LA  STRUTTURA  DELLA  PERSONALITA’

 

 

La mente cosciente

Quando c’è un fatto esterno che attira la mia attenzione, la mia risposta ad esso è rivolta in primo luogo verso me stesso. Forse non me ne rendo conto, ma sto rispondendo in forma verbale per valutare l’avvenimento.

Se una mattina, per esempio, destinata ad una gita in campagna, svegliandomi mi rendo conto che piove, è probabile che consideri la situazione con pensieri come: “Che sfortuna, proprio stamattina. E’ un mese che aspetto questo giorno. Che disdetta!”

La mia reazione emozionale è negativa. Se mi domandano perché sono depresso, probabilmente risponderò: “Perché sta piovendo”.

Questa, però, non è la risposta corretta. La pioggia non ha potere per deprimere, ma una forte valutazione della pioggia a livello mentale, sì. In altre parole, non sono gli avvenimenti che controllano i miei sentimenti, ma è la valutazione che ne ricavo che condiziona il mio animo.

 

Il modo, quindi, come una persona percepisce ciò che sta succedendo influenza le sue reazioni emozionali e il comportamento.

Se percepisce ciò che sta succedendo come una minaccia alle sue necessità personali, sperimenterà forti sentimenti negativi e agirà di fronte all’accaduto in una forma difensiva della sua personalità.

A volte cercherà di cambiare la situazione (marito e moglie sono specialisti nel tentativo di cambiare il partner, affinché le loro necessità siano meglio soddisfatte).

A volte si ritirerà indietro per evitare di soffrire ancor di più.

Se, però, il fatto viene percepito come tendente ad innalzare la sua persona, l’individuo si sentirà bene (ha bisogno di sentirsi considerato, di riconoscimento). Se il fatto non viene percepito come importante per le sue necessità, è probabile che l’individuo non abbia reazioni emozionali profonde.

Il modo in cui una persona valuta mentalmente un fatto determina come si sentirà di fronte ad esso e come agirà in risposta allo stesso.

Una definizione di mente: “La sede della coscienza riflessiva che abbraccia le facoltà di percezione e comprensione, oltre a quelle di sentire, giudicare e determinare”, o più semplicemente: “Quella parte della persona che dà valutazioni coscienti e include giudizi morali”.

 

 

La mente inconscia

“E’ la sede di supposizioni basilari che danno alle persone, con fermezza ed emozione, l’idea di sapere come soddisfare le loro necessità di significato e sicurezza”.

Ognuno di noi è stato programmato nella sua mente inconscia per credere che la felicità, il valore, la gioia e tutte le cose buone della vita dipendano da qualsiasi cosa che non sia Dio.

La nostra carne (la disposizione innata ad opporsi a Dio) ha risposto prontamente al falso insegnamento del mondo che siamo sufficienti a noi stessi.

Satana ha stimolato lo sviluppo dell’idea che possiamo soddisfare le nostre necessità, se soltanto avessimo……(lo spazio vuoto si riempie a seconda del temperamento della persona e del suo ambiente familiare e culturale).

Tutti noi ci formiamo un’idea falsa su come poter risolvere e soddisfare le nostre necessità.

 

Nel punto precedente abbiamo affermato che le cose che ci diciamo coscientemente influiscono notevolmente sui nostri sentimenti e sul nostro modo di agire.

Adesso possiamo vedere dove si originano queste parole. Sorgono dalle false supposizioni che alimenta la nostra mente inconscia.

Questo credo errato, di cui difficilmente ci rendiamo conto, determina il modo di valutare le cose che ci capitano in questo mondo e a sua volta questa valutazione controlla i nostri sentimenti e il nostro comportamento.

La battaglia è nella mente. Ciò che una persona crede influenzerà tutta la sua persona.

Se, per esempio, credo che il mio valore dipenda dallo sviluppo di un talento, nel non riuscirci (imparare a suonare uno strumento, o qualsiasi altra cosa) vedrò la cosa molto negativa, perché diventerà una minaccia per il mio senso di autostima.

Allora mi sentirò insignificante,forse raddoppierò gli sforzi per dominare lo strumento, o cercherò una scusa per salvaguardarmi. Dovessi rompermi accidentalmente la mano, potrei usare questa situazione per proteggere il mio valore personale dicendo: “Che sfortuna! Proprio adesso che ero vicino al successo…”

Oppure mi ritirerò in una inattività depressiva prodotta da un profondo senso di inutilità e accettata come mezzo di protezione davanti ad altri possibili insuccessi futuri.

 

Ecco alcune idee comuni errate:

- Devo avere successo negli affari per sentirmi importante. Valore monetario equivale a valore personale.

- Se voglio sentirmi sicuro, non devo permettere che mi critichino. Tutti mi devono approvare in ciò che faccio.

- Altri devono riconoscere le mie capacità, se voglio sentirmi come una persona di valore.

- La mia sicurezza dipende dalla mia maturità spirituale.

- Il mio valore dipende dal successo che raggiungo nel mio ministero.

- Non devo fallire (cioè Non raggiungere un livello di successo arbitrariamente stabilito, che normalmente tende alla perfezione), se voglio considerarmi onestamente come una persona di valore.

Se la nostra valutazione dei fatti che ci capitano dipende da concetti come questi, non c’è da sorprendersi che molte persone si sentano ansiose, colpevoli o risentite.

Una donna, la cui sicurezza dipenda dall’assenza di critiche, non reagirà amabilmente di fronte ai commenti negativi del marito relativamente alla sua capacità come donna di casa. Il risentimento che ne deriva non è una risposta diretta alla critica, ma piuttosto alla sua necessità di sicurezza minacciata.

Se imparasse a separare il suo valore come persona dall’approvazione del marito, la stessa critica le provocherebbe una reazione più tranquilla. Altrimenti reagirà con  ansietà (sono realmente capace di portare avanti una casa? Se non so fare neanche questo, non valgo proprio niente), senso di colpa (il mio lavoro non è mai fatto bene, forse Dio mi sta castigando. Sono proprio un’incapace), o risentimento (con che coraggio critica il mio lavoro? Mi sta togliendo il mio senso di valore e questo mi disturba).

 

Esplorare il sistema di supposizioni di una persona significa far luce su una forma di pensare che fino a quel momento è stata sommersa nell’oscurità.

