CONCETTI DI DIO DEFORMATI

 

 

In ciascuno di noi c’è una immagine mentale di Dio. E’ il prodotto di quello che ci hanno insegnato, di esperienze, di ricordi e di sentimenti diretti verso la sua Persona.

Molta gente, e tra questi molti cristiani, vivono in un conflitto interno tra ciò che pensano di Dio e ciò che sentono nei suoi confronti.

Per quanto la dottrina sia corretta se non è sostenuta da un’immagine, una sensazione e una viva impressione che Dio è veramente buono e misericordioso, non può esserci una vittoria spirituale duratura nelle loro vite.

 

Lo Spirito Santo è vero, ci rivela le verità, ma questa deve essere filtrata dalla nostra persona. E quando i ricettori che devono percepire concetti e immagini sono stati gravemente intaccati, le verità bibliche vengono deformate.

E’ anche vero, quindi, che l’uomo crea Dio a propria immagine Anche per il cristiano più sano e normale chiarire i concetti che ha di Dio è un compito che dura tutta la vita ed è centrale per ottenere la maturità in Cristo. Questa è una delle ragioni principali per cui è stata necessaria l’incarnazione.

Siccome le parole (rivelazione scritta e parlata tramite profeti) sono soggette ad essere deformate, Dio si è fatto uomo per darci una vera immagine di se stesso.

Però il problema della deformazione è ancora parzialmente in mezzo a noi, perché il contenuto o senso delle parole che leggiamo nella Bibbia che descrivono Gesù e il carattere di Dio, viene influenzato grandemente dai nostri ricordi e dalle nostre relazioni.

 

Malgrado molti abbiano visto Gesù (chi ha visto me ha visto il Padre) e abbiano in testa il concetto che Dio è amore, spesso dicono: “Non credo che Dio si interessi molto a me e non sono sicuro che sappia della mia esistenza”.

Vedono, così, un Dio implacabile, che non perdona, che serba rancore contro di loro e ricorda i peccati passati Insomma, un Dio legalista che fa continuamente i conti con loro.

C’è chi immagina Dio come un grande occhio, che li osserva in tutto ciò che fanno aspettando di coglierli in qualche errore. Altri vedono Dio con il volto adirato come un uccello rapace.

Molti, invece di confidare in un Dio immutabile nei suoi giudizi e fedele, sono pieni di timori e di ansie, perché pensano che Dio accetti e ami solo quelli che sono “all’altezza delle sue aspettative”.

Vedono Dio come un guastafeste che si diverte a toglier loro tutto quello che dà loro piacere. Vedono un Dio geloso che dice: “Rinuncia a questo, se no te lo porterò via io”.

Non riescono a vedere Dio come un Padre che li nutre e li stimola nel loro sviluppo, o come un buon Padre compiaciuto per ogni passo in avanti fatto nella via della crescita.

Vedono, invece, un Dio costantemente disposto a criticare e a manifestare il suo scontento. Si sentono rifiutati da questo Dio ed entrano in un circolo vizioso, e cioè si sforzano sempre più per essere graditi da un Dio che è impossibile da soddisfare. Vedono un Dio ingiusto verso se stessi, anche se tratta gli altri con giustizia.

 

La causa di questa distorsione nei confronti di Dio è da addebitarsi spesso a relazioni interpersonali non sane, specialmente quelle che hanno avuto luogo durante lo sviluppo negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.

Quando il sistema di ricezione dell’amore è danneggiato la Buona Novella del Vangelo può venir trasformata in una Cattiva Notizia e tutte le promesse positive e gli interessamenti amorosi di Dio possono venir trasformati in rifiuto e minacce (ci si concentra soltanto sui passaggi biblici riguardanti il giudizio).

La visione deformata di Dio può provenire da elementi non voluti, come:

- la nostra natura decaduta

- l’eredità biologica e psicologica

- l’ambiente geografico e culturale

- gli incidenti, tragedie e traumi della vita

 

ma anche da elementi voluti, come:

- aver scelto di dare risposte sbagliate a Dio e al prossimo

- aver albergato risentimenti e rancori

- aver disubbidito volontariamente a Dio

 

Questo atteggiamento porta con sé timore e colpa e rinforza così le nostre percezioni e sentimenti distorti nei confronti di Dio.

Da una parte siamo vittime del peccato e della malvagità di altri, ma dall’altra anche noi siamo responsabili per i nostri peccati. Dobbiamo perdonare molto ed essere anche perdonati. Troveremo pace e gioia permanente nello Spirito quando troveremo un Dio che è come Gesù.

 

Immagini di Dio non rispondenti alla realtà:

- Il Dio legale

Aspetta i nostri errori per definirci dei falliti. A questo scopo non ci perde di vista un momento e annota tutto quello che facciamo.

 

- Il Dio che cattura

Al minimo errore esce dal nascondiglio e ci dice: “Ti ho preso!” come un poliziotto.

 

- Il Dio vacca sacra

E’ seduto tra nuvole di cotone e aspetta da noi sacrifici e offerte ogni giorno.

 

- Il Dio del filosofo

Il motore dell’universo, distante, freddo, trascendente. E’ troppo occupato a dirigere le galassie per curarsi dei nostri problemi. E’ un Dio che non vuole essere disturbato.

 

- Il Dio faraone

E’ un negriero implacabile che aumenta sempre più le sue richieste. Più mattoni, ancora di più, e adesso senza paglia.

 

La nostra immagine mentale della gente determina la forma in cui supponiamo che agiranno nei nostri confronti. La nostra immagine determina anche il modo in cui anche noi agiremo verso di loro (es: se credo che una persona sia sincera quando invece é…… e viceversa).

La maggior parte della nostra ira contro Dio non è in realtà contro il vero Dio, ma contro il nostro concetto che abbiamo di Lui. Dio non è arrabbiato con noi per questa nostra mancanza di fiducia, ma è piuttosto triste perché questa nostra falsa immagine che abbiamo di Lui ci impedisce di conoscerlo per quello che è in realtà.

 

 

 

Difficoltà che sorgono dalle deformazioni che facciamo di Dio

 

I concetti sbagliati sviluppati intorno a Dio portano le persone a vari tipi di problemi spirituali.

 

L’incapacità di sentirsi perdonato

“Lo Spirito Santo attesta insieme col nostro spirito che siamo figli di Dio” (Romani 8:16).

Non è una testimonianza che lo Spirito dà al nostro spirito, ma insieme al nostro spirito. Ciò significa che la parte divina e quella umana operano insieme. Lo Spirito Santo, quindi, e il nostro spirito si mettono d’accordo nel creare una fiducia interiore che siamo perdonati e accettati come figli di Dio.

Ma che succede quando la capacità di ricevere e percepire da parte della nostra personalità è così deformata da non poter pensare o sentire che Dio è un padre e noi suoi figli?

I ricordi penosi di relazioni non sane gridano così intensamente dal profondo del cuore da interferire nell’apprendimento della nuova relazione con Dio.

Come prima cosa bisogna liberarsi dai ricordi dei traumi che hanno causato il danno e la conseguente pressione penosa. Poi è necessario, inizialmente, sviluppare delle relazioni di fiducia (nei confronti del pastore o del consigliere), per allargarsi in seguito ad altri membri della Chiesa per sperimentare quell’amore incondizionato di cui abbiamo bisogno.

 

L’incapacità di dare fiducia a Dio

Dio ci ha creato in modo da non poter mettere la nostra fiducia su qualcuno di cui abbiamo paura (non ci lanciamo tra le braccia di un orso). Nei migliori dei casi vacilliamo davanti alla presenza di qualcuno di cui temiamo poterci fidare.

Non è, quindi, possibile dare la nostra vita nelle mani di Dio, se pensiamo di Lui che verrà a renderci dei disgraziati e a privarci della libertà di gioire della vita.

Non parliamo qui della difficoltà naturale di ogni essere umano a dare la propria vita a Dio, ma di una vera angoscia nel riporre la propria fiducia nel Creatore (visione deformata per esperienze passate).

Non bisogna presentare a questo tipo di persone un Dio esigente, perché così aumenteremo le loro ansie. Dietro a questa visione deformata di Dio c’è un padre o altre persone importanti per loro che si sono comportate in modo ingiusto, imprevedibile e tale da non meritare la fiducia.

Il ricordo di esperienze penose con queste persone è così forte che adesso sono incapaci di riporre la loro fiducia su qualcuno.

 

Domande intellettuali e dubbi teologici

C’è un’unità basica, una interdipendenza tra le emozioni, la mente e la volontà. Nella cittadella dell’Ego uno influenza l’altro. La fede, infatti, coinvolge tutta la persona: sentimenti, pensieri e volontà (o azione).

Il nostro credo religioso è influenzato grandemente dai nostri sentimenti e dal nostro modo di vivere (un semplice raffreddore, a volte, condiziona tutto il nostro essere). Non è che la ragione attacchi la nostra fede, ma ci sono piuttosto delle emozioni così profondamente radicate in noi che esercitano delle influenze sulla nostra mente e sulla nostra fede. Queste emozioni sono così potenti da dominare e sovrapporsi alla fede.

 

Malgrado i nostri tentativi disperati di afferrarci a delle ragioni per continuare a credere, le cicatrici emozionali possono sabotare la nostra teologia e riempirci di dubbi.

Per esempio: voler afferrare un oggetto che sta di fronte avendo una ferita aperta nel palmo della mano. La forza muscolare è sufficiente, ma il dolore insopportabile che ne risulta rende impossibile eseguire l’atto.

Così in certi cristiani il processo di voler credere esercita una grande pressione sulla ferita emozionale tanto da produrre un dolore insopportabile. Le domande e i dubbi, che sembrano provenire dalla loro mente, sorgono in realtà da qualche trauma nascosto nella profondità del loro cuore. Qualcosa è stato danneggiato e deformato profondamente nel loro concetto di Dio, così che cedono al dubbio piuttosto che riaprire quelle ferite profonde.

 

Non si possono aiutare queste persone per mezzo di ragionamenti o facendo appello alla ragione. Per queste persone il dubbio è il mezzo per evitare di sentire dolore (riaprendo ferite antiche). E’ meno penoso affrontare il dolore del dubbio che il dolore dei ricordi traumatici di quegli avvenimenti che li hanno causati.

Queste persone hanno un desiderio così profondo di credere da non poter correre il rischio di vivere quel terribile dolore che nasce dal restare delusi dopo aver creduto (delusioni già provate nel passato).

Può qualcuno che non ha mai sperimentato da bambino un amore genuino, ma solo rifiuto e anche crudeltà, credere realmente che Dio lo ami? O chi ha ricevuto solo critiche, rimproveri, correzioni e umiliazioni credere e sentire che è gradito a Dio?

 

Che tipo di domande teologiche possiamo aspettarci da un figlio che dice di suo padre: “Non sapevo mai, se mi avrebbe abbracciato o picchiato e non ha mai saputo da cosa dipendesse la differenza” ; oppure: “Quando papà usciva di casa non sapevamo mai quando sarebbe rientrato, dopo un’ora, una settimana o un anno” ; o da chi è stato vittima di abuso sessuale?

 

Il perfezionismo neurotico

La perfezione biblica è un livello di maturità in cui ci viene impartita la santità di Cristo, tramite lo Spirito Santo, diventando, così, capaci di vivere una vita di vittoria sul peccato.

Non dipende, quindi, dal nostro operare, ma dalla fede nell’opera perfetta di Cristo.

La vera perfezione cristiana è la sana ricerca dell’eccellenza cristiana per coloro che, in riconoscenza al fatto di essere stati accettati e amati come sono, vogliono gradire Dio e vivere, per quanto possibile, nei suoi limiti e condizioni.

 

Il perfezionismo neurotico, nemico della vera perfezione cristiana, si sforza in modo costante di rendersi gradito a Dio e di valutare la relazione con Dio sulla base dei risultati ottenuti e delle opere fatte.

Sono credenti ansiosi di fare sempre di più. La radice di tutto ciò sta nel concetto che hanno di un Dio difficile da accontentare. Il loro Dio è un tiranno che esige sempre di più e vuole la perfezione. E’ quel giudice severo che non tollera l’imperfezione e che al minimo errore esprime il suo scontento, coprendoci di condanna e di colpa.

Questi cristiani distorceranno la verità così da considerare il loro comportamento davanti a Dio più importante della loro relazione con Lui.

Mettono il comportamento e le opere prima della fede e della fiducia, i risultati raggiunti prima dei doni, l’agire prima dell’adorazione e della relazione stessa con Dio.

Questi perfezionisti hanno delle coscienze supersensibili e vivono sotto la tirannia del “dover fare”. Cercano di placare le loro ansie con una falsa umiltà e mettono enfasi su dottrine e doveri, regole e ordinamenti.

Per quanto, però, si sforzino sono pieni di sensi di colpa, di paure e sono soggetti a cambi bruschi di umore e a depressioni. Ciò è dovuto al fatto che la loro relazione con Dio è basata sulle opere e non sulla grazia.

 

Queste persone, normalmente, hanno anche problemi di solitudine, mancando di interrelazioni.

Siccome sono sicuri di venir rifiutati quando gli altri scopriranno le loro imperfezioni, diventano ipersensibili e reagiscono difendendosi vivamente davanti alle critiche e si chiudono nella comunicazione.

Tutto ciò peggiora le relazioni con gli altri. Infatti, senza volerlo, sono loro stessi che preparano il terreno per essere disapprovati e rifiutati, la cosa esattamente che più temono. E così in loro si rafforza l’idea che per essere accettati bisogna essere perfetti.

La maggior parte di noi inizia questo pellegrinaggio spirituale con una miscela di legge e di grazia. Solo quando sperimentiamo la sua grande fedeltà, a causa dei nostri insuccessi, arriviamo al punto di riconoscere Dio come la nostra Rocca eterna.

Molti, malgrado la loro sincerità morale e fedele disciplina, non escono dalla linea del perfezionismo e non entrano nella libertà di Cristo, cioè nella grazia di Dio.

 

Un esempio:

Durante la seconda guerra mondiale Carla aveva dieci anni quando giunse a casa la notizia della morte del fratello da lei molto amato.

I genitori furono affranti dal dolore e la madre rimase chiusa nella sua stanza per svariati giorni.

Carla dovette prendersi cura di tutto. Doveva essere la più forte e responsabilizzarsi per l’andamento della famiglia. Non ebbe mai l’opportunità di esprimere il suo dolore, di cui nessuno sembrava comunque rendersi conto.

Nel suo cuore incominciò a svilupparsi rabbia contro Dio per aver permesso la morte del fratello e contro la famiglia per non permetterle di esprimere le sue lacrime.

A dieci anni doveva essere la più eroica, senza curarsi troppo delle proprie esigenze.

Era, così, diventata una persona chiusa, perfezionista e molto esigente riguardo il suo aspetto. La sua rabbia proveniva da questa considerazione: “Mi sono sempre vista forzata ad essere quella che non sono in realtà”.

E queste erano le richieste che percepiva sempre dai suoi superiori e anche da Dio.

 

Supposizioni errate riguardo il prossimo

Ecco una serie di supposizioni false, assurde e non realistiche che contribuiscono grandemente a produrre problemi di tipo perfezionista e che devono essere riportate nell’ordine reale delle cose, perché possa verificarsi una guarigione:

 

- Mi piacerebbe essere approvato, ben voluto e amato da tutti, specialmente da coloro che considero importanti per me.

- Dovrei riuscire a fare tutto nel migliore dei modi. Se non ne sono in grado è meglio non farlo per niente o aspettare finché ne sia capace.

- Devo raggiungere una perfetta competenza in materia e trionfare nelle mie imprese prima di potermi considerare una persona di valore e prima che gli altri lo pensino.

- Non ho il controllo sulla mia felicità, ma sono gli altri e le circostanze esterne ad averlo.

- Le esperienze e le influenze del passato non possono più essere cambiate.

- C’è soltanto una perfetta e vera soluzione per ogni problema. Se non la trovo mi sento perso, depresso e ne verrò distrutto.

- Dovrei poter rendere e mantenere felici tutti quelli che mi circondano. In caso contrario c’è qualcosa in me che non va.

- Ho la responsabilità di mettere a posto ciò che va male nel mondo, di risolvere i suoi problemi e di correggere tutte le sue ingiustizie.

- Gli altri dovrebbero prendersi cura di me, essere gentili nei miei confronti e non contrariarmi mai.

- Gli altri dovrebbero sapere quello che penso e ciò di cui ho bisogno o voglio, senza che glielo debba dire. Se non lo fanno è perché non mi amano veramente.

 

Ecco invece il punto di vista biblico al riguardo:

- Sono una persona di valore sia che trionfi in certe imprese e ottenga certi risultati come nel caso contrario.

Dio ha dato la sua opinione riguardo il mio valore: Salmo 8 / Romani 5:6-8.

Dio considera il successo in un modo diverso dagli uomini: Luca 10:17-24 / 1 Corinzi 1:25-31.

Dio ha eliminato  tanto il confronto come la competizione e mi chiede soltanto “fedeltà” nell’esercizio dei miei talenti particolari: Luca 14:7-11 / Matteo 20:1-16 ; 25:14-30 / 1 Corinzi 12:4-27 / Romani 12:6 / Atti 5:29.

 

- Non devo essere approvato e amato da tutti e da ogni persona per sentirmi sicuro e degno di amore.

Alcune persone non riescono ad amarmi e a volermi bene dovuto ai loro stessi problemi: Giovanni 15:18-27 ; 17:14-19 / Galati 1:10 ; 4:12-16 / 1 Pietro 4:12-16 / 1 Giovanni 3:11-13.

Siccome sono sempre amato da Dio (malgrado i sentimenti possano dirmi una cosa diversa) non ho bisogno di preoccuparmi molto dell’approvazione o disapprovazione degli altri: Giovanni 15:9-10 ; 17:25-26 / Romani 13:5-6 / 1 Giovanni 4:16-19.

 

Supposizioni errate riguardo Dio

- Dio mi accetta e mi ama soltanto quando può approvare tutto ciò che sono, penso, sento, dico e faccio.

- Dio può accettarmi così come sono, ma solo perché nel futuro non potrò più pensare, sentire, dire o fare qualcosa di sbagliato.

- Dio mi salva con la sua grazia, però mantiene questa relazione soltanto se leggo, prego, dò testimonianza e servo come Lui desidera.

- Dio tiene in sospeso la mia salvezza definitiva e solo davanti al Gran Trono Bianco deciderà se devo o no ricevere la vita eterna.

Ecco invece il punto di vista biblico al riguardo:

- Dio mi accetta e mi ama anche quando non approva ciò che faccio: Giovanni 3:16-17 / Romani 5:6-8 / 1 Giovanni 4:7-10.

- Le fede in ciò che Lui ha fatto per me in Cristo e non la mia perfezione è ciò che Dio si aspetta da me e che mi mette in una relazione corretta con Lui: Romani 1-5 / Galati / Ebrei 11:6.

- Dio, per mezzo del suo Spirito Santo, mi dà la sicurezza della salvezza adesso. Io sono stato giudicato sulla croce e l’unico giudizio futuro a cui sarò sottoposto sarà per determinare la ricompensa relativa al mio servizio e non riguarderà la salvezza: Giovanni 3:36 ; 5:24 / 1 Corinzi 3:10-15 / 1 Giovanni 3:24 ; 5:6-13.

 

Bisogna comprendere che la gente da cui cerchiamo l’approvazione sforzandoci di gradir loro, in realtà non ha potere per ferirci.

Dobbiamo renderci conto che raramente la gente si preoccupa per noi nella misura in cui noi lo crediamo.

Dobbiamo capire che le conseguenze reali della disapprovazione degli altri non potranno mai causare tanta disperazione e ansia come quelle causate dal nostro modo errato di pensare. La cosa più importante è l’approvazione di Dio.

 

Se pensi quanto sarebbe terribile, se nessuno conversasse con te ad una certa festa, il tuo essere mentale ed emozionale reagirà in conformità.

Nel prepararti per andare a questa festa ti sentirai teso e strada facendo ansioso.

Arrivato a destinazione suderai in continuazione e ti sentirai a disagio.

Avrai l’impulso costante di trovare qualcuno con cui parlare per sentirti partecipe della festa e per sentirti accettato.

Ti chiederai perché sei così nervoso e, forse, troverai questa giustificazione: “Questo genere di feste non fanno per me. In fondo sono una persona timida”.

Così è come un modo errato di pensare ci priva della gioia e delle benedizioni della vita in Cristo.

Ecco il modo corretto di pensare:

- Posso trovarmi bene in qualsiasi luogo e non è necessario che qualcuno mi parli per passare un’ora contento.

- Non morirò perché mi sento nervoso e teso.