PSICOLOGIA   PASTORALE

 

 

 

I livelli della mente

 

La mente umana è simile ad un iceberg: sette ottavi del suo volume è al di sotto dell’acqua, non si vede, e solo un ottavo è visibile.

Si compone di tre livelli: la parte cosciente, quella subconscia (o della pre-coscienza) e quella inconscia. E’ impossibile stabilire una chiara linea di demarcazione tra questi tre livelli.

Il conscio è ciò che possiamo riconoscere liberamente e che sappiamo con chiarezza.

Il subconscio è il dominio delle emozioni e dei complessi, che sono in opposizione al regno cosciente della ragione (“è più forte di me, non riesco a trattenermi”).

L’inconscio è il regno dei pensieri incontrollati, collegati a fatti che non ricordiamo più o che sono stati rimossi, ma che però sono attivi (“penso sicuramente di aver ragione e basta”). Da questo abisso possono affiorare dei frammenti che finiscono poi per diventare coscienti.

 

Conoscere l’inconscio è molto importante, dato che lì si trova il nucleo di ogni neurosi. In generale, quando vengono conosciute e trattate le cause che determinano le turbe della personalità, queste tendono a scomparire, turbe che solitamente vengono originate da traumi durante l’infanzia.

Il bambino è come una gettata di cemento fresco: anche un passerottino può lasciarvi le sue impronte. L’adulto, invece, è come quello stesso cemento, però indurito: neanche un elefante sarebbe in grado di lasciare le sue impronte sulla sua superficie.

Certo, anche il cemento più duro può essere spezzato, ma quello che vogliamo segnalare è la fragilità del bambino. Una vita può venir rovinata per sempre da un’esperienza traumatica.

 

Nulla viene dimenticato, perché la mente è come un immenso registratore e tutto quello che abbiamo detto, visto, ascoltato e sperimentato è conservato nel nostro interiore, è vivo ed ha potere sulla nostra vita.

A volte si esprime e a volte ci smaschera. In assenza del presidente, il suo vice iniziò il consiglio di amministrazione. Per un’ora aveva goduto della posizione di comando, quando improvvisamente fece la sua apparizione il presidente. Subito il vice si rivolse all’assemblea con voce alta e con molto entusiasmo, dicendo: “Ho il dispiace…, cioè ho il piacere di annunciarvi che il presidente è arrivato”. Avrebbe preferito che il presidente non si fosse fatto vedere e il suo inconscio lo ha tradito.

 

 

L’inconscio e lo Spirito Santo

 

La nostra condotta volontaria non è realmente così volontaria. Ciò che abbiamo immagazzinato nell’inconscio è vivo e può cospirare contro la nostra fede.

Riconosciamo, però, che anche lo Spirito Santo agisce in noi come una forza dinamica.

E’ probabile che nella nostra vita spirituale ci siano degli impulsi che attribuiamo allo Spirito santo, ma che, invece, sono determinati da oscure forze inconsce.

Come possiamo discernere tra i veri interventi dello Spirito Santo e quelli dell’inconscio? La Parola di Dio deve essere il nostro punto di riferimento. Lo Spirito Santo ha ispirato le Scritture e qualsiasi pretesa ispirazione dello Spirito deve essere sempre in accordo con la Parola.

 

Anche Satana agisce sull’inconscio e spesso ci accorgiamo di avere pensieri come questi: “Ma perché dovrei pregare? La preghiera non è altro che un processo di autosuggestione. La mia preghiera non arriva al tetto della casa. Dio non risponde al telefono”, ecc.

Certo, possono essere considerazioni basate su esperienze passate, ma è anche vero che Satana opera sull’inconscio della persona.

 

La liberazione da legami inconsci può avvenire in due modi: tagliando i fili che muovono la marionetta (tecnica analitica) o tramite uno strattone da parte della marionetta (forza spirituale).

Lo Spirito Santo convince il mondo di peccato, ma, cospirando contro l’azione dello Spirito Santo, l’uomo usa una serie di meccanismi inconsci per non riconoscere la sua condizione di peccatore. Questi meccanismi sono difficili da controllare e non sono altro che diverse manifestazioni della dinamica dell’inconscio che da una parte cerca il suo completamento (realizzazione) e dall’altra resiste ad affrontare la realtà.

 

 

 

Risorse inconsce per evitare la realtà

 

Repressione

Se un’esperienza è molto sgradevole, può venir repressa. Non tutto ciò che si dimentica, però, è repressione. Esiste, infatti, un dimenticare passivo, prodotto dal trascorrere del tempo, e un dimenticare attivo, che è quel processo inconscio mediante il quale ci liberiamo da un sentimento forte e perturbatore.

 

Un tale si era dimenticato dell’esistenza di un tunnel nella sua città. Poco oltre quel tunnel era morta un giorno sua moglie in un incidente e lui vi era passato in uno stato di tremenda agonia, sapendo di trovarvi il suo cadavere.

La repressione di quel ricordo era un modo per difendersi, per non risvegliare il dolore di quella perdita tremenda. Evitare il tunnel aveva questo scopo.

 

Vediamo un’altra illustrazione. Se aspettassimo una visita e temessimo le conseguenze del comportamento del nostro bambino, che, oltre ad essere molto vivace, usa espressioni grossolane e parole offensive, anche se non ne conosce appieno il significato, cosa faremmo?

Forse rinchiuderemmo il bambino in cantina per tutto il tempo della visita, sperando così di evitare situazioni imbarazzanti. Ma rimarrà il bambino tranquillo laggiù? Non cercherà in tutti i modi di scappare? Che succederebbe se riuscisse ad aprire la porta?

