindi, guarisce nel modo di avvicinare il prossimo e relazionarsi con gli altri. Da adulti in genere cerchiamo l’unione con quelle persone che compensano i vuoti rimasti nell’età infantile. Se negli altri cerchiamo un padre, tendiamo a pretendere la sua lode, consiglio e attenzione. Nel caso contrario ci sentiamo rifiutati. Il timido non sa che sentimenti provoca negli altri, è preoccupato per quello che diranno e per questo si sente turbato. Fa sentire gli altri come in debito per percepire un rapporto sicuro.

 

 

 

RIORDINA  LE  TUE  PRIORITA’

 

Le priorità di ogni persona determinano il centro del suo amore e il centro del suo amore costituisce la sua preoccupazione principale.                                                                                                                                                                                           E’ normale che qualcosa attiri la nostra attenzione vivendo la vita. Coloro che hanno perso i loro obiettivi vagano senza meta nella vita, incapaci di raggiungere la soddisfazione personale.                                                                                                                          Ci sono obiettivi a breve e a lungo termine, entrambi, però, dipendono dalle necessità di fondo e dai sogni della nostra immaginazione.    Se ho fame e sono stanco, il mio obiettivo immediato è di arrivare a casa per mangiare e riposare. Se sono scapolo, un obiettivo a lungo termine può essere trovare una donna con cui sposarmi e fondare una famiglia. Se sono sposato, forse la mia meta immediata è di pagare i debiti che scadono i fine mese. Una meta a lunga scadenza può essere l’educazione dei figli e crearmi la sicurezza per la vecchiaia.

 

I nostri obiettivi possono variare nel corso della vita, però, in ogni caso, contribuiscono ad organizzare la nostra utilizzazione del tempo e le nostre energie.                                                                                                                                                      Offrono una direzione alla nostra vita, una ragione per agire e aumentano la nostra soddisfazione quando si realizzano. Per poter realizzare questi nostri obiettivi bisogna stabilire certe priorità. Lo studente, per esempio, disciplina l’uso del suo tempo lasciando da parte altre cose, che in altre circostanze cercherebbe di realizzare. L’atleta programma le sue ore per i pasti, il sonno, l’esercizio per raggiungere il massimo del rendimento.

 

Ogni persona che voglia migliorare il proprio sentimento di sicurezza deve riordinare le sue priorità. Se spera che le cose si sistemino da sole, riceverà una grande delusione, lo stesso dicasi per la speranza di vedere svanire i problemi da soli. Il muratore che costruisce una casa non si aspetta che i mattoni e i serramenti si collochino da soli ai posti dovuti, ma deve seguire il progetto che ha davanti ai suoi occhi. Così noi non miglioreremo le nostre relazioni e, quindi, il nostro senso di sicurezza e di realizzazione, se non ci dedichiamo all’introspezione personale (leggere, ascoltare, assistere a conferenze, ecc. non servirà, essendo soltanto un aspetto passivo della questione) e al modo per superare ogni ostacolo che ci si porrà davanti.

 

Incomincia con una ferma decisione                                                                                                                    Giovanna, per esempio, si chiedeva perché non riuscisse a lavare i piatti dopo mangiato. Doveva interrompere il lavoro 2 o 3 volte prima di poterli lavare tutti, perché le venivano in mente un’infinità di altre cose da fare.
Lei associò il problema alla mamma e alle liti che sosteneva con lei riguardo ai lavori domestici che odiava. Questa intuizione, però, non risolse il problema.
                                                                                                                                     Giovanna si impose, allora, di andare lo stesso al lavandino e di considerare il lavoro come suo e non di sua madre, ripetendosi che la madre non ci guadagnava niente dal fatto che i piatti fossero lavati subito.                                                                Forzandosi, così, a lavare i piatti si scontrò con un sentimento di rabbia represso verso la madre. Dopo un certo tempo di disciplina costante Giovanna riuscì a lavare i piatti in pochi minuti (erano solo i suoi e quelli del marito).                                              Giovanna dovette incominciare con una ferma decisione di modificare la sua condotta, lavorando per raggiungere questo obiettivo.

 

C’è chi, in un modo erroneo, si aspetta che si produca un miracolo nella risoluzione di un problema emozionale. L’esperienza che si acquisisce nel superare certi problemi modella il nostro carattere.                                                                                                   Se fossimo liberati istantaneamente da qualche problema emozionale, ci ritroveremmo ben presto in una situazione simile dato che non saremmo cresciuti abbastanza per affrontare la vita su un piano più elevato.                                                                          Giovanna, approfondendo il suo problema, entrò in contatto con la rabbia sviluppata da bambina contro sua madre, che era la responsabile principale delle sue inibizioni. L’ostilità, che sentì verso la madre in un momento del passato, le impediva l’espressione di ogni iniziativa nel lavare i piatti. In questo caso era la madre che guadagnava e lei si sentiva vinta. Se non li lavava, lei era la vincitrice, ma il lavoro restava da fare. Alla fine, piena di conflitti, li lavava. Giovanna fu perseverante in questa sua lotta, tra il dover lavare i piatti, cioè, e i sentimenti che le sorgevano contro la madre (anche da sposata), finché riuscì a uscirne vittoriosa. Adesso è una persona più completa e preparata per affrontare tutte le tensioni della vita.

 

Siamo coscienti dei nostri sentimenti di insicurezza o problemi emozionali? Vogliamo esserne liberati? In caso affermativo dobbiamo iniziare con una ferma decisione di cambio. Accettiamo i nostri errori e pensiamo di essere capaci di correggerli: “Ogni cosa posso in Cristo che mi fortifica”. Vivere non significa soltanto vincere le difficoltà, ma anche mantenerci nella vittoria. La vita si compone di periodi di riposo e di felicità, come anche di tensione e di infortuni. Abbiamo pazienza, la crescita è sempre lenta, mentre i cambi repentini sono labili.

 

L’onnipotenza è un problema di fondo                                                                                                                         

La maggior parte delle persone insicure si lamenta rapidamente di ogni situazione che contraddica i suoi desideri o speranze. E’ come se sopportasse la vita invece di goderne. Forse mostrano il loro risentimento per mezzo di lamentele, critiche, noia, autocompassione e complessi di colpa, come se non meritassero nulla di meglio. Questo risentimento contro tutto quello che li disgusta impedisce loro di accettare soddisfazioni che hanno a portata di mano. Per vivere una vita felice e piena di soddisfazioni dobbiamo accettare tanto le esperienze piacevoli come quelle indesiderabili.

 

La persona immatura, di solito, o si aspetta molto o molto poco. Idealizza le situazioni e si aspetta che tutto sia perfetto, oppure le disprezza e non si aspetta nulla di buono. Se succede qualcosa di buono, si lamenta per la sua breve durata. Se non manteniamo un equilibrio tra ciò che la situazione ci porta ad accettare e ciò che realmente ci aspettiamo, possiamo sviluppare un temperamento infermo. Ci sentiremo continuamente arrabbiati perché non otteniamo ciò che vogliamo, oppure staremo continuamente compatendoci perché ci vediamo obbligati a vivere senza ottenere quello che desideriamo. Il problema risiede nel sottile senso di onnipotenza che caratterizza l’attitudine di ogni persona insicura. Questa sta aspettando continuamente cose irreali, ciò che rende ogni situazione insoddisfacente.

 

Ogni delusione dovrebbe servire per mostrare la fantasia delle sue speranze, ma, invece, rafforza le sue ragioni riguardo la sua insoddisfazione e si sente defraudato dalla vita. Le sue speranze sono in relazione con le sue prime esperienze infantili quando, grazie all’aiuto della madre, otteneva una soddisfazione completa.                                                                                                       Adesso, da adulto, le sue necessità vitali sono molto più complesse ed elaborate, ma continua ancora aspettandosi che il mondo esterno si prenda carico in anticipo dei suoi desideri e glieli garantisca. Il risentimento prodotto nel sentirsi defraudato, la prima volta fu, forse, nel dover aspettare la pappa, sviluppa nel suo interiore un certo odio come risposta. Attraverso gli anni ha imparato a non esprimerlo direttamente, ma a farlo tramite lamentele, critiche e sarcasmo nei confronti del suo prossimo, oppure condannando e criticando se stesso per non aver diritto alle cose buone.

 

Le depressioni sono dovute, in genere, a questo odio diretto verso se stessi, perché non si sono compiute le speranze del cuore. A un livello incosciente l’odio infantile continua a controllare l’adulto insicuro, senza che si renda conto che ciò gli impedisce di godere di tutto ciò che è piacevole. I suoi piaceri sono momentanei e appena perdurano nel tempo incomincia a difendersi incoscientemente contro il sentimento di felicità. L’angoscia l’invade e pensa a frasi come: “Finirà presto…non lo merito…queste cose non dovrebbero succedere a me”. Quando qualcuno si arrabbia perché non ottiene ciò che si era proposto e tutto sembra andare male, tende a sviluppare una visione del mondo in cui nessuno lo aiuta, si preoccupa o coopera con lui. Questa attitudine spesso si orienta verso Dio, così che Dio sembra malvagio, sconsiderato, sadico addirittura nel permettere la sofferenza dell’umanità. Ogni persona, quindi, pensa di trovarsi in un ambiente ostile e deve cercare di difendersi. Questo atteggiamento, però, blocca sottilmente la nostra facoltà per accettare il piacere, poiché accettarlo equivarrebbe a sottomettersi al gioco del nemico, che aumenterebbe la nostra sofferenza quando il piacere dovesse cessare.

 

Dato che le circostanze possono passare facilmente da soddisfacenti a sfavorevoli e problematiche, le persone insicure si difendono contro ciò che è sgradevole evitando il piacere di sperimentare cose gradevoli.                                                                             L’amore e le relazioni che producono soddisfazione rimangono fuori dalla portata della persona insicura, in quanto è dominata da un sentimento interiore di onnipotenza che si aspetta i servigi da coloro che la circondano e che tende, quindi, a utilizzarli. E così, quando qualcuno si dimostra sincero nei nostri confronti o fa qualcosa di buono per noi, ci chiediamo subito: “Che cosa vorrà da me? Nessuno fa qualcosa di buono per gli altri senza aspettarsi nulla in cambio”. In realtà quello che realmente stiamo pensando è: “Non faccio mai nulla di buono per gli altri, se non quando penso di ricevere qualcosa in cambio”.

 

In questo modo la persona insicura provoca la sua solitudine. La sua attitudine onnipotente di voler essere il centro di tutte le cose le impedisce di avere quelle relazioni amichevoli, che sono veramente soddisfacenti. Questa persona deve dominare la sua dipendenza infantile insieme all’odio, che la accompagna, per poter giungere alla maturità emozionale. Quando non riconosciamo l’esistenza di nessuna autorità superiore nella nostra vita, nemmeno Dio, stiamo cercando di essere il padrone di noi stessi. Dirigiamo le nostre vite come se ci appartenessero e ne rendiamo conto solo a noi stessi. Stiamo chiedendo costantemente alle situazioni in cui ci troviamo che ci gratifichino, come se noi fossimo il motivo per cui esistono.

 

A chi appartiene l’onnipotenza?                                                                                                         L’onnipotenza è un attributo di Dio. Lui solo ha il diritto di permettere che succeda tutto ciò che sceglie nella sua provvidenza. Non è solamente il nostro Dio personale, ma lo è anche di tutte le cose. Non vogliamo dire con questo che Dio provoca volutamente le frustrazioni della gente, ma che ha il diritto di renderci frustrati, se nella sua sapienza considera che questa è la cosa più conveniente per la nostra vita. Le nostre frustrazioni possono insegnarci che Lui è buono e che ci ama personalmente. Questo servirebbe per contraddire l’idea corrente che la vita è cattiva in sé e che diventa bella soltanto quando riusciamo a ottenere le cose che vogliamo.

Credo che Dio provochi le nostre frustrazioni, affinché riusciamo a situarci meglio nel suo schema dell’universo, permettendogli, così, di essere Dio.

 

Dio inizia a poter parlare con noi sulla base delle frustrazioni e delusioni che soffriamo, perché queste debilitano il nostro senso di onnipotenza. Lui vuole essere il nostro Dio e ne ha anche il diritto, dato che è Dio e ci ama, così come lo ha dimostrato nel sacrificio di suo figlio Gesù. In Ebrei 12:5-11 Dio descrive se stesso come quel Padre che si prende cura dei suoi figli e ci fa notare che ama ciascuno di noi, malgrado le cose che ci possono capitare. Ci dice anche che agisce come i nostri genitori carnali nel castigarci e correggerci per imparare lezioni che non potremmo imparare altrimenti. Tutti i genitori sanno che un piccolo castigo applicato nel momento adeguato può cambiare il carattere di un bambino disubbidiente.

 

Invece di riconoscere che Dio abita in ciascuno dei suoi figli e che parla loro tramite i fattori onnipotenti che esistono in tutte le situazioni della vita (la libertà del prossimo, i fattori atmosferici, le circostanze della vita), tendiamo a sentire un risentimento verso Dio, come se si trattasse di un tiranno incapace di comprendere e di collaborare con le nostre necessità.                                       Siamo soliti confondere Dio con l’immagine che avevamo dei nostri genitori quando eravamo educati da loro. Anche i cristiani continuano a partecipare alla lotta di potere che caratterizzava la nostra infanzia (controllare i genitori), quando cercano di “seguire il cammino del Signore” in fede.

 

Con frequenza cerchiamo di manipolare Dio in vari modi. Uno consiste nel lanciare le sue promesse contro di Lui: “Signore, lo hai promesso. Aspetto pertanto che risponda alla mia preghiera”.                                                                                                Dimentichiamo, così, la sua promessa di rivitalizzare la nostra fede e che “se gli chiediamo qualsiasi cosa secondo la sua volontà, Lui ci ascolta” (1 Giovanni 5:14). Malgrado ciò il nostro risentimento non scompare e dubitiamo del suo amore, così come dubitavamo dell’amore dei nostri genitori quando ci castigavano. Un altro atteggiamento molto comune nei confronti di Dio e che deriva anch’esso dall’infanzia consiste nel dire: “Dio esaudisce le preghiere degli altri, ma non le mie. Dio ha i suoi favoriti. Prega tu per me, Dio ascolta sicuramente le tue preghiere più delle mie”. Nella misura in cui cresce la nostra fiducia in Dio ci liberiamo dal nostro bisogno di onnipotenza, per lasciarla a chi solo la possiede. Ci disporremo, così, ad ubbidire, invece di reclamare le cose che pensiamo spettarci di diritto.

 

I cristiani dicono di appartenere a Dio, ma non si può certo dire, come succede tra figli e genitori, che pensino e agiscano come Lui. Ci sono tre necessità infantili che interferiscono con una autentica consacrazione e che, così, ci ostacolano nell’entrare in quella dimensione di riposo e di sicurezza che potremmo sperimentare vicino a Gesù (Luca 9:57-62). La prima è quella di vivere in un ambiente lussuoso con tutte le comodità. Cristo disse ad uno dei suoi discepoli: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figliol dell’uomo non ha dove posare il capo”. Chi è disposto a rinunciare ai piaceri e alle comodità materiali per ubbidire a Cristo? Rispondendo affermativamente offriamo la nostra onnipotenza a Dio e nella stessa misura lo amiamo.

 

La seconda necessità infantile è quella di compiacere ai nostri genitori, un impulso che ci mantiene uniti alla loro autorità fino ad un certo punto. In questo modo facciamo dipendere la nostra responsabilità dai nostri genitori e non da dio, così come dovrebbe essere. Dio deve diventare la nostra figura centrale come autorità. Il terzo discepolo, che compare nel testo, desidera seguire Gesù, però prima vuole congedarsi dai suoi familiari. Se qualche persona occupa la posizione preferenziale nel nostro cuore, Dio non possiede il posto che gli spetta, il primo, cioè l’onnipotenza. L’affetto per i nostri familiari è corretto e apprezzato da dio, ma in nessun caso deve sostituire il nostro amore verso di Lui (Marco 12:30 / Matteo 10:37). Cristo deve anteporsi ad ogni piacere materiale, ad ogni figura di autorità, ad ogni persona per la quale sentiamo affetto (Colossesi 3:1-2).

 

La tendenza infantile di ossequiarci con piaceri materiali smetterà di controllarci nel preciso momento in cui collochiamo Cristo al primo posto. Allora diventeremo capaci di accettare le difficoltà senza risentimento e, persino, ringrazieremo per esse. Con questa decisione terminerà anche la nostra tendenza a voler essere i padroni delle nostre vite. Terminerà anche la lotta, nata nell’infanzia, per il potere con le altre autorità, poiché Cristo sarà l’autorità sovrana. Quando sentiamo un affetto incondizionato per Cristo non ci preoccuperemo più per quello che gli altri possano pensare di noi. Raggiungiamo, così, un livello emozionale molto più profondo e i sentimenti di inferiorità e rigetto incominceranno a scomparire.

 

Nella misura in cui siamo capaci di accettare i fattori non modificabili, imprevedibili e inattesi, il dolore e i problemi come un’evidenza del suo messaggio di grazia “venite a me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28), abbiamo fede in Lui. Avremo conferito a dio il nostro diritto alla indipendenza e alla onnipotenza e, così, cresceremo emozionalmente e spiritualmente, diventando più realisti nelle nostre attitudini. Riconosceremo Dio come un compagno autentico e attivo, che coopera con noi nelle circostanze della vita. Incominceremo, allora, una nuova vita veramente soddisfacente e piena di benefici eterni. Accetteremo la sovranità di Dio sulle nostre vite nello stesso momento in cui accetteremo le nostre responsabilità (che devono essere viste come privilegi).

 

Priorità nell’amor proprio                                                                                                                                  L’uomo fu creato a immagine di Dio per glorificarlo. Dio è invisibile e infinito, mentre l’uomo è visibile, tangibile e finito. Dio è la Persona, l’uomo è una personalità che riflette gli attributi propri della natura del Creatore.                                          L’obiettivo della vita dell’uomo è glorificare Dio (1 Corinzi 6:20). Siamo fatti a immagine di Dio per rivelare la sua natura in un modo specifico e tangibile. Siccome Dio è verità, noi dobbiamo essere veraci. Siccome Dio è giusto, noi dobbiamo essere corretti e onesti. Siccome Dio è amore, noi dobbiamo amare gli altri in un modo incondizionato e senza limiti.

 

Dato che tutti gli attributi di Dio si trovano in perfetta armonia, è logico che anche la natura dell’uomo sia un tutto unificato. L’uomo desidera ardentemente raggiungere questa sensazione di unità interiore e tutto ciò che lavora per impedirlo è da vedere come un nemico gravissimo per la nostra mente. Molte forme di malattie mentali sono caratterizzate dalla frammentazione dei processi del pensiero. La sicurezza interiore è uno stato mentale in cui c’è armonia e unità all’interno dei processi mentali e, così, i conflitti interiori sono ridotti al minimo. Come è già stato detto, il senso di sovranità, di onnipotenza dell’uomo provoca conflitti interiori e conduce alla sua frammentazione psichica.

 

La gratificazione immediata dei desideri contrari alla voce della nostra coscienza pregiudica gravemente la nostra mente: il piacere che ci aspettiamo di sperimentare in un dato momento è così gratificante che la coscienza non riesce a dominare la volontà e la persona non riesce a dire “no” o ad “aspettare” (vedi Adamo ed Eva). La morte, conseguenza del peccato, è un processo di frammentazione per cui gli elementi che costituiscono il corpo di un organismo ritornano al loro stato originale. Il peccato iniziò il processo di frammentazione della creazione divina, perché aveva portato Adamo ed Eva a separarsi da Dio, fonte di ogni vita. La autodeterminazione implica ribellione contro ogni autorità e ci produce un senso di colpa o una grave perdita di amor proprio.

 

La necessità di onnipotenza e indipendenza dell’uomo non convertito porta una frattura nell’armonia di Dio, perché ne pregiudica il disegno. Entrando nell’armonia del disegno divino, che richiede rinuncia all’autodeterminazione, sperimentiamo armonia interiore. Ecco perché il timore dell’uomo alla morte è un timore innato. Questa realtà lo mantiene costantemente in una situazione difensiva contro i fatti della vita, poiché questi potrebbero minacciare il suo privilegio di esistere (Ebrei 2:14-15). Nello stesso tempo, però, le forze della morte sono rinvigorite dalla sua condotta indipendente da Dio, unica fonte di vita e di pienezza. Abbiamo una paura innata nei confronti della morte a causa della nostra frammentazione psicologica, ma, grazie alla conversione, anteponiamo Dio a qualsiasi altra cosa e il problema della divisione interiore è così risolto nel momento in cui abbandoniamo i nostri desideri di onnipotenza.

 

Dio ci perdona (Atti 10:43), ci considera degni di ricevere la sua grazia (Efesini 1:6), ci suggella con lo Spirito Santo (Efesini 1:13 ; 4:30), che abita nei nostri corpi, come se si trattasse del suo tempio (1 Corinzi 6:19-20).                                                              Diventiamo, così, partecipi della natura divina (2 Pietro 1:4), che non può peccare o frammentarsi (1 Giovanni 3:9). Così, quando la nostra vita finisce, abbiamo la speranza di stare con Lui eternamente (Giovanni 14:1-3) e avrà fine ogni frammentazione (1 Corinzi 15:54-58).

 

 

 

PERFEZIONARE LE RELAZIONI PERSONALI

 

La cosa più importante nella vita sono le nostre relazioni. Tutto il resto è secondario rispetto alle nostre relazioni con Dio, col prossimo e con se stessi. Il mangiare, il modo di vestire, la casa, il trasporto, la comunicazione, le medicine, ecc. ci offrono una certa sicurezza, ma, pur ammettendola loro importanza nella nostra vita, non possono soddisfare la necessità di amare che ha l’essere umano.   L’uomo può raggiungere la felicità soltanto amando il prossimo, dato che a sua volta ha bisogno di essere amato e gli oggetti materiali non possono dare amore. Senza amore stiamo rinunciando a una parte di noi stessi e pertanto cresce l’insicurezza. Per difenderci da questa realtà incominciamo ad accumulare le cose più svariate, però più cose possediamo e più paura abbiamo di perderle, con aumento dell’insicurezza.

 

Le relazioni sono tridimensionali                                                                                                                              Per avere una sicurezza interiore stabile le nostre relazioni devono essere tridimensionali. Se abbiamo una relazione con Dio e non amiamo il prossimo, ci emarginiamo e tendiamo a perdere il contatto con la realtà. Siamo religiosi, ma estranei alla vita. E’ logico che riceviamo una gratificazione emozionale nell’adorare Dio, perché, in un certo senso, quando lo adoriamo lo stiamo amando. Riaffermiamo, nello stesso tempo, la nostra gratitudine nei suoi confronti e riconosciamo tutto ciò che di male c’è in noi. L’euforia dell’adorazione può sfociare nell’estasi, che può diventare fine a se stessa senza tener presente il prossimo. E’, però, anche una violazione al piano di Dio avere relazioni col prossimo e non con Dio. Nella maggior parte delle relazioni umane è solito mancare l’impegno personale con Dio e quel senso di cameratismo nei suoi confronti, realtà che ci porta ad una mancanza di cameratismo tra le persone. Quando, però, seguiamo il cammino di ubbidienza e amore verso Dio, le nostre relazioni diventano più sincere e degne di fiducia, ciò che comporta una maggior gratificazione nella nostra necessità d’amore.

 

Un nuovo orientamento nelle relazioni sociali                                                                                                      

Tutti abbiamo bisogno dell’amore degli altri per verificare i nostri sentimenti verso noi stessi. Se non lo riceviamo, cerchiamo di conservare il nostro amor proprio per mezzo di sentimenti difensivi di ostilità. In un certo senso l’ostilità sostiene l’amor proprio e lo protegge contro ogni influenza che possa deteriorarlo. Questa azione difensiva può adottare una espressione aggressiva o assumere una certa passività in forma di depressione, autocompassione o autocondanna. Tutti dobbiamo affrontare una serie di frustrazioni, rifiuti e umiliazioni, che attaccano il nostro senso di onnipotenza e il nostro amor proprio. Inoltre, non sempre ubbidiamo alla nostra coscienza o agiamo come dovremmo nell’intento di soddisfare i nostri desideri, sentendoci, poi, colpevole e disprezzandoci.

 

Ecco che, allora, sentiamo la necessità di avere delle relazioni sociali per tornare ad avere fiducia in noi stessi. La soluzione naturale, senza tenere in considerazione Dio, è di intercambiare amore. Tendiamo a gratificare certe persone per ottenere il loro appoggio e i loro elogi. Tutto ciò, però, ci rende più vulnerabili alla critica e al rigetto da parte degli altri e, così, dobbiamo dedicare gran parte del nostro tempo per difenderci da queste reazioni negative. La nostra insicurezza non è dovuta unicamente al problema della natura del nostro amor proprio, ma anche ai mezzi che possediamo per mantenere e accrescere questo amore. Tramite la conversione stabiliamo una relazione d’amore con Dio, accettiamo il suo controllo sovrano su tutte le cose, che ci salva dalla nostra insicurezza, e ci sottomettiamo al suo potere.

 

In questo modo inizia un processo di continua gratificazione al Signore per la sua onnipotenza, invece di sentirci noi onnipotenti per l’uso delle nostre prerogative, e l’amor proprio trova la sua realizzazione nell’identificazione con Dio onnipotente. L’amore che esprimiamo a Dio soddisfa la necessità del valore personale. Il cristiano si sente buono e soddisfatto, perché appartiene a Dio e sa di essere perdonato per gli errori commessi. Dato che la relazione del cristiano con Dio è dovuta alla sua grazia e non a una certa azione virtuosa dello stesso, il cristiano possiede una sicurezza basata su valori assoluti e non su fattori relativi, che possono variare secondo le situazioni della vita. La sicurezza interiore permette che la mente abbia delle relazioni con gli altri su una base totalmente nuova.

 

Il cristiano che dipende da Dio per la sua sicurezza interiore ama il prossimo, non per ricevere un amore che rioffrirà in seguito, ma lo ama per la sua dignità come persona, perché Dio lo ama. Così la nostra relazione col prossimo non consiste più in un mero interscambio, ma diventa disinteressata. Possiamo amare il prossimo in maniera incondizionata, senza aspettarci nessuna ricompensa. Possiamo trattare il prossimo in un piano di uguaglianza quando non chiediamo nulla. Il cristiano può darsi in modo disinteressato, perché la sua necessità d’amore viene soddisfatta da Gesù e può amare per il mero piacere di amare. In Giovanni 21:15-17 Gesù ha voluto dire a Pietro che se realmente lo amava, doveva darsi agli altri senza aspettarsi le lodi da parte loro. Dio stabilisce La nostra relazione con Lui come risultato della nostra fede in Lui, che, però, tende a variare secondo il nostro sentimento riguardo la presenza di Dio. Ciò indica chiaramente che il credente deve vincere in ogni momento la sua inerzia a comportarsi come se non fosse cristiano. Nel caso ciò si verificasse, riapparirebbero le sue insicurezze anteriori e non sperimenterebbe più l’amore disinteressato.

 

Il miglioramento delle relazioni tramite il perdono                                                                                               

Una volta stabilito il contatto con Dio per mezzo della fede siamo obbligati a dimenticarci di ogni sentimento di vendetta verso gli altri. Il rancore è l’ostilità in stato latente e richiede solo una certa situazione per manifestare quei sentimenti che sono stati accumulati nel tempo. L’uso della vendetta produce un certo piacere, che poi non è tale, ma è solo un modo per riaffermare l’amor proprio. Dato che il rancore e l’ostilità si centrano nelle persone, dobbiamo risolvere questi sentimenti negativi migliorando le nostre relazioni personali (Efesini 4:30-32).

 

Il cristiano riconosce l’onnipotenza di Dio, lo ama e si impegna a servirlo. L’ostilità, invece, equivale ad assumere una posizione di onnipotenza verso gli altri. Questa onnipotenza, accompagnata dalla sensazione di prerogative indipendenti per castigare l’offensore, è in contraddizione con l’impegno del cristiano di amare. Non è logico, inoltre, aspettare il perdono di Dio per i nostri peccati, se agiamo contro di Lui. La confessione del peccato e la ricerca del perdono divino equivale a riconoscere la sua onnipotenza, la sua sovranità su tutte le cose contro il nostro preteso diritto di castigare l’offensore, così come la sua giustizia nei confronti dei nostri desideri (Matteo 6:12,14-15). Dio dice: “A me la vendetta; io darò la retribuzione” (Romani 12:19). Ciò significa che Dio è il padrone di ogni persona e che solo Lui ha il diritto di praticare la vendetta su chi vuole. Il vero perdono, quindi, comprende la rinuncia al diritto di vendicarsi e cerca l’identificazione con l’offensore per amarlo e riconciliarsi con lui.

 

Perché si restauri l’amicizia col nostro offensore è necessaria l’espressione del suo pentimento. In Luca 6:27-49 vediamo come possono essere le relazioni umane una volta riconosciuto Dio come sovrano assoluto. Il cristiano può amare i suoi nemici (vv. 27-29), può essere generoso (vv. 30-35), cortese e riconoscente (v. 35), rispettoso (vv. 37-42)buono in poche parole (vv. 43-45), possiede una base solida per la sua sicurezza interiore (vv. 46-49). Perdonare il prossimo ci aiuta a mantenere Dio al di sopra di ogni cosa e a dargli la precedenza in ogni nostro pensiero.

 

Essere generosi e onorare il prossimo                                                                                                           

La vera generosità deve essere un’espressione del principio disinteressato dell’amore, e cioè non per essere apprezzati, non per liberarci dai nostri sensi di colpa, non per essere contraccambiati. Quando riusciamo ad essere realmente generosi vinciamo gli effetti della cupidigia, l’invidia e l’odio verso chi ha più di noi. I veri motivi per onorare il prossimo sono nella felicità che sentiamo nel ritenere che quella persona meriti l’onore. Onorare è dare il meglio di noi stessi agli altri, chiunque essi siano. Onorare è sentirsi felici quando l’altra persona è ricompensata.

 

Essere osservatori e non critici                                                                                                                           

La critica è un sentimento di ostilità represso. Possiamo valutare le azioni di una persona senza essere critici con lei, cioè possiamo constatare che fa delle cose con cui non siamo d’accordo, rispettando, però, il suo amor proprio e il suo diritto a farle.                   Forse sentiamo la necessità di correggere, ma dobbiamo stare attenti a non ferirla nei suoi sentimenti. Il passeggero di un’auto, per esempio, dice al conducente: “Non ti sembra di andare troppo forte? Vuoi ucciderci tutti?” La persona ostile probabilmente non è cosciente di esserlo, vuole, però, in ogni caso che tutti siano d’accordo con lei.

Se si rende conto della sua ostilità, cercherà di giustificare le sue reazioni. Nel caso in cui la reprimerà, negando la sua rabbia, vorrà che gli altri siano d’accordo con lei per non dover ammettere, così, la sua ostilità. Si aspetterà che gli altri la giudichino correttamente e che la complimentino nei suoi comportamenti. Li tratterà anche come inferiori per conservare, così, il suo falso concetto dell’amor proprio, basato sulla negazione dell’ostilità.

 

La persona ostile si specializza nell’osservazione dei difetti altrui, in questo modo evita di avere relazioni e di dipendere dagli altri. Negando la sua rabbia crea un sentimento di non relazione con il prossimo e giunge persino ad averne paura, dato che si aspetta di essere castigato per la sua attitudine non corretta. Questo sentimento di non relazione con gli altri provoca un’attitudine di critica e sarcasmo, necessario per mantenere le distanze e assicurarsi, così, quel senso di superiorità. Non c’è alcun valore nel cercare i difetti altrui e, se vogliamo correggere la nostra attitudine critica, dobbiamo riconoscere la nostra ostilità e i nostri sentimenti antisociali, come pure il ruolo di giudice che stiamo assumendo e che appartiene soltanto a Dio.

 

L’ostilità espressa attraverso la critica e il sarcasmo impedisce che le nostre relazioni personali siano autentiche. Il contatto che si stabilisce non è per aiutarsi mutuamente, ma piuttosto per scoprire i difetti dell’altro. La persona ostile non sente nessun interesse per i progressi dell’altro. Tutti, avendo subito critiche, nel momento di stabilire un contatto con qualcuno vogliamo verificare, anche se inconsciamente, se si tratta di un amico o di un avversario. Questo stare in guardia limita gravemente i benefici che possiamo ottenere dalle relazioni personali. Grazie alla conversione il cristiano può accettare le critiche degli altri con obiettività. Dato che il suo amor proprio è basato sul sacrificio di Cristo, non si sente minacciato dagli attacchi che gli possono essere rivolti da altri (Romani 8:31-39).

 

La pienezza trovata nel Cristo permette al cristiano di stabilire le basi per trovare soddisfazione nelle relazioni con gli altri, visti come persone, non avendo bisogno di cercare alcun tipo di interesse in cambio. Abbiamo trovato la nostra sicurezza interiore grazie al fatto che amiamo Dio con tutto il nostro cuore. Il nostro amor proprio ha cessato di dipendere dagli altri e siamo capaci di trattare il prossimo alla pari, così come noi desideriamo essere trattati. Ognuno si sente accettato dall’altro, malgrado i suoi difetti, e può confidare in lui (1 Giovanni 1:7). Entrambi sono accettati e perdonati da Dio.

 

 

 

NECESSITA’ PERSONALI

 

Le persone hanno una necessità di fondo, che richiede due fonti di soddisfazione. La necessità basilare è il senso di valore come persona e l’accettazione di se stesso come persona integrale e reale.                                                                                                           

Le due fonti richieste sono: significato (proponimento, importanza, capacità per effettuare un lavoro, impatto) e sicurezza (amore incondizionato espresso concretamente, accettazione permanente).                                                                                                  

Il significato e la sicurezza erano insiti nella personalità di Adamo ed Eva e per questo non vi pensavano. Dopo il peccato, ciò che era attributo è diventato necessità.                                                                                                                                                 Adamo ed Eva si nascosero per timore al rifiuto da parte di Dio e si incolparono mutuamente per timore a ciò che Dio avrebbe potuto far loro. Si sentivano insicuri.                                                                                                                                             Incominciò, poi, una lotta tra l’uomo e la natura. Adamo avrebbe avuto la forza per affrontarla? Incominciò a lottare con una minacciante mancanza di significato.

 

Anche se l’uomo e la donna hanno bisogno delle due fonti di soddisfazione, per l’uomo il senso di valore proviene più che altro dal senso di significato e per la donna dal senso di sicurezza (l’uomo cerca il riconoscimento della società, la donna un matrimonio stabile).       

Un cristiano può vedersi come una persona di valore (chi non è credente cerca il significato e la sicurezza in falsi ideali). Il senso di importanza, come cristiano, dipende dalla comprensione che si percepisce in Cristo. Mi sentirò importante nel momento in cui, per mezzo del servizio, influenzerò la gente che mi circonda sulla base delle cose eterne.                                                                       

Se certi punti fermi dovessero crollare, come il lavoro, la famiglia, la Chiesa o la casa, posso ancora gioire per appartenere al Signore dell’universo.                                                                                                                                                                             

Lui ha un compito per me e mi ha equipaggiato per poterlo portare a termine. Maturando, tramite l’acquisizione del carattere di Cristo, entrerò sempre più pienamente nel significato di appartenere al Signore e di servirlo.

 

La mia necessità di sicurezza esige che io sia incondizionatamente amato, accettato, considerato adesso e sempre. Dio mi ha conosciuto nei miei aspetti peggiori e, ciononostante, mi ha amato fino al punto di dare la vita di suo Figlio per me.                                       Questo tipo di amore non lo potrò mai perdere. Per Dio sono totalmente accettevole, malgrado la mia condotta. Non ho pressioni, né per guadagnare e né per cercare di mantenere il suo amore. L’accettazione che Dio ha nei miei confronti dipende unicamente dall’accettabilità di Gesù e dal fatto che la sua morte è stata considerata come il saldo per i miei peccati.                                   Adesso, che conosco questo amore, mi posso tranquillizzare, sicuro che l’Iddio della creazione ha promesso di usare il suo infinito potere e sapienza per assicurare il mio benessere.

 

Questa è sicurezza. Non mi può succedere nulla senza che il mio amante Dio lo permetta. Non passerò per nessuna esperienza senza poter contare sulla capacità che Lui mi darà per affrontarla.                                                                                                        

In questi momenti posso pensare che un Dio sovrano, amante, personale e infinito ha il controllo assoluto su ogni cosa. Su questa base posso riposare sicuro.                                                                                                                                                                    

La mia accettabilità in Cristo non mi autorizza a vivere negligentemente. La Bibbia mi insegna che devo rendere conto a Dio del modo come vivo.                                                                                                                                                                                  

Se intendo la responsabilità, ma non l’accettabilità, vivrò sotto la pressione di agire bene col fine di essere accettato. Se intendo l’accettabilità, ma non la responsabilità, probabilmente diventerò indifferente alla vita di peccato.                                          

Quando capisco questi due aspetti mi sentirò stimolato a gradire Colui che morì per me e cercherò di non causargli dolore perché l’amo.                                                                                                                                                                                   

L’uomo del mondo ha sostituito in parte queste due necessità basilari con il potere e il piacere. I parenti stretti di questi due impulsi sono la violenza e l’immoralità.

 

 

 

PERCHE’ FACCIAMO QUELLO CHE FACCIAMO

 

Perché, malgrado le nostre migliori intenzioni, non riusciamo a mettere in pratica i nostri buoni proponimenti?                                

Nel farci questa domanda non è raro ascoltare una serie di cliché evangelici del tutto inutili, come: “Non confidi nel potere del Signore, stai dipendendo dalle tue forze…Dimenticalo e metti tutto nelle mani del Signore…Prega con più fervore per essere liberato, invoca il sangue di Cristo e il tuo problema sparirà”.                                                                                                                                    

I problemi, però, non scompaiono e molte persone, che cercano sinceramente di cambiare, sperimentano seri problemi di colpa, che non hanno altro risultato se non quello di aumentare le loro difficoltà relativamente all’autocontrollo.                                               

Perché facciamo quello che facciamo, anche quando coscientemente non vogliamo farlo? La risposta non è semplice. Vediamo, adesso, di descrivere alcune teorie sulle motivazioni umane con riferimento alla visione biblica dell’uomo:

 

1) La motivazione dipende tipicamente da uno stato di necessità, cioè siamo motivati a soddisfare delle nostre necessità.                    

2) La parola motivazione si riferisce all’energia o forza che dà luogo a delle condotte, o comportamenti specifici. Prima di essere un comportamento specifico l’energia dominante passa per la mente ed è lì dove prende la sua direzione. Mi sento motivato a soddisfare una necessità e, perciò, elaboro certi comportamenti che nella mia mente penso la soddisfaranno.                                                      

3) Il comportamento motivato si dirige sempre verso una meta. Credo che qualcosa soddisfarà la mia necessità e questo qualcosa diventa la mia meta.                                                                                                                                                                                 

4) Quando non si può raggiungere quella meta (o quando ci si rende conto di non poterla raggiungere) si produce uno stato di squilibrio, che viene percepito in modo soggettivo come ansietà.                                                                                                                     

La necessità non soddisfatta diventa una fonte di emozioni negative. Cioè, quando non riesco ad ottenere ciò che ritengo essermi necessario per sentirmi sicuro e importante, mi sento inutile.                                                                                                         

Mi sento, allora, motivato ad evitare che la mia necessità di sentirmi importante, ossia di avere valore, continui ad essere offesa, realtà che realizzo riducendo i sentimenti di inadeguatezza e insicurezza.                                                                                                

5) Ogni comportamento ha la sua motivazione. Non esistono persone senza motivazioni. La pigrizia, l’indecisione, il ripensamento sono spesso motivati dal desiderio di proteggersi da un sentimento maggiore di inutilità.

 

Ogni comportamento ha la sua ragione di essere. Per poter intendere il perché di un comportamento dobbiamo conoscere la necessità che l’ha motivato, ciò che la persona ritiene soddisfarà questa necessità, la meta a cui tendere fissata dalla sua mente e il suo successo o insuccesso nel cercarla.                                                                                                                                                             

Per esempio, ho bisogno di sentirmi importante, di avere un valore e un significato nella vita e, così, mi sento motivato a soddisfare in qualche maniera questa necessità (punto 1).                                                                                                                                  

Un sistema di valori sbagliato, sviluppato da questo mondo, mi ha insegnato che per essere importante bisogna avere soldi e questo mi fa pensare che il successo finanziario sia lo strumento che apre la porta al senso di importanza e di valore (punto 2).                            

La conseguenza è che la mia meta, adesso, diventa accumulare la più grande fortuna possibile (punto 3).

 

Malgrado sia d’accordo con la Bibbia che il vero tesoro è quello che si accumula in Cielo, continuo a sentire un impulso interiore che mi spinge a fare soldi.                                                                                                                                                                     

La preghiera, il pentimento e la consacrazione mi fanno sentire meglio per qualche tempo, ma il desiderio di fare soldi rimane saldamente radicato nel mio cuore.                                                                                                                                                

Il mio vero problema non è l’amore al denaro, ma la supposizione sbagliata, acquisita in questo mondo, che il valore personale dipende dai soldi che si hanno.                                                                                                                                                                   

Finché non rifiuterò deliberatamente questa idea, vorrò sempre fare soldi, anche in presenza di ripetute confessioni a Dio di questo mio peccato.                                                                                                                                                                               

Se riuscirò ad accumulare una fortuna, probabilmente mi sentirò colpevole, perché so che questo mio desiderio poggia su una base sbagliata, ma interiormente è facile che mi senta bene. In caso contrario, non riuscendo cioè a fare soldi, mi sentirò inutile (punto 4).  

Paolo dice che la trasformazione dipende dal rinnovamento della nostra mente. In altre parole, la nostra energia motivante può canalizzarsi in direzioni diverse, se cambiamo le nostre idee relativamente a ciò che può soddisfare le nostre necessità.                      

I miei sforzi per cambiare dovrebbero centrarsi non sulla mia condotta, ma sulle mie idee sbagliate.

 

Quando le nostre mete non vengono soddisfatte è possibile la comparsa di giramenti di testa, di emicranie, di problemi psicologici come depressioni, ansie, insonnia, o un senso di fatica.                                                                                                                     

Questi problemi hanno l’utile funzione di ammortizzare la sofferenza di sentirsi inutili. Posso consolarmi credendo che, se non fosse per questo disgraziatissimo problema, avrei molte possibilità di raggiungere il successo.                                                                  

In questo modo il mio valore viene salvaguardato di fronte all’insuccesso finanziario. Che utilizzato siano intenzionali o no, questi sintomi sono effettivi nel ripararmi da una sofferenza superiore, quella, cioè, di dover ammettere di non avere valore (punto 5). Quando non posso evitare di ammettere il mio senso di inutilità, il suicidio diventa nella mia mente una alternativa razionale. Il suicidio può essere utilizzato come una manovra destinata a proteggere il mio senso di valore personale.                                               

Vediamo, adesso, una gerarchia di necessità. La più bassa nella gerarchia deve essere soddisfatta prima che la persona si veda motivata a soddisfare la necessità successiva. Ecco le 5 necessità basilari:

 

- Vita fisica (elementi necessari per mantenere la vita fisica, come cibo, acqua, ecc.)                                                                          - Sicurezza (fiducia ragionevole che le necessità fisiche nel futuro potranno essere soddisfatte)                                                        - Amore (cioè sicurezza affettiva o garanzia di essere importante per qualcuno)                                                                               - Proponimento (cioè significato)                                                                                                                                                      - Autorealizzazione (cioè l’espressione delle più alte qualità di umanità: lo sviluppo di se stesso come una persona piena, creativa,     autentica).

 

L’amore, o sicurezza, è una necessità più importante di quella del significato, o valore personale. Bisogna, però, che entrambe siano soddisfatte prima di vedermi motivato ad esprimere veramente chi sono, perché, fino a che non godo di sicurezza e significato, non mi sentirò realmente qualcuno.                                                                                                                                                       L’uomo è un essere finito e personale. Come essere finito dipende da risorse esterne per soddisfare le sue necessità, è un essere contingente.                                                                                                                                                                               

Le sue necessità come creatura fisica finita corrispondono alle due prime necessità della lista. La terza e la quarta necessità della lista (amore e proponimento) corrispondono a quelle che vengono chiamate necessità personali dell’uomo: sicurezza e significato.        L’autorealizzazione, l’ultima e superiore necessità della lista, si approssima al concetto biblico di maturazione in Cristo, che consiste nello sviluppare quegli attributi che caratterizzano il Signore e nell’esprimere il nostro valore datoci da Dio nell’adorarlo liberamente e nel servire altri mediante l’esercizio dei nostri doni spirituali.

 

Le prime 4 necessità sono essenzialmente egoistiche, nel senso che ci portano più a prendere che a dare. Solo l’ultima, la necessità di autorealizzazione, permette una motivazione disinteressata centrata negli altri.                                                                               La salute mentale è in funzione del grado di “interesse sociale” presente nella persona. Il nostro accento sull’individualismo ha fomentato la supposizione che la mancanza di conflitti dipende dall’avere tutto ciò che desideriamo nel momento in cui lo desideriamo.                                                                                                                                                                      L’elemento essenziale per l’adattamento dell’uomo alla vita è la sua preoccupazione per il bene sociale. Ogni tentativo di soddisfare le necessità personali al di fuori di una relazione con Cristo non riesce a raggiungere la meta propostasi.

 

Queste persone non riusciranno a districarsi dai punti 3 e 4. Siccome non sono soddisfatte e non riusciranno ad esserlo nella maggior parte delle loro necessità personali fondamentali, saranno sempre sospinti da una motivazione occulta che tende a trovare sicurezza e significato.                                                                                                                                                                             

Sono condannati all’egocentrismo, finché non riescono a superare gli stadi 3 e 4, cosa che non è possibile fare senza la presenza di Gesù. Molti interessi umanitari nascondono il bisogno di sicurezza e di significato.                                                                        

Dio, che vede nel profondo del nostro cuore, non può accettare un comportamento che in qualche modo sia motivato dall’egoismo.

 

- Dio soddisfa le nostre esigenze fisiche (Matteo 6:33)                                                                                                                  

- Dio soddisfa le nostre preoccupazioni per il domani (Matteo 6:34 / Filippesi 4:6,19)                                                                     

- Dio soddisfa la nostra necessità di amore, o sicurezza (Romani 5:8 ; 8:35-39)                                                                               

- Dio soddisfa la nostra necessità di significato (Filippesi 1:21 / Efesini 2:10 / Salmo 103:4