Poche persone ricevono bene le rivelazioni sgradevoli riferite a se stessi. La resistenza a confessare le proprie motivazioni egoiste acquista varie forme, che vanno da una negazione diretta fino a una vaga confusione. Scoprirsi per quello che si è può risultare penoso, perché ferisce il nostro orgoglio e oscura la buona opinione che abbiamo di noi stessi.

La Bibbia dice che siamo maestri nell’autoinganno e che abbiamo bisogno di un aiuto soprannaturale per vederci come siamo realmente (Geremia 17:9-10).

L’esplorazione profonda e onesta delle camere interne della personalità è un privilegio speciale di Dio. Senza l’assistenza dello Spirito Santo nessuno percepirebbe, né accetterebbe la verità riguardo la sua visione egocentrica e sbagliata della vita.

La resistenza si potrebbe definire come lo sforzo del soggetto per evitare che affiori alla coscienza il materiale inconscio doloroso.

 

Questa resistenza possiamo considerarla sotto due aspetti:

- Un’idea che si è radicata, rafforzata e che ha guidato il comportamento attraverso molti anni si presterà malvolentieri a un cambio. Questa idea diventa comoda, come un paio di scarpe usate, e qualsiasi cambio, anche se mantenere la vecchia posizione può essere doloroso, risulta come una minaccia.

- La mente inconscia forma delle attitudini e non soltanto delle valutazioni (mente cosciente). Le attitudini hanno delle componenti affettive (emozionali) oltre che conoscitive. Si sviluppano in una atmosfera emozionalmente caricata dal desiderio, che hanno le persone, di soddisfare le loro necessità.

 

Quando la persona accetta una certa idea del mondo e adotta una strategia per potersi sentire valorizzata, si afferrerà alla sua idea sbagliata con una tenacità feroce.

Ribaltare questo suo credo è come toglierle il terreno sotto i piedi. Solo in una atmosfera che offra sicurezza potrà guardarsi dentro apertamente ed aprirsi a cambi eventuali.

 

Direzione di fondo (il cuore)

Il cuore rappresenta le intenzioni fondamentali della persona, cioè il perché e per chi scegliere di vivere. Così capiamo la ragione dell’affermazione dell’apostolo Paolo: “Per me il vivere è Cristo”.

 

La volontà

Le persone hanno la facoltà di scegliere il loro modo di comportarsi. Normalmente decidono di fare ciò che a loro sembra avere un senso.

Le percezioni e le valutazioni della vita determinano la linea di condotta che uno si propone seguire. La libertà di scelta di una persona è condizionata dai limiti della sua comprensione razionale. Bisogna, quindi, dare luce alla gente perché possano scegliere per Cristo e questa è l’opera dello Spirito Santo.

La volontà è una parte reale della personalità umana che ha la funzione di scegliere responsabilmente il comportamento da avere sulla base di ciò che ci insegna la Bibbia.

Nella misura in cui il cristiano segue il cammino della rettitudine aumenta la sua capacità di prendere decisioni corrette di fronte alle avversità e alle tentazioni. Diventa un cristiano più forte a cui Dio può affidare responsabilità maggiori.

 

Le emozioni

La finalità del consiglio si potrebbe definire come uno sforzo per imparare a “pensare correttamente” per poter scegliere un “comportamento corretto” e, quindi, sperimentare “sentimenti corretti”.

Alcuni pensano che, se camminiamo col Signore e confessiamo ogni peccato conosciuto, ci sentiremo bene sempre.

Altri pensano che è possibile che i cristiani abbiano emozioni negative, ma che queste devono restare occulte e chiuse a chiave, senza venir mai espresse. Per queste persone le emozioni penose sono una macchia vergognosa per la testimonianza cristiana e così si sforzano in tutti i modi per impedire che si vedano all’esterno.

Alcuni sentimenti negativi, anche se atroci, sono perfettamente accettabili perché  costituiscono esperienze normali nella vita cristiana e possono coesistere con un profondo sentimento di pace e allegria.

Altri sentimenti negativi provengono da forme di pensare e di vivere peccaminose. Anche questi, però, non dovrebbero essere nascosti, ma piuttosto affrontati, esaminando le loro cause e facendo qualcosa di costruttivo per rimediare al problema. Come distinguerli? Ogni sentimento che blocca l’amore e la compassione è peccaminoso.

 

Ecco alcuni esempi:

- Depressione:

Autopreoccupazione, autocompassione, disfattismo. Non c’è interessamento per gli altri e, quindi, nessuna azione in favore di altri.

- Angoscia:

Profonda sofferenza di fronte a circostanze difficili, dolore emozionale per una perdita, ricerca dell’anima quando sorgono problemi (Luca 22:44).

- Colpa paralizzante:

Sentimenti di inutilità e auto castigo che non portano a passi positivi per risolvere il problema. Molte volte servono come scusa per non lavorare responsabilmente nelle aree problematiche.

- Dolore costruttivo:

Attitudine di contrizione e dolore di fronte agli errori commessi, che conduce a un cambio di condotta (2 Corinzi 7:8-10).

- Risentimento:

Guardare rancore, permettere che il sole cali molte volte sulla nostra collera, condotta motivata dalla vendetta.

- Ira:

Reazione di fronte al male morale, che implica un’affermazione della santità di Dio e riprende il peccato con la finalità di vendicarne la santità e restaurare l’offensore nella sua comunione con Dio.

- Frustrazione:

Cedere alla voglia di “abbandonare”, non vedere che valga la pena “provare ancora”, sforzo frenetico per cambiare, furia latente di fronte ai problemi insolubili.

- Nonconformismo ragionevole:

Preoccupazione per circostanze difficili, che conduce da una parte a pianificare il modo per cambiarle e dall’altra, se questo è impossibile, a un atteggiamento di accettazione delle cose sgradevoli con la convinzione che Dio può operare in qualsiasi situazione.

- Ansia:

Timore di fronte ad un avvenimento che si prospetta come sgradevole, sia in forma specifica che vaga, così forte da condizionare il comportamento (timore, per esempio,  rispetto al modo come qualcuno mi risponderà).

- Preoccupazione:

Prevenzione di un possibile avvenimento futuro, che non produce una disubbidienza a Dio, ma piuttosto una anticipazione intelligente (Proverbi 6:6-11).

 

In ogni caso le emozioni negative si possono attribuire ad una supposizione errata riguardo il modo di soddisfare le necessità personali.

L’ansietà, il risentimento e la colpa sono i problemi di fondo, che si nascondono dietro tutte le altre difficoltà personali. Se credo che tutto ciò di cui ho bisogno è Dio e ciò che Lui sceglie di darmi, non sperimenterò nessuna di queste emozioni.

La colpa viene dal credere che ciò che Dio provvede non è sufficiente e dal cercare fuori dalla sua volontà quello che Lui non ha pensato per me.

Il risentimento viene dal credere che le mie necessità sono minacciate da qualche cosa che Dio ha permesso nella mia vita.

L’ansia è il timore di non ricevere qualcosa di cui ho bisogno.

 

Il modo di pensare errato che il credente ha assimilato nella sua vita è presente ancora nella sua mente, ma ora è in grado di decidere deliberatamente di valutare il mondo secondo il punto di vista biblico.

Il credente, quindi, valuta la sua vita secondo la prospettiva di Dio e opera in conformità a ciò che Lui gli indica. Questa persona sperimenta un profondo senso di valore personale e conosce per esperienza il frutto dello Spirito.

Il cristiano carnale vive per se stesso, continua a valutare il mondo da una falsa prospettiva e di conseguenza opera in un modo egoista, disubbidiente e senza compassione. Pensa, agisce e sente come un incredulo.

 

 

 

 

COME  SI  ORIGINANO  I  PROBLEMI

 

Nella persona esistono necessità primarie e secondarie. Quelle primarie sono rappresentate da “significato” e “sicurezza”, mentre quelle secondarie o acquisite sono semplicemente quelle cose che nella nostra vita sono state il mezzo per soddisfare le nostre necessità primarie.

Le persone spesso affermano che hanno bisogno dell’approvazione degli altri. Non è, però, del tutto così, perché ciò di cui in realtà hanno bisogno è “sicurezza”.

Un padre severo può opprimere un figlio a tal punto che questi passerà tutta la sua vita cercando di essere gradito agli altri. E questo per godere di una buona relazione che viene associata inconsciamente all’approvazione del padre.

Questa persona, però, non ha bisogno di approvazione, ma di sicurezza. L’approvazione è una necessità acquisita, la sicurezza è una necessità primaria.

 

Le persone non potranno smettere di cercare soddisfazione ai loro bisogni di significato e sicurezza, ma potranno liberarsi dal bisogno di certi mezzi acquisiti per soddisfare le loro necessità primarie di significato e sicurezza, se questi mezzi producono problemi e se possono essere sostituiti da una realtà pacifica in grado di soddisfare queste stesse necessità primarie.

Bisogna distinguere tra necessità e desideri. Abbiamo bisogno di significato e di sicurezza per perseverare in una vita di fedeltà.

Posso vivere una vita piena e di profondo significato senza soddisfare i miei desideri, anche se la mia vita è costellata di angosce. Paolo ne è un esempio. Nessuno, però, può funzionare in forma effettiva senza soddisfare le sue necessità.

 

Nel tentativo di valutare come funzionano le persone, mettiamo al primo posto le necessità personali di significato e di sicurezza, mentre al secondo le motivazioni. La motivazione è l’impulso a soddisfare le proprie necessità.

La direzione in cui mi sento motivato ad andare, nello sforzo di soddisfare le mie necessità, non dipende dalle necessità, né dall’energia motivante, ma piuttosto da ciò che io penso possa soddisfare queste necessità. Mi sentirò motivato, quindi, a fare qualsiasi cosa che ritengo possa darmi significato e sicurezza.

Ai giorni nostri i giovani stanno riconoscendo che le mete a cui i loro genitori hanno dedicato la vita (denaro, prestigio, una buona occupazione, ecc.) non li soddisfano.

Le mete che ci attirano, generalmente, sono artificiali e insoddisfacenti, perché non offrono ciò che le persone necessitano con tanta disperazione: vero significato (un proponimento per vivere) e vera sicurezza (una sensazione positiva di sentirsi amato).

I peccati dei genitori sembrano passare sui figli (Esodo 34:7) quando i figli, sulla base dell’esempio dei genitori, assorbono idee sbagliate riguardo il modo come trovare significato e sicurezza.

Solo i valori assoluti della Bibbia e la pratica dell’amore incondizionato soddisfano le nostre esigenze primarie.

 

Nel mondo si tende a pensare che avremo “significato” se:

Avremo denaro, ci distingueremo, non commetteremo errori, lavoreremo duro, i nostri figli cresceranno educati, saremo apprezzati nell’ambiente in cui viviamo, saremo inclusi tra le persone importanti.

E avremo “sicurezza” se:

Avremo un buon marito, non ci criticheranno mai, saremo accettati da tutti, nessuno ci terrà il muso, si innervosirà con noi o ci rifiuterà.

 

La persona si sentirà minacciata quando le sue necessità non saranno soddisfatte e diventerà ansiosa o risentita.

Se una moglie, per esempio, crede che la sua sicurezza di fondo dipende dal fatto che suo marito la ami, cercherà probabilmente di guadagnare l’amore del marito. Forse, però, non conosce ciò che eccita il marito.

Lo aiuta nel suo lavoro, o amministra con intelligenza il bilancio familiare, ma non si preoccupa di tenersi ordinata o di riceverlo con affetto quando rientra a casa. Il marito si dimostra freddo nei suoi confronti e lei rimane frustrata. E’ ferita e amareggiata.

Ma, poi, si informa come essere una moglie attraente e gradevole. Adesso cerca di preparare piatti speciali, cura il suo corpo, usa un abbigliamento intimo provocante e indossa vestiti eleganti, ecc.

Tutto ciò non è condannabile, però:

- La meta di ottenere l’amore del marito potrebbe non essere raggiungibile malgrado gli sforzi disperati. Che succede, allora? E’ condannata all’insicurezza fino a che il marito cambi o fino al giorno in cui possa incontrare un altro uomo che la ami veramente?

- La motivazione di fondo della donna è egocentrica. Cerca di manipolare più efficacemente il marito per soddisfare le sue necessità.

 

Nel matrimonio cristiano i due sposi sono soddisfatti e il loro intento è di aiutare l’altro a stare più vicino a Cristo. Se il coniuge corrisponde al partner questo amore tanto meglio, ma non è questa la cosa fondamentale. In caso contrario il partner continua a sentirsi sicuro e cerca di servire il coniuge lo stesso, così come Dio indica.

Ogni volta che qualcuno trova sul suo cammino un ostacolo che si interpone nel raggiungimento della meta disperatamente voluta, sperimenta frustrazione. La forma emozionale che assume la frustrazione dipende dalla natura dell’ostacolo.

Se la meta che l’individuo ha fissato è irraggiungibile, la risposta emozionale primaria più frequente è il sentimento di colpa o di inferiorità.

Se la persona crede che la sua meta è raggiungibile (che lo sia o no), ma qualche circostanza esterna blocca il suo cammino verso la stessa, il risultato tipico è il risentimento.

Se l’impedimento non è né una meta irraggiungibile, né una circostanza, ma un timore al fallimento che lo paralizza, la persona generalmente sperimenta ansia.

 

Mete irraggiungibili

Una donna era stata umiliata coscientemente dai suoi genitori, che erano soliti paragonarla negativamente alla sorella. Viveva, quindi, in un ambiente di critica.

Questa donna giunse a credere che i buoni sentimenti verso se stessa (sicurezza) dipendevano dal non venir mai criticata.

Per evitare ogni critica doveva essere perfetta. Il suo obiettivo divenne la meta irraggiungibile della perfezione.

Si sposò con un uomo che la amava veramente. Lei, però, ogni tanto commetteva degli errori. Il marito, quindi, le rivolgeva a volte qualche critica, anche se in forma paziente, amorevole e costruttiva. Lei si sentiva distrutta.

Non poteva incolparlo, perché era chiaramente comprensivo. La colpa era sicuramente sua. Come conseguenza si odiava, si rivolgeva parole di disprezzo e soffriva di un profondo rimorso.

Nessun appoggio dall’esterno la aiutava, anzi peggiorava le cose, perché capiva che la colpa era sua e che era imperfetta.

 

Oltre al sentimento di colpa (un cosciente timore al rigetto), c’era anche rabbia contro il mondo che la circondava (in primo luogo il marito) per aspettarsi da lei la perfezione.

Anche se in questo caso può esserci del risentimento, la colpa è il problema principale ogni volta che si tende ad una meta irraggiungibile, autoimposta, con cui la persona misura se stessa.

Se la persona si assume la responsabilità per non aver raggiunto la sua meta irraggiungibile, si sente inutile.

Spesso questi sentimenti si esprimono in affermazioni di auto disprezzo, atteggiamenti di rifiuto verso se stessi e perdita di motivazione per tornare a provare.

 

Circostanze esterne

Quando il soggetto percepisce che la meta sarebbe raggiungibile, se non fosse per impedimenti esterni, nasce in lui il risentimento.

Il popolo di Israele presenta esempi istruttivi a questo riguardo. Ogni volta che sorgevano situazioni difficili si lamentavano contro Mosè. Il loro risentimento per quei fatti sgradevoli era arrivato a tal punto che erano pronti a lapidare lo stesso Mosè, ritenuto responsabile di tutti i loro problemi.

L’aggressione è la risposta inevitabile di fronte ad un agente frustrante. Se sto cercando di raggiungere una meta e qualcuno frustra i miei sforzi mettendosi in mezzo, sentirò rabbia contro quel tale.

Se, però, l’ostacolo frustrante non è una circostanza esterna, ma una meta irraggiungibile o il timore al rigetto, la frustrazione non produrrà la rabbia aggressiva, ma un senso di colpa o ansia.

 

Una donna soffriva di lancinanti dolori di testa. Si evidenziò che era piena di risentimento verso la madre per aver interferito nella sua vita e contro suo marito per non averla soddisfatta emozionalmente per lunghi anni.

La sua supposizione di fondo era che, per sentirsi sicura, aveva bisogno dell’accettazione e dell’appoggio in tutto quanto faceva da parte della sua famiglia.

Quando madre e marito divennero un ostacolo per il raggiungimento della sua meta si produsse in lei una profonda amarezza contro di loro, che non veniva espressa per timore ad un rigetto ancora maggiore.

Cercava continuamente di cambiare sia la madre che il marito, perché si adattassero meglio alle sue necessità, cosa che non le riuscì mai.

La base di questa sua infermità era un risentimento represso. Aveva violato il principio biblico di Efesini 4:26, e cioè “il sole non tramonti sopra il vostro cruccio”.

Comprendendo che l’amore di Dio era sufficiente per soddisfare le sue necessità e mettendo, poi, questa “credenza non sentita” in pratica, oltre a condividere i suoi sentimenti col marito e a rinunciare alla necessità di cambiarlo, i suoi dolori di testa scomparvero.

 

Timore al rigetto

La meta può essere raggiungibile e ragionevole e il cammino libero da interferenze. Se qualcuno, però, teme di non riuscire a raggiungere la meta, cadrà vittima di una indecisione ansiosa.

La premessa su cui agisce una tale persona è questa: se provo e fallisco, dovrò ammettere di non valere niente e questo non potrei sopportarlo, se non provo mai, posso evitare il fallimento.

La verità è che non provando mai il fallimento è garantito ed è, quindi, l’opzione peggiore.

L’avvicinamento ad una meta, però, può creare dei conflitti. Un tale, per esempio, desidera chiamare al telefono una ragazza per un appuntamento. Man mano che si avvicina alla meta (andare al telefono per chiamarla) si sente sempre più desideroso di raggiungerla. Incomincia, però, a sentire anche una certa inquietudine (nell’allungare la mano per prendere la cornetta sentirà un nodo allo stomaco), ma prende coraggio e chiama.

Oppure, il timore di non raggiungere la meta (la ragazza rifiuterà l’appuntamento) lo blocca. Chiamarla produrrebbe un timore più intenso del desiderio di raggiungere la meta. Retrocedere, quindi, rappresenta in quel momento la meta più agognata e a questa si attiene.

Quando l’ostacolo per raggiungere la meta è il timore al fallimento o al rigetto, l’esperienza emozionale che ne deriva è “l’ansia”.

 

Queste realtà frustranti possono creare stati denominati “preneurosi” e “neurosi”.

Il preneurotico cerca disperatamente di superare l’ostacolo e adotterà nuove strategie per raggiungere la meta.

Il neurotico non cerca più di superare l’ostacolo e sviluppa sintomi o modelli di vita destinati ad evitare un maggior insulto alla sua autostima.

Se c’è stata una lunga storia di fallimenti successivi, o se non vede la possibilità di superare l’ostacolo, la persona frustrata molto probabilmente abbandonerà la sua strategia per un cammino che conduce direttamente alla neurosi. Rinuncia, cioè, alla lotta per sentirsi valorizzato e si colloca in un modus vivendi stazionario: afferrarsi alla poca autostima che gli rimane.

Nei casi estremi in cui non rimane più alcun senso di autostima, l’individuo si ritrae nella psicosi, cioè la rottura totale con un mondo di dolore.

La differenza tra neurosi e psicosi sta, per dirla con parole semplici, nel grado di allontanamento dal mondo reale.

 

Con frequenza ci sono degli stimoli che precipitano i sintomi neurotici. Possono sembrare cose insignificanti, come un bambino che non ubbidisce, un assegno che non può essere riscosso, qualche contrattempo banale…La frustrazione irrompe, allora, in un disperato e urgente desiderio di mettersi in salvo, di fuggire da un’ulteriore sofferenza dovuta al rigetto e al fallimento.

La fuga verso la sicurezza ha varie forme classiche di manifestazione: fobie, disfunzioni sessuali, neurosi ossessive, tic nervosi.

Una persona, per esempio, ha sviluppato la paura nell’attraversare dei ponti. Andando al lavoro deve passare proprio sopra un grande ponte. I sintomi esprimono di solito un mezzo per mettersi in salvo.

Il timore era apparso quando gli era stata proposta una promozione. L’ostacolo era il timore al fallimento, dato che il suo concetto di valore personale era strettamente legato al successo sul lavoro.

Avrebbe potuto superare il problema ammettendo i suoi timori e affrontando la nuova situazione con l’aiuto dei suoi amici. Avrebbe dovuto anche capire che il successo o il fallimento sul lavoro, dal punto di vista di Dio, non determinavano il suo valore come persona.

Passò, però, dalla preneurosi alla neurosi quando, nello sforzo di trovare sicurezza di fronte alla possibile perdita di significato sul lavoro, incoscientemente, ma con un proponimento, vincolò il suo timore ai ponti.

Come risultato di questo suo timore paralizzante dovette rinunciare al suo lavoro e assumere una posizione più bassa, ma più sicura, in una ditta dall’altra parte del ponte. Parlando con gli amici si lamentava che questo assurdo timore gli aveva fatto perdere un buon posto di lavoro, ma in fondo era stato sviluppato ad arte per la sua autoprotezione.

 

I problemi di ansia, risentimento e colpa hanno dei paralleli fisiologici, che nel tempo possono diventare dei veri problemi fisici, come ulcere, dolori di testa o problemi della pelle. Possono avere effetti diretti anche sul funzionamento sessuale.

In conclusione, quindi, i sintomi hanno un significato funzionale. Sono destinati, cioè, dal soggetto stesso sia a superare l’ostacolo (preneurosi) o più spesso ad aiutarlo a evitare possibili frustrazioni future, a salvarlo da urtare nuovamente contro l’ostacolo (neurosi).

 

L’origine dell’ostilità

Ci sono tre diverse emozioni che rendono difficili le relazioni col prossimo: l’ostilità (o aggressività), la colpa e il timore.

L’ostilità dice: “Sei cattivo, non ti voglio più bene”. La colpa: “Sono cattivo, non mi vuoi più bene”. Il timore: “Sono in pericolo, devo proteggermi”. 

C’è un’emozione che ci mette in relazione con la gente ed è quella di dare e ricevere amore. L’amore dice: “Ci apparteniamo l’uno all’altro”.

La sicurezza interiore si sviluppa con l’amore, mentre l’ostilità, la colpa e il timore favoriscono l’insicurezza, dato che non permettono normali relazioni.

Il bambino, per esempio, ha fame. La pappa non è pronta e così incomincia a gridare. La pappa finalmente arriva, ma il bambino è così occupato a manifestare la sua rabbia che la rifiuta e dimentica di avere fame.

Lo stesso succede anche tra adulti (il desiderio vuole sempre prevalere sul mondo esterno, che deve rispondere immediatamente senza la sgradevole attesa).

Oppure circostanze diverse da quelle sperate: il semaforo che scatta al rosso quando siamo in ritardo (la colpa certo non è del semaforo, ma dell’esserci noi alzati o preparati tardi).

 

Una forma molto dannosa di ostilità è l’invidia. Quando desideriamo intensamente una cosa e troviamo qualcuno che la possiede.

Un amico, per esempio, suona il piano alla perfezione. Anche noi avremmo sempre voluto suonarlo e per questo lo odiamo.

L’invidia è la forma più distruttiva dell’ostilità, perché nel sentirla disprezziamo quelle persone che in realtà dovremmo ammirare.

Un’altra forma di ostilità è la gelosia, che si manifesta quando non si viene trattati in un modo speciale rispetto agli altri (tu ricevi l’amore che vorrei per me).

L’ostilità tende a difendere e preservare il proprio Ego, cioè la propria visione e desiderio di come dovrebbero andare le cose.

Gesù ci dice chiaramente di rinnegare noi stessi per vivere in relazione col prossimo.

 

Ci sono tre cause principali che causano l’ostilità.

- Il sentimento di vedersi rifiutato: Voglio avere una relazione con te, ma tu non mi accetti.

- La frustrazione: Voglio che i miei progetti si realizzino, ma trovo degli ostacoli.

- L’umiliazione: Voglio che gli altri mi ammirino e rispettino, ma, invece, mi sottovalutano.

Ogni forma di ostilità è un tentativo di dominare il mondo esterno da parte dell’Ego, con lo scopo di ottenere ciò che desidera.

L’ostilità rompe l’equilibrio dinamico tra l’Ego e il mondo esterno, necessario, però, per mantenere stabile il nostro senso di sicurezza.

L’ostilità viene diretta dall’Ego per ottenere ciò che sembra migliore, ma, in realtà, non fa altro che distruggere più cose di quelle che offre.

 

 

 

 

LE  NOSTRE  RELAZIONI  CON  GLI  ALTRI

 

Una moglie si lamenta perché il marito in casa non muove un dito, mentre lei deve pensare a tutto. Crede fermamente che il suo sposo non compia gli obblighi che gli corrispondono come uomo di casa.

In altre parole, il marito deve soddisfare le aspettative che lei ha nei suoi confronti. Non facendolo, sta offendendo la legge che lei ha creato sugli “obblighi dell’uomo”.

Un marito si lamenta perché la moglie vuole uscire di casa per andare a lavorare. “La moglie deve stare in casa”, protesta lui, “io non laverò mai i piatti!”

Agli occhi di questo marito la moglie, che infrange la sua legge sugli “obblighi delle mogli”, non è una buona sposa.

 

Mettere gli altri sotto la legge, cioè sotto le nostre aspettative, implica dire a noi stessi che gli altri sono obbligati a compierle, corrette o sbagliate che siano.

Questo è uno dei metodi migliori per renderci la vita infelice e rendere infelici anche gli altri.

Queste obbligazioni arbitrarie nei confronti degli altri non fanno parte della Parola di Dio. La nostra vita può diventare una terribile rete di obblighi, perché non solo noi imporremo degli obblighi al nostro prossimo, ma anche gli altri li imporranno a noi.

 

Graziella un giorno confessò: “Mi sento sempre sotto pressione, piena di lavoro, sempre di corsa da un luogo all’altro per soddisfare aspettative altrui. Mi sento come un giocattolo, basta schiacciare il bottone e io corro”.

Graziella compiva la maggior parte delle sue attività con un falso senso di obbligo (casa, figli, genitori, invitati, opere sociali). La maggior parte delle sue attività non erano sospinte da un sano senso di servizio, ma da un falso concetto di quello che le veniva chiesto e che lei si era imposto di fare.

Faceva cose per altri, perché pensava che doveva farlo (auguri, regali, inviti da accettare e da fare). Credeva erroneamente che le relazioni umane fossero basate su obblighi.

Noi, però, abbiamo solo due obblighi fondamentali: Amare Dio e il prossimo (Matteo 22:37-39). Dio è interessato alla qualità delle relazioni e la qualità si raggiunge con il vero amore.

Dobbiamo liberarci dagli obblighi che imponiamo e che ci vengono imposti.

 

Il falso obbligo dice:

- Devo farlo, perché è mio dovere.

- Devo farlo, perché questo è quello che ci si aspetta da me.

- Devo farlo, perché si suppone che debba farlo.

L’obbligo per amore dice:

- Lo faccio, perché decido di farlo.

- Voglio farlo, perché mi interessa.

- Lo faccio, perché voglio.

 

Bisogna trasformare la schiavitù in libertà, la legge in spontaneità, la lettera in Spirito e vita. Molti cristiani vivono schiavi di richieste legaliste a tal punto da sentire sollievo al loro costante senso di colpa soltanto quando possono dirsi: “Dovrei fare questo, dovrei fare quello (come invitare a cena una certa persona)”.

Se mi dico ‘dovrei’ significa che nel fondo non lo desidero. Se mi dico ‘dovrei’ forse, poi, cercherò delle scuse per non farlo. Se, invece, desidero fare una certa cosa sgombrerò il campo da ogni possibile impedimento.

Dio ci ha creati liberi, perché potessimo agire per amore e non meccanicamente come automi. La vera libertà è la possibilità di scegliere come vogliamo agire e vivere.

Abbiamo la gloriosa opportunità di scoprire la personalità di Gesù, di scegliere di amare invece di alimentare la manipolazione, la colpa e i falsi obblighi.

E’ felice un matrimonio in cui i coniugi non fanno altro che compiere le aspettative l’uno dell’altro?

Le nostre aspettative feriscono tanto noi come gli altri. Che succede quando gli altri non fanno ciò che ti aspetti da loro? Che ti succede quando gli altri non ti aiutano, non si preoccupano per te, non ti trattano nella maniera in cui tu pensi dovrebbero trattarti? Che ti succede quando qualcuno fa o dice qualcosa che distrugge le tue aspettative nei suoi confronti (mete, successo, educazione, capacità o felicità personale)?

 

Aspettative antibibliche e risultati che ne derivano

- Esigenze tra sposi.

Ferite, sensazione di non essere amato, di rigetto, di irritazione, insoddisfazione, depressione.

- Esigenze tra amici.

Ostilità, sensazione di disprezzo, disapprovazione, insuccesso, rigetto, inutilità.

- Esigenze tra genitori e figli, e viceversa.

Sensazione di non essere amato, di inutilità, fallimento, irritazione, mancanza di identità.

 

Agendo solo per amore saremmo liberi da:

- Ciò che gli altri possano pensare o dire di noi.

- Ciò che gli altri si aspettano che siamo o facciamo.

- Aspettative che abbiamo verso gli altri e che solo ci lasciano frustrati, perché difficilmente gli altri soddisfano le nostre richieste.

E liberi di:

- Scegliere di essere e di fare tutto ciò che Dio ha pianificato per le nostre vite.

- Amare il nostro prossimo come noi stessi.

 

Lasciamoci muovere in senso naturale dallo Spirito Santo. Noi possiamo amare perché siamo una nuova creatura in Cristo Gesù e perché lo Spirito Santo dimora in noi.

La Bibbia ci dice che il compimento della legge è l’amore (Romani 13:10), non è il dovere, né la responsabilità, né l’obbligo.

“Chi ama il prossimo ha compiuto la legge” (Romani 13:8).

 

Non è buono pensare: “Io voglio”?

Molti cristiani evitano di dire: “Io voglio”, e preferiscono dire frasi come queste: “Penso che dovrei…Sento che è una buona cosa…Mi sento guidato a…”

Quali di queste frasi vorresti sentirti dire:

“Sento che devo visitarti” o “Voglio venire a visitarti”?

“Sento che devo invitarti a cena” o “Sarei felice che tu potessi venire a cena”?

“Mi sento guidato a sposarmi con te” o “Desidero che tu diventi mia moglie”?

Non c’è nulla di male nei desideri che sono in accordo con la Parola di Dio: “Trova la tua gioia nell’Eterno, ed Egli appagherà i desideri del tuo cuore” (Salmo 37:4).

Quando noi gioiamo nel Signore i nostri desideri diventano i suoi desideri, sono puri e lo onorano. I desideri egoisti e malvagi devono essere depositati ai piedi della croce.

 

La manipolazione per mezzo della colpa

Invece di far conoscere i nostri desideri in modo onesto e chiaro, manipoliamo la gente facendola sentire colpevole e poter ottenere, così, ciò che vogliamo.

Ecco alcuni esempi di manipolazione:

Sono esausto, sfinito, stufo di lavorare tutto il giorno. Non mi importa di fare straordinario (menzogna), perché so che desideri una tua macchina. Non mi disturba lavorare tanto (menzogna) per potertela comperare.

Ma sono molto stanco (verità). Tutte queste ore mi esauriscono. Non so dove troverò le forze per portare Alberto alla festa.

La libertà di espressione direbbe: “Questa sera sono molto stanco. Non potresti portare tu Alberto alla sua festa?”

 

La manipolazione dice: “Nessuno mi chiama al telefono. Io, invece, chiamo sempre”.

L’amore dice: “Non hai nessun obbligo nei miei confronti. Ti voglio bene, ma senza legarti a me”.

La manipolazione dice: “Sai che lo sposo di Giulia le porta dei fiori tutte le settimane? Deve amarla veramente. A me nessuno regala dei fiori”.

L’amore dice: “Caro, sarei molto felice che mi portassi dei fiori. Lo farai?”

La manipolazione dice: “Non so come andare in Chiesa. Devo fare 1 km in mezzo alla neve, ma non importa”.

L’amore dice: “Potresti passare a prendermi per andare in Chiesa? No, non puoi? Non ti preoccupare per me, mi arrangerò”.

Smetteremo di manipolare quando diremo chiaramente quello che vogliamo. La manipolazione gioca con il senso di colpa.

Se riesci a far sì che qualcuno si sente colpevole, potrai ottenere ciò che vuoi. Non è questo il cammino del Signore.

 

Susanna usciva tutte le sere, fumava e beveva e aveva relazioni intime con ragazzi.

I genitori si sentivano in debito per averle dato la luce, anzi colpevoli in quanto la madre restò incinta prima del matrimonio.

Cercarono di dare alla figlia tutto quello che era nelle loro possibilità, come in un atteggiamento espiatorio, per renderla felice (migliore scuola privata, vestiti firmati, lezioni di piano, ballo, equitazione e pattinaggio artistico, giocattoli costosi, feste in suo onore, vacanze).

Amavano molto questa figlia, ma il loro amore era impregnato di obbligo e di senso di colpa. Adesso erano frustrati per il suo comportamento.

Utilizzarono minacce, avvertimenti, lacrime, esigenze e accuse destinate a produrle colpa per tutto quello avevano fatto per lei, ma niente funzionava. Dovevano imparare a liberarsi della propria lista di esigenze e aspettative, smettere di usare la manipolazione e parlare invece con amore e in verità.

 

La manipolazione dice: “Susanna, ultimamente non sei mai in casa e noi ogni notte siamo preoccupati per te”.

L’amore dice: “Desidereremmo che questa sera rimanessi con noi. Faremo qualche gioco insieme”.

La manipolazione dice: “ Che significa che non vuoi stare con noi, i tuoi genitori? Non ti rendi conto di tutti i sacrifici che abbiamo fatto per te? Non vuoi passare più neanche una serata con noi che ti vogliamo veramente bene?

L’amore dice: “Capiamo bene che tu voglia uscire questa sera con i tuoi amici, però ci piacerebbe stare insieme”.

La manipolazione dice: “Pensa a tutti gli anni che ci siamo dedicati a te, a tutte le privazioni e a tutto quello che ti abbiamo dato”.

L’amore dice: “Tu sei qualcosa di speciale per noi e per questo ti vogliamo bene”.

 

 

 

 

ATTITUDINI  CHE  ACCOMPAGNANO  PENSIERI ERRATI

 

1) Devo ottenere ciò che desidero per essere felice.

 

Attitudini:

- E’ terribile che non possa ottenere ciò che desidero

- I miei desideri sono la cosa più importante che c’è al mondo

- Vivere senza ciò che desidero implica un’intensa sofferenza

- E’ ingiusto che altre persone abbiano ciò che io desidero e non ho

- Devo fare tutto il possibile per ottenere ciò che desidero

- Sono felice quando posso ottenere ciò che desidero

- Le altre persone devono sentirsi così infelici e frustrate come me quando non ottengono ciò che desiderano

- Altre persone devono avere gli stessi desideri che ho io e perciò mi deprime vedere che non ottengono ciò che desiderano

- Se non ottengo ciò che desidero, deve esserci in me, come cristiano, qualcosa che non va

- Se non ottengo ciò che desidero, è perché Dio non ascolta le mie preghiere.

 

Atteggiamento corretto:

- Dio mi ama e risponde alle mie preghiere

- La Bibbia dice che il Signore non mi lascerà, né mi abbandonerà mai. So, quindi, che tutto nella mia vita sta sotto il suo controllo

- Non è terribile che tutti i miei capricci non ottengano soddisfazione

- Non è terribile che tutte le mie necessità non siano soddisfatte in accordo alle mie aspettative e ai miei piani

- Può non essere piacevole vivere senza certe cose, ma posso farcela lo stesso

- Voglio vivere tranquillo. Posso avere necessità e posso dover affrontare situazioni sconcertanti, ma resterò tranquillo

- Dò agli altri il diritto di avere più successo di quanto possa averne io nell’ottenere ciò che desiderano

- Mi libero della concupiscenza. Rinuncio ad essere una persona gelosa. Mi accontento di come sono

- Decido di amare il Signore Gesù più dei miei stessi desideri e, così, glieli offro, perché Lui li realizzi, li benedica,li rifiuti o li cambi.

 

2) E’ terribile quando mi feriscono nei sentimenti

 

Attitudini:

- Per questo devo evitare le situazioni e le persone che possono ferirmi

- Le persone che mi feriscono sono cattive

- Valgo meno quando ho i sentimenti feriti

- Neanche le altre persone devono venir ferite nei sentimenti

- Devo fare tutto il possibile per evitare di ferire i sentimenti di altre persone

- Le persone che feriscono i sentimenti dei miei cari sono cattive

- Devo far sì che la gente mi tratti con amabilità e che non ferisca i miei sentimenti

- Devo sempre cercare di far sì che gli altri siano felici e di evitar loro problemi, perché così potrei ferire i loro sentimenti

- Devo cercare di mantenermi continuamente sotto controllo. Un cristiano non deve mai sentirsi ferito.

 

Atteggiamento corretto:

- Non significa che non sono più spirituale, se mi sento ferito. Posso sentirmi ferito nei sentimenti, ma continuare ad essere una persona che ama il Signore Gesù

- Non è terribile avere i sentimenti feriti. Mi opporrò a questa condizione nel nome di Gesù

- Decido di avere misericordia con me stesso e di non condannarmi, se mi sentirò ferito

- Il Signore è la mia rocca e la mia salvezza, è il mio difensore e il mio scudo. Non devo avere timore di nulla. Il mio corpo, la mia mente, il mio spirito e le mie emozioni sono suoi

- Lascio agli altri il diritto di ferirmi e di sentirsi feriti. Non sono il salvatore di nessuno. Gesù è l’unico in grado di salvare.

 

3) Per sentirmi felice devo sentirmi amato da tutti

 

Attitudini:

- Devo sforzarmi perché tutti mi amino

- Devo sforzarmi diligentemente per fare esattamente ciò che la gente vuole da me

- Se la gente non mi ama, non posso essere felice

- Le persone che non sono amate devono sentirsi molto infelici

- Le persone che non sono amate devono valere poco

- Se la gente non mi ama, devo valere poco

- E’ terribile non essere popolare

- La gente ha l’obbligo di amarmi

- Le persone famose, popolari e ammirate sono persone di valore

- Se sono famoso, popolare e ammirato, allora sono una persona di valore

- Se nessuno mi ama, sarà meglio farla finita, perché in questo caso la mia vita non ha valore.

 

4) Le cose che faccio devono riuscirmi bene

 

Attitudini:

- Devo difendere tutto ciò che ritengo buono

- Devo lottare per la perfezione in casa mia, sul lavoro, in Chiesa, nel quartiere e in qualsiasi altro posto

- La gente non dovrebbe commettere errori

- Se commetto degli errori, significa che sono un incapace

- Quando le cose escono male, qualcuno deve esserne responsabile e deve venir ripreso.

 

5) Se devo fare qualcosa, devo farla meglio di qualsiasi altro

 

Attitudini:

- Fare male una cosa è terribile e imperdonabile

- Non posso perdonarmi, se lascio qualcosa a metà

- Non posso tollerare un lavoro fatto male

- Non ottenere i migliori risultati e il più alto livello è una macchia nel carattere della persona

- Le persone che non vogliono sforzarsi e comunque avere successo, sono pigre e inette

- La mancanza di successo è segnale di incapacità

- La mancanza di successo è segnale che non si sta facendo lo sforzo dovuto

- Se i miei figli, amici o coniuge non rispondono alle mie esigenze relativamente alle mete da raggiungere, significa che vanno male

- Se non puoi dare il meglio di te in qualcosa, è meglio non fare niente

- Gesù si aspetta che diamo sempre il meglio di noi stessi

- Gesù si aspetta che ci diamo totalmente in ogni cosa che intraprendiamo. Dare di meno non è accettabile

- Gesù è deluso di noi quando facciamo qualcosa in modo mediocre.

 

6) Devo sempre essere contento malgrado le difficoltà e i problemi che mi si presentano

 

Attitudini:

- Sentirmi male o scoraggiato significa non essere un buon cristiano

- La gente scoprirà che non sono un buon cristiano, se mi vede preoccupato o afflitto

- Sarebbe terribile, se la gente pensasse che non sono un buon cristiano

- Devo cercare in tutti i modi che mi ammirino e rispettino

- Devo mantenere una testimonianza perfetta in questo mondo oscuro e crudele, altrimenti Dio non sarà contento di me

- E’ mio dovere convertire il mondo con il mio comportamento e le mie azioni ferme e coraggiose

- Se non accetto le difficoltà e i problemi con un cuore riconoscente, qualcosa in me va male

- Devo essere contento quando mi trovo in mezzo a difficoltà

- E’ peccato piangere e sentire autocompassione. Non devo lasciar trapelare a nessuno che faccio queste cose, se no penseranno male di me

- Nessuno dovrà mai scoprire quanto sono peccatore. Devo nascondere i miei sentimenti e mettermi la maschera della felicità.

 

Le ansie che accompagnano i 6 punti sopra menzionati possono portarti ad uno stato tremendamente infermo (depressioni, frustrazioni, disperazioni o irritazioni), fino al punto di dire: “Non riesco più a sopportare la vita cristiana, è troppo dura!”

Il cristiano non è una persona dominata dalle forze del mondo la cui felicità o infelicità dipende dalle situazioni, dalle circostanze o dagli avvenimenti del momento.

La felicità del cristiano viene dalla sua conoscenza di Gesù e dal potere di Dio che è in lui. Lo Spirito Santo che dimora nel suo cuore penetra tutte le attitudini, credenze, sogni, speranze e pensieri. “Sono completo in Cristo!” Questo è il suo trionfante e veridico monologo interiore.

Ciò non significa che non dovremo mai cercare di cambiare una situazione sgradevole. Non dovremo accettare passivamene ogni sofferenza e dolore, senza cercare di cambiare la situazione. Sarebbe stupido non farlo quando ne abbiamo l’opportunità.

 

Non si può essere continuamente felici e completi per un gioco del destino o per caso. La gioia permanente non è uno stato che viene sulle ali del vento, portando pace e allegria semplicemente perché le cose vanno bene, o perché gli altri decidono che sei una persona di valore, o perché ti capita tra le mani il lavoro ideale.

La felicità non dipende da circostanze felici, dall’approvazione degli altri, da un ambiente gradevole, da comodità, da vantaggi personali, da condizioni igieniche e neanche da una preghiera soddisfatta.

La felicità è uno stato che si impara a possedere. Si può essere felici, quindi, indipendentemente dalle circostanze, dai fatti e dalle situazioni che si devono affrontare.

Possiamo imparare ad essere felici, perché abbiamo deciso che siamo persone di valore. Sappiamo di essere persone di valore, perché Dio lo dice:

“Poiché l’Eterno non rigetterà il suo popolo, e non abbandonerà la sua eredità” (Salmo 94:14)

“L’Eterno è colui che ti protegge; l’Eterno è la tua ombra; egli sta alla tua destra. Di giorno il sole non ti colpirà, né la luna di notte” (Salmo 121:5-6)

“Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio! Quando passerai per delle acque, io sarò teco; quando traverserai dei fiumi, non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco, non ne sarai arso, e la fiamma non ti consumerà” (Isaia 43:1-2).