Così facciamo noi con tutto ciò che risulta sgradevole e perturbatore: lo chiudiamo nella cantina dell’inconscio per mezzo del dimenticare attivo. Questo modo di agire, però, non solo non ci risolve il problema, ma ci crea maggiori difficoltà.

 

Una giovane violinista, non appena si spegnevano le luci della sala e l’ambiente si riempiva dell’odore acre di tabacco, veniva colta da crisi di panico. Malgrado la sua buona volontà, non riesce a dominare questi attacchi e, man mano che le forze diminuiscono, peggiora la sua condizione fino a sentire il braccio paralizzato.

Si scoprì in seguito che all’età di 4-5 anni il padre si era avvicinato al suo lettuccio per darle il bacio della buonanotte. La stanza era oscura e quando il padre si chinò per darle un bacio, gli cadde la sigaretta e le lenzuola presero fuoco.

Anche se il padre riuscì a spegnere rapidamente il fuoco, la bambina rimase scioccata da quell’avvenimento. Volendo dimostrare di essere coraggiosa, cercò di dimenticare l’incidente. Da adulta, però, quando si ripetevano le stesse condizioni di oscurità, di odore di tabacco e fumo di sigaretta, la tremenda paura immagazzinata nell’inconscio dava luogo ai sintomi che abbiamo descritto.

 

Molti dei timori e delle ansie che sperimentano gli adulti non sono altro che il risultato di spaventi e impressioni ricevuti durante l’infanzia. In questi casi si tratta di vere repressioni, perché fatte in un modo del tutto inconscio.

Quando cerchiamo di “uccidere” o “sotterrare” qualcosa che ci perturba, non ci riusciremo mai, perché è impossibile “uccidere” qualcosa che è vivo, che è stato vissuto.

Potremo “sotterrare viva” quella realtà vissuta, ma dal sepolcro dell’inconscio ci visiterà costantemente con le sue macabre apparizioni, senza che noi percepiamo la causa di quel nostro malessere.

 

 

 

Conversione di conflitti in turbe fisiche

 

I disturbi psichici possono produrre e accompagnare i fenomeni organici (malattie psico-somatiche). Si è giunti a credere che le malattie più frequenti dipendono dalla mente nel 70% dei casi.

La conversione più comune è quella che “converte” il conflitto spirituale o mentale in sintomo fisico. Bisogna dire, però, che anche le malattie creano conflitti spirituali o emozionali. Ma anche le malattie “apparenti” creano nuove tensioni.

 

La neurastenia è un tipo di conversione. Il paziente, avvilito da problemi personali di cui non conosce origine e natura, si sente sconfitto anche negli altri aspetti della vita.

Tutti conosciamo persone che hanno vissuto superprotette, che si sono appoggiate sempre su altri e che si sentono le persone più disgraziate del mondo quando devono affrontare situazioni difficili. Allora si ammalano. Non si tratta di simulazione, perché la malattia è molto reale per l’infermo, ma il fatto vero è che esiste solo nella sua mente che la crea.

I sintomi del neurastenico sono: debolezza, mancanza di appetito, deficienza respiratoria, palpitazioni, formicolio, pesantezza, disturbi gastrointestinali, dolori muscolari, scricchiolii nelle articolazioni, senso di oppressione, ecc.

L’arrivo di un amico o di una persona cara con cui uscire o intrattenersi toglie di solito tutti questi disturbi. Il manifestare la realtà dei sintomi di cui si è oggetto è un modo per attirare su di sé l’attenzione, essere il centro e guadagnarsi simpatia o compassione. La neurastenia si presenta come risultato di una lunga lotta dell’individuo con se stesso.

 

Anche l’isteria ha un’origine puramente psichico e può, quindi, venir prodotta tramite la suggestione. L’origine dell’isteria è simile a quella della neurastenia. Invece di percepire un senso di stanchezza, uno stato di ansietà, ecc. l’isterico sviluppa un senso di impotenza totale. Il neurastenico si sente stanco, l’isterico perde conoscenza.

Ci sono persone paralitiche, mute, sorde, ecc. le cui malattie per loro sono molto reali, ma che non sono altro che una conversione dei loro conflitti emozionali o spirituali in impotenza fisica.

E’ significativo il fatto che Gesù dice al paralitico: “I tuoi peccati ti sono perdonati” e poi aggiunge: “Alzati e cammina”. Se il neurastenico ha una vaga idea di quello che gli sta capitando e per questo ne parla (livello subconscio), l’isterico trova che la sua condizione è al di fuori del suo potere (livello inconscio) e così non ne parla, dimostrando di essere meno o per nulla cosciente dei suoi problemi personali.

 

Non tutte le malattie di impotenza sono di origine isterica. Un braccio paralizzato per cause isteriche si contrae, se il suo nervo è stimolato elettricamente. Un cieco può riconoscere una fiamma che gli si avvicina pericolosamente.

Un soldato, che vide un commilitone decapitato dallo scoppio di una granata, perse la vista e venne colpito da amnesia. Questo episodio, da solo, non causò questi sintomi, ma agì solo da detonatore per una carica esplosiva già presente in lui. I conflitti possibili presenti in lui potevano essere il suo istinto di conservazione e il dovere di servire la patria, il suo senso dell’onore e il non dover apparire un codardo, ecc.

 

La vita moderna offre molte tensioni che contribuiscono a sviluppare “malattie apparenti”. Vediamo alcuni casi:

La segretaria che passa più tempo con il principale che con il marito e viceversa; le opportunità che offre l’anonimato della grande città per condurre una doppia vita; le tensioni che vivono molti genitori a causa delle attività dei loro figli giovani; i problemi di una società competitiva che è crudele con i più deboli; le ingiustizie sociali che portano al rancore e all’odio; l’agonia dell’uomo di 40 anni che perde l’impiego ed è considerato troppo vecchio per trovarne un altro;  il timore a venir sostituito; l’insicurezza economica; il timore di sbagliare e di venir respinto, ecc. Queste situazioni sono la dinamite che molti stanno accumulando e che è pronta ad esplodere il giorno in cui viene attivato il detonatore.

Questa realtà moderna è una sfida per la Chiesa che deve essere in grado di dare una risposta ad ogni bisogno.

 

 

 

Razionalizzazione

 

La razionalizzazione consiste nel dar ragioni accettabili, ma non reali per la nostra condotta. E’ un metodo di autogiustificazione inconscio. Se cercassimo, infatti, di sfuggire coscientemente alle conseguenze della nostra condotta, non si parlerebbe di razionalizzazione. Questa è sempre inconscia e la persona crede onestamente che sta dando ragioni logiche per la sua maniera di agire.

Si può definire anche un camuffamento mentale, cioè un modo per cambiare e adornare i motivi indegni al punto di renderli soddisfacenti e persino degni di lode da parte degli altri e anche da parte nostra.

Quante volte, per esempio, ci imbattiamo in persone che fanno la guerra al pastore o a un gruppo di responsabili della Chiesa convinti che la loro lotta è giusta perché reclamano la purezza del Vangelo, mentre la vera ragione del loro agire è la ricerca del potere!

Quanti si definiscono socialisti, perché desiderano il bene dei poveri, mentre sono mossi da rancore o desiderio di potere!

C’è chi parla dell’amore al prossimo, di una società più giusta dove non ci sia sfruttamento dell’uomo, ma loro stessi danno uno stipendio misero alla loro donna delle pulizie!

Le motivazioni di queste persone sono diverse da ciò che affermano. Non vogliamo neanche dire che siano persone ipocrite e disoneste.

Altri parlano della necessità che la gente si converta a Cristo, ma cercano in fondo il prestigio personale e il venir considerati grandi predicatori. Invece di essere una benedizione per la gente, utilizziamo gli altri per raggiungere il nostro beneficio.

 

 

 

Proiezione

 

La proiezione è la tendenza ad evitare di riconoscere le proprie deficienze e colpe attribuendole ad altri.

Chi più odia gli omosessuali, per esempio, è qualcuno che odia se stesso per aver avuto nel passato un’esperienza di questo tipo. Chi odia i neri ha avuto probabilmente un progenitore nero.

Questi tipi di persone non vogliono riconoscere l’odio che hanno per se stessi e lo proiettano all’esterno.

 

Ci sono persone che proiettano su altri la colpa di una persona cara. Un bambino di 6 anni, per esempio, adorava sua madre. Tutte le sere si addormentava tra le sue braccia, mentre lei gli cantava una ninna-nanna. Un giorno ritornò dalla scuola prima del solito e trovò sua madre tra le braccia di un uomo che non era suo padre. Da allora tutto cambiò e non volle più sedersi sulle ginocchia della mamma.

Non disse nulla a nessuno, ma in lui vivevano sentimenti contrastanti. Da adulto continuò a voler bene a sua madre, anche se la loro relazione era un po’ strana, ma sviluppò un grande odio verso le donne. Inoltre, ogni suo tentativo di conquistare una donna, aveva il solo scopo di farla soffrire.

 

Ci sono, poi, delle persone che attribuiscono a Dio la colpa per i loro peccati, perché sono state da Lui create con la possibilità di peccare. E’ un modo per evadere dalla propria responsabilità morale. Queste persone giungono persino a desiderare che Dio non esista, perché così nessuno potrebbe esigere da loro una qualsiasi condotta morale.

 

Adamo ed Eva sono il primo esempio di proiezione. In un solo caso questo atteggiamento crea situazioni positive. Per esempio, se un alunno crede che i suoi brutti voti sono da attribuire all’ingiustizia del professore, si metterà a studiare con più accanimento per dimostrare a tutti la sua innocenza. In questo caso lo studente impara molto di più e ne ricava un beneficio.

 

 

 

Isolamento

 

L’isolamento è uno strano meccanismo inconscio per cui teniamo lontane dalla coscienza quelle associazioni che ci sono sgradevoli. Creiamo dei compartimenti stagno, per cui un aspetto della nostra vita mentale non viene a sapere ciò che fa l’altro.

Se questo meccanismo non è cosciente , non possiamo parlare di ipocrisia. Vediamo un esempio:

Al tempo degli zar una dama andò a teatro in carrozza. Era inverno e faceva molto freddo, ma ciononostante disse al cocchiere di aspettarla seduto al suo posto e di controllare così i cavalli. La dama, seduta comodamente nella sala del teatro, soffrì veri dolori angosciosi a causa delle sofferenze immaginarie di uno degli attori, mentre il suo cocchiere stava realmente morendo di freddo per colpa sua. La donna, però, non vedeva la contraddizione della sua condotta.

 

Creiamo delle barriere mentali per impedire che una parte della nostra personalità veda ciò che fa l’altra. Ciò, però, non è ancora indice di una vera malattia mentale, ma può portare alla schizofrenia.

Lo schizofrenico vive separato dalla sua realtà, mentre l’isolazionista concentra la sua contraddizione in un conflitto particolare da cui desidera inconsciamente evadere.

 

 

 

Regressione

 

Delle persone, quando si trovano in difficoltà, regrediscono inconsciamente a attitudini infantili, che nei loro primi anni di vita serviva loro per risolvere alcuni problemi, ma che adesso non può fare altro che metterli in ridicolo.

Es.: piangere, singhiozzare, gridare, mostrarsi infastidito, simulare una malattia, accusare altri, ecc.

 

Un giovane visita la sua fidanzata. Lei dice qualcosa che lo disturba e così passa un’ora senza parlarle e poi se ne va senza che la ragazza possa sapere cosa era successo.

Da piccolo faceva la stessa cosa e la madre accorreva subito e gli chiedeva: “Che ti succede bambino mio caro? Stai poco bene, amore mio?” Riceveva ogni tipo di attenzione. Così, se la madre lo aveva castigato per qualcosa che aveva fatto, tutto si rimetteva a posto.

Da adulto era ancora influenzato da questi atteggiamenti infantili, anche se in modo inconscio, e si aspettava che anche la fidanzata reagisse come la madre. Non ottenendo il risultato sperato conclude che la fidanzata non gli vuole bene. Non manifestando, però, queste sue supposizioni cade in un circolo vizioso.

 

 

 

Quattro tipi di conflitto

 

a) Attrazione contro attrazione

Quando ci sentiamo attratti simultaneamente da due obiettivi con valenza positiva (il potere di attrazione o repulsione vien detta valenza).

Un giovane desidera studiare, ma si rende conto che deve lavorare per mantenere la madre vedova e i fratellini.

Una ragazza va in città per studiare, ma ha dovuto lasciare il fidanzato al paese. Lui vuole che ritorni per unirsi in matrimonio. Lei ama il suo fidanzato, ma desidera frequentare l’università.

 

b) Minaccia contro minaccia

Qui abbiamo due valenze negative.

La madre dice al figlioletto: “O mangi la minestra o vai a letto”. Il bambino, però, non vuol fare nessuna delle due cose e cerca di evitare il conflitto, ma non sempre è possibile.

 

c) Attrazione con minaccia

Qui si presentano entrambe le valenze.

L’impiegato desidera chiedere un aumento di stipendio, ma teme la reazione del suo principale.

 

d) Attrazioni multiple con minaccia

Una ragazza vive in un paesino, ha un fidanzato e lo ama. Ha l’opportunità di andare in città per continuare gli studi, ma teme di vivere sola in un luogo sconosciuto.

Rimanere al paese è positivo perché può restare accanto al fidanzato, ma negativo perché non potrebbe studiare. Andare in città è positivo perché potrebbe studiare, farsi una carriera e avere successo, ma è negativo perché deve affrontare un ambiente che non conosce e perché potrebbe perdere il fidanzato.

 

Un uomo vive con la moglie, ma ama un’altra donna. Vorrebbe vivere con l’amante, ma non vuole arrecare danno ai figli. La moglie non ne può più e chiede al marito una chiara decisione. L’amante dice di essere disposta a troncare la relazione per non distruggere una famiglia.

In verità la moglie minacciava di uccidere i bambini, se fosse stata abbandonata. Quell’uomo amava la sua amante, ma temeva per la vita dei suoi figli.

 

 

 

Soluzione dei conflitti

 

a) Che cosa ci attira verso quella meta?

b) Riconosciamo l’esistenza del conflitto e osserviamolo con obiettività.

c) Analizziamo con cura la valenza di ognuna delle parti del conflitto.

 

Quando umanamente non possiamo trovare una soluzione, mettiamo il tutto nelle mani di Dio. Dobbiamo fare, però, la nostra parte. Ricordiamoci che Dio aprì le porte della prigione per salvare Pietro da una morte certa, ma non aprì la porta della casa dove i cristiani si erano radunati per pregare (Atti 12:6-19).

Facciamoci aiutare da altri fratelli che, non essendo emotivamente coinvolti, possono valutare meglio la realtà del conflitto.

 

 

 

Principi generali per la comprensione degli altri

 

1) Il centro dell’attenzione

Dobbiamo evitare di dirigere il dialogo e di diventare il centro della conversazione. La cosa più importante è il nostro interlocutore, le sue idee, sentimenti, preoccupazioni, frustrazioni, conflitti e ansie. Dobbiamo ascoltare, chiarire le idee del fratello e non imporgli le nostre. E’ il nostro interlocutore che deve prendere le decisioni e trovare la soluzione al suo problema.

 

2) La discrezione

Il fratello deve esser certo che le sue confessioni non verranno divulgate. Molte persone vivono con l’angoscia di un peccato non confessato, perché non hanno trovato un fratello che meriti la sufficiente fiducia per confessarglielo.

 

3) La comprensione

Bisogna cercare di identificarsi con il fratello fin dove sia possibile, mantenendo però sempre una certa distanza con l’interlocutore. Non dobbiamo lasciarci prendere dalla compassione, ma restare sereni e assumere un’attitudine obiettiva. Questo ci aiuterà a non lasciarci coinvolgere emotivamente, che è esattamente quello che cercano di fare molti neurotici. La tensione emotiva ci farebbe perdere

la chiarezza mentale.

Quando il nostro interlocutore sta parlando non dobbiamo interromperlo e meno che mai pronunciare giudizi morali o sermoni. Ascoltando e facendo domande con molto tatto aiutiamo l’individuo a comprendere perché è caduto in quel conflitto e lo aiutiamo a vedere le porte che conducono alla soluzione. Mai dobbiamo assumere la funzione di giudici o accusatori (ciò non significa che ignoriamo i principi morali).

Dobbiamo arrivare insieme all’interlocutore a una conclusione in cui affrontiamo la realtà del problema.

 

Quando qualcuno va da un altro, ciò di cui più ha bisogno è comprensione, perché un un giudizio lo ottiene facilmente da tutti e anche da se stesso. Dirgli che è un peccatore non rappresenta niente di nuovo per lui, sarebbe come ricordare ad un tubercoloso la sua malattia.

La questione non è di tormentare il fratello, ma di essere uno strumento terapeutico di Dio per la guarigione spirituale, morale e anche mentale.

 

4) La capacità di ascoltare

A quasi tutti piace parlare e pochi sanno ascoltare. Quando ascoltiamo, dobbiamo dimostrare interesse in ciò che ci viene detto e non impazienza o nervosismo. Un semplice sbadiglio può mettere a disagio l’interlocutore e, quindi, è meglio evitare di ricevere persone quando si è stanchi.

Dobbiamo stare attenti a non accettare come definitive le prime affermazioni dell’interlocutore. A volte le persone non hanno il coraggio di presentare il problema nella sua realtà e così provano per vedere se vengono comprese, prima di esprimersi in piena libertà.

E’ importante stare attenti non solo a ciò che dice, ma a come lo dice. Il tono della voce esprime ansia, ostilità, timore. Gli occhi, le ciglia, le mani, i muscoli intorno alla bocca esprimono molto di più di ciò che a volte viene detto.

 

5) L’arte di fare delle domande

Ciò che è il bisturi nelle mani del chirurgo, lo stesso è la domanda per il consigliere spirituale. Il buon pastore sa cosa chiedere e cosa non chiedere. La domanda deve sempre essere specifica e mai in termini generici. La domanda informativa ha come scopo l’ottenimento di dati che aiutino alla comprensione del problema. La domanda non risulterà molesta, se abbiamo dimostrato interesse nel problema del nostro

interlocutore.

 

6) Psicologia di appoggio

Quando situazioni catastrofiche hanno oscurato il mondo del nostro interlocutore, è necessario usare una specie di psicoterapia di appoggio. E’ il momento di offrire sostegno e consolazione. La persona, in questi casi, riconosce il suo bisogno di aiuto, ma non è in condizioni di pendere delle decisioni.

Esempio: la morte di un padre di famiglia. La presenza dei fratelli in questi frangenti è fondamentale. Non è necessario parlar molto, quanto identificarsi con il dolore del fratello. Le parole, a volte, n comunicano ciò che vogliamo dire e creano situazioni sgradevoli. Il silenzio fa parte del dialogo.

Se riusciamo a identificarci con il fratello nella sua sofferenza, rimarremo nella condizione di prestargli aiuto pastorale dopo averlo sostenuto e aiutato ad uscire dalla sua condizione catastrofica.

 

 

 

La tecnica pastorale di San Paolo

 

1) Non giudicare

Elemento fondamentale nel ministero pastorale è l’eliminazione del giudizio (Matteo 7:1 / Luca 6:37 / Romani 2:1).  Il giudizio corrisponde solo a Dio, non è compito del pastore o della comunità “approvare” o “disapprovare” gli uomini. La responsabilità della Chiesa è di comprenderli, ascoltarli e annunciar loro il Vangelo.

Paolo è cosciente dei suoi limiti e, così, non se la sente di diventare un giudice. A volte, però, noi diventiamo i peggiori nemici di coloro che commettono gli errori che noi commettiamo. Paolo dice: “Tu che giudichi fai le stesse cose”.

Per coloro che sono caduti particolarmente in basso è facile diventare giudici, ma l’uomo che vive una vita di superiorità rispetto ad altri, deve rendersi conto che anch’egli si trova sotto il giudizio di Dio e che il suo atteggiamento, quindi, non è scusabile.

Davanti a Dio tutti siamo peccatori e per questo non ha senso valutare il proprio livello rispetto agli uomini. Dobbiamo, perciò, essere umili davanti a Dio e anche davanti al nostro prossimo.

 

La Bibbia usa spesso il meccanismo psicologico della proiezione, quello, cioè, di portare i credenti ad irritarsi per i peccati dei pagani o di qualsiasi altra persona per ricordar loro la medesima condizione di peccatori (Amos 1 e 2 / 2 Samuele 12:1-10).

Non giudichiamo (nel senso di condannare), perché tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo (Romani 14:10).

 

2) La dinamica dell’amore

Il secondo punto che riguarda la tecnica pastorale è l’amore. A differenza del punto precedente questa è una conseguenza dell’opera di Dio nell’uomo peccatore, che si è pentito e cerca di raggiungere in Cristo la piena umanità. E’ l’opera dello Spirito Santo nell’uomo:

Quando la Chiesa di Corinto era scossa da divisioni interne, il ministero pastorale di Paolo si concentra sull’amore (1 Corinzi 13). L’amore, dice l’apostolo, è il cammino per eccellenza (1 Corinzi 12:31). L’amore viene indicato come il primo dei frutti dello Spirito (Galati 5:22). Paolo chiama i Galati insensati (3:1), ma però li definisce anche fratelli. Solo grazie allo Spirito Santo Paolo può amare i Galati, pur odiando nello stesso tempo ciò che sta succedendo in mezzo a loro.

 

L’amore è l’unica vera medicina che cura ogni male. Il castigo fisico non perturba la salute mentale del bambino, se questo è convinto che i suoi genitori lo amano.

Tutta la legge si riassume nell’amore verso Dio e verso il prossimo (Romani 13:9-10).

Gli uomini spirituali sono quelli che hanno imparato ad mare, quelli cioè che si lasciano condurre dallo Spirito Santo, che camminano nella linea dello Spirito Santo (Galati 5:16-20).

 

3) La restaurazione spirituale

Il terzo momento nella tecnica pastorale è la restaurazione (Galati 6:1). Quindi: comprendere, amare e poi restaurare la salute spirituale del fratello.

Spesso nelle nostre Chiese succede che il credente ferito venga finito, cioè ucciso, dai suoi stessi fratelli con la loro indifferenza, o aggressività, o condanna.

Ma l’uomo spirituale pensa: “E’ toccato a lui, ma avrebbe potuto toccare a me (Galati 6:1), perciò devo aiutarlo come se la sua ferita fosse la mia”. Il dolore di un fratello ferito dovrebbe essere il dolore di tutto il Corpo di Cristo, se siamo una vera Chiesa.

 

Restaurare, dal greco katartidso, ha in sé il significato di riparare o rammendare le reti (Matteo 4:21). Le reti, cioè, devono essere atte a compiere la loro funzione.

Chi vuol diventare un pescatore di uomini ha bisogno di venir riparato, o rammendato, per poter compiere pienamente la sua missione.

Gesù dice: “Venite dietro a me, e io vi farò pescatori di uomini” (Matteo 4:19 / Marco 1:17 / Luca 5:10). L’uomo che segue Cristo ha la possibilità di raggiungere la piena umanità.

In Efesini 4:12, tradotto con “perfezionare i santi”, la parola greca usata è “katartismos”, cioè restaurazione. I santi, quindi, devono essere restaurati all’umanità che Dio creò o si propose di formare nell’uomo. Ciò si verificherà seguendo Cristo, tramite lo Spirito Santo.

La restaurazione dei santi è il processo di crescita che conduce il credente a conformarsi alla statura della pienezza di Gesù Cristo.

 

La restaurazione dei santi include uno sforzo da parte di ogni cristiano di portare il proprio carico e nello stesso tempo una responsabilità della comunità di “portare i pesi gli uni degli altri” (Galati 6:2,5).

Affinché il fratello possa vivere secondo i principi della vita cristiana, che lo contraddistinguono come figlio di Dio,, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, compiendo le quali potrà definirsi figlio di Dio.

Esempio: io perdono un’offesa ricevuta per permettere al fratello di comprendere il valore e la bontà di questo principio cristiano e offrirgli la possibilità di utilizzarlo a sua volta. Non mi glorierò perché il fratello è stato “salvato” da me, ma perché ho usato misericordia.

 

 

 

 

 

 GUARIGIONE DEI RICORDI

 

 1) Vorrei uccidere mia madre

Carla, 40 anni, soffriva di ansie tremende. Iniziò una serie di sessioni psicoanalitiche (a base cristiana) durante le quali rivisse dei traumi dell’infanzia per molto tempo sotterrati.

Una delle prime esperienze che dovette affrontare fu quella di guardare un giorno sua madre e chiedersi: “Che cosa succederebbe, se la uccidessi?” Subito, però, si impossessò di lei un sentimento di imponderabile colpa.

Nelle sue prime sedute pianse svariate volte e si ripeteva: “A chi lo posso dire? A chi lo posso dire? E’ terribile!” Nelle seguenti sedute rivisse altre cose della sua infanzia e fanciullezza e per la prima volta in vita sua riuscì ad accettare come normali, cioè parte della sua natura umana, i suoi sentimenti repressi di rabbia e di violenza. La sua enorme ansietà incominciò a diminuire.

 

La colpa era una parte del suo problema, cioè la colpa non perdonata, perché non confessata ad un Dio che ha compassione della nostra debolezza, e, quindi, sepolta nell’inconscio per il timore al castigo che un simile peccato avrebbe dovuto comportare nella mente di quella bambina.

 

2) Sei grassa e brutta

In una delle sue prime sedute Francesca rivisse un periodo della sua infanzia in cui sua madre le aveva detto ripetute volte: “Sei così grassa e brutta che nessuno ti guarderà mai o ti amerà. Siediti in quell’angolo, la gente vuol vedere il tuo fratellino e non te”. Lei, così, si sedeva in quell’angolo a ingrassare e a sentirsi sola e triste.

La maggior parte di questi episodi e sentimenti che ne derivavano erano stati da lei repressi completamente. Negli anni successivi aveva sviluppato un certo timore alla vita e all’essere amata, perché se qualcuno l’avesse amata, avrebbe preso un certo vantaggio su lei e l’avrebbe ferita, come sua madre. Continuò a mangiare senza autocontrollo per restare grassa e evitare che qualcuno la amasse, perché l’amore ferisce.

 

Silvia, una donna di 50 anni, aveva un aspetto triste che esprimeva depressione e dolore. Aveva una pettinatura che le copriva quasi mezza faccia. Nella sua infanzia la madre le ripeteva spesso: “Sei la cosa più brutta che abbia mai visto! Assomigli a tuo padre!”

In lei si erano, così, sviluppati sentimenti di autorigetto, di inferiorità, di vergogna, di colpa e di inutilità. Si odiava profondamente.

 

3) Mio padre è in carcere

Giulia sentiva una miscela di sentimenti negativi nei confronti di suo padre. Era stato un cattivo padre ed era anche finito in carcere per scontare una lunga pena.

Sentiva rabbia, violenza, delusione, dolore e una sorta di lacerazione interiore per non aver mai avuto un vero padre che la amasse.

Si era, poi, caricata con la colpa del padre ed era sempre vissuta sotto questo peso. Finalmente capì che lei non era colpevole per i misfatti del padre e che poteva camminare a testa alta.

 

4) Mi sento in colpa   

Agnese si sentiva colpevole perché sua figlia aveva lasciato la famiglia e in seguito era diventata lesbica. Il pensiero di aver fallito come madre sviluppava in lei sentimenti di rabbia e compassione verso se stessa, come pure di colpa.

 

5) L’aggressività come autodifesa

Molte persone aggressive e prepotenti non sono altro che tigri di carta. Alzano la voce, si dimostrano seccati, sempre pronti a riprendere gli altri, perché il vedere la gente fuggire dalla loro indignazione fatua e fasulla produce loro un certo senso di soddisfazione.

Dietro quell’apparenza di uomo duro si nasconde un uomo insicuro, con tremendi sentimenti di inferiorità e di colpa. Il fare brusco è il modo per proteggersi dalla propria debolezza che non osano confessare, neanche a loro stessi.

 

6) Traumi da divorzio

“Mio papà non abita più con noi. Ci ha lasciati perché non mi vuole più bene. Devo aver fatto qualcosa di cattivo, perché altrimenti non se ne sarebbe andato”.

Questa bambina perse, poi, il senso di autostima. Se suo padre, infatti, non la amava, come poteva lei amare se stessa?

 

Una donna, affetta da emicrania, iniziò una serie di sedute psicoanalitiche. Le venne detto di rivivere una scena in cui si sentiva sola e piena di timore, scaricando ogni eventuale forma di rabbia su un cuscino.

Iniziò a piangere con la voce di una bambina. “Dove sei?” chiese il medico. “Sotto il letto”. “E perché sei sotto il letto?” “Perché ho paura”. “E perché hai paura?” “Perché stanno litigando. Mio papà ci abbandonerà!” “E che cosa succederà, se tuo papà vi lascerà?” Seguì un prolungato silenzio tra singhiozzi disperati. “Ne morirei”, disse alla fine la donna.

L’emicrania se ne stava andando. Rivivere un avvenimento è molto diverso da ricordarlo. Solo rivivendo una certa situazione è possibile sradicare i sentimenti che si erano piantati nell’inconscio.

 

7) Svergognato pubblicamente

“Il tuo cognome si scrive Allegri e non Alegri”, disse la maestra al bambino, convinta di essere nel giusto. “Scrivilo adesso nel modo corretto!” Ma il bambino lo riscrisse ancora una volta con una sola elle. La maestra, allora, prese quel foglio di quaderno e lo fece vedere alla classe dicendo: “Questo bambino è così stupido che non sa scrivere il proprio cognome. Scrivilo di nuovo nel modo giusto, con due elle”. Il

bambino questa volta fece come gli aveva detto la maestra, ripieno di rabbia per l’accaduto.

Questa scena restò impressa nella sua mente e ogni volta che ci pensava si sentiva un codardo si sentiva anche ferito per le risa dei compagni all’affermazione della maestra riguardo la sua stupidità.

Scrivendo il suo cognome nel modo come la maestra voleva che facesse, il bambino accettò in un certo senso la valutazione di stupidità che lei gli stava rivolgendo. E anche oggi, da adulto, continua a sentirsi stupido e privo di una solida e appropriata stima di se stesso.

 

8) Eccessivamente geloso

Un marito è molto geloso della moglie, non la perde di vista quasi mai. La madre d questo uomo, quando questi era giovane, per lunghi anni era stata affetta da una grave malattia e poi la morte “gliela portò via”.

Questo suo amore possessivo nei confronti della moglie era il risultato naturale dei suoi sentimenti infantili prodottisi dalla perdita della madre. Sentiva, perciò, la necessità di vivere incollato alla sua consorte per la paura di essere vittima di una nuova destabilizzante perdita.

 

9) Raccontare barzellette

Carlo aveva una notevole riserva di barzellette e, quando se ne presentava l’occasione, le sciorinava una dopo l’altra. Non si sapeva, però, che avesse mai riso quando altri le raccontavano.

Quando era il centro dell’attenzione i suoi occhi brillavano, ma quando non era la figura centrale si spegnevano. Era un buon oratore, ma non sapeva ascoltare.

Una persona con queste caratteristiche è così occupata con i suoi sentimenti e con la sua importanza da non riuscire ad ascoltare nessuno.

Chi è in pace con se stesso riesce, a volte, a dimenticarsi di sé e ad ascoltare con interesse quello che gli altri hanno da dire. Saper ascoltare è anche un atto d’amore.

 

10) Non saper dire di “no”

Caterina si vide bambina mentre giocava sul pavimento di casa. Accanto a lei la madre stava parlando con una vicina e diceva: “Non voglio un quarto figlio. Questa mia ultima bambina non fa che piangere da quando è nata. E, poi, non ho bisogno di un altro figlio”.

“Non dire cos’, mamma! Sarò buona. Farò qualsiasi cosa purché tu non torni a dire queste cose!” Caterina, in questo suo ritorno all’infanzia, pianse mezz’ora nel ricordarsi quel sentimento di rifiuto espresso dalla madre.

Da bambina non tornò più a piangere e si trasformò in una persona lamentosa, non solo nei confronti della madre, ma con tutti. Si sentì, poi, anche incapace di dire di “no” a chiunque le avesse chiesto qualcosa.

Nel momento in cui si sentì rifiutata dalla madre, fece come un voto ripromettendosi di cedere e di fare tutto quello che le avrebbero chiesto, pur di ottenere che la amassero.

 

11) Hai versato ancora il latte!

In un attimo di disattenzione Giovanni versò il caffè sul letto e sul parquet della camera. “Che rabbia sento verso me stesso quando mi capitano queste cose”, disse a voce alta.

La mente, però, in quel momento lo riportò per un attimo alla sua infanzia quando, bambino, afferrò un bicchiere di latte e lo versò sul tavolo. “Hai versato il latte, hai visto?”, tuonò questo annuncio superfluo. Percepì anche l’irritazione e l’impazienza che si impossessò di tutta la famiglia quando si misero ad asciugare il tavolo.

Quel bambino pensò: “Sono disattento e stupido. Tutti mi odiano”. Da quel momento pensò che, prima che gli altri potessero giudicarlo come incapace e stupido, dovesse dirselo lui a se stesso.

Nel momento di versare il caffè percepì un moto di ansia per la probabile arrabbiatura che questo suo gesto avrebbe causato (nella moglie in questo caso).

Il rifiuto insito nell’errore crea l’ansia di poterne compiere uno.

 

12) Avrei potuto diventare una cantante famosa

Giorgia, una donna di poco più di 30 anni, aveva avuto un’infanzia difficile. Non si accettava per quello che era e scaricava questo odio verso il marito e la figlia maggiore.

Dovuto in parte a questa instabilità emozionale della moglie, il marito perse il lavoro e la conseguente crisi economica portò Giorgia in uno stato di maggior insicurezza e ansia.

Durante una seduta dallo psicologo confessò che avrebbe potuto diventare una cantante famosa, se gliene avessero data la possibilità. Era determinata a “essere qualcuno” per guadagnare applausi e vedersi ammirata.

La fantasia frustrata di come ottenere un senso di valore personale la portava anche a odiare l’ambiente in cui viveva, visto in parte come responsabile di questa sua mancata autoaffermazione.

 

13) Desiderare la mamma

Un giovane, chiamato da Dio al ministero, non si sentiva degno di ricoprirlo. E’ un tipo indeciso, insicuro, timoroso che gli possa accadere qualcosa di negativo nella sua vita, pensa di non meritare il ministero e soffre di insonnia.

Aveva i chiari sintomi di un forte senso di colpa. Anche se la sua vita era impeccabile, sentiva disprezzo per se stesso.

Si scoprì nella sua infanzia un’esperienza traumatica, che era rimasta nascosta per tutto questo tempo nel suo inconscio. La mamma spesso si svestiva in sua presenza e lui, bambino, cercava di non guardare. Una notte, in assenza del padre, la mamma lo prese a dormire nel suo letto (aveva allora 8 anni). Durante la notte si svegliò, si trovò a contatto con il corpo della madre e si rese conto di desiderarla. Si mise a

piangere pensando a quanto fosse disprezzabile e cattivo. Per tutta la notte non chiuse occhio.

In seguito dimenticò completamente questa esperienza. Ricordava soltanto che non voleva dormire con sua madre, ma non immaginava il perché.

Pur essendo cristiano non riusciva a perdonarsi. La sua reazione in quella circostanza gli era nascosta e non poteva, quindi, eliminare la causa prima di quel suo senso di colpa. Lo Spirito Santo dovette riportare alla memoria quella scena per aiutarlo a liberarsi dalle conseguenze che ne erano derivate.

 

14) Sentimenti repressi

Una giovane donna di circa 30 anni racconta:

“I miei genitori hanno fatto il loro meglio, però erano persone fredde e non volevano che io esprimessi le mie emozioni. Volevano fare di me una brava ragazza, e cioè una ragazza sottomessa, ubbidiente, che non si irritasse mai e fosse sempre amabile. In altre parole volevano un piccolo robot senza sentimenti.

Dal loro punto di vista il peggior peccato era esprimere rabbia o anche soltanto irritazione. A Dio, mi dicevano, non piacciono le bambine discole. Seppellii, così, tutti i miei sentimenti per guadagnare il loro amore e la loro approvazione. Penso che un bambino abbia tanto bisogno di questa approvazione che qualsiasi prezzo gli venga chiesto per ottenerla non gli sembrerà mai troppo alto.

Passati i vent’anni era tale la mia ansia, derivata dalla repressione delle mie più profonde emozioni, che i miei genitori mi mandarono da uno psichiatra. Non ne ricavai alcun beneficio, perché il solo parlare dei miei sentimenti si rivelò una perdita di tempo.

Adesso so che avevo un bisogno disperato di sentire le mie emozioni e non solo di discuterne. Alla fine esplosero la rabbia e le frustrazioni inespresse, turbolenti e laceranti, che erano dentro di me, e mi inviarono all’ospedale psichiatrico. Quando mi chiusero nella mia piccola cella, un impulso irrefrenabile mi spinse a colpire le pareti e a gridare. Queste grida provenivano, per così dire, fin dalla punta delle dita dei piedi, erano ondate di emozioni che avevo desiderato esprimere durante tutta la mia vita, emozioni ripiene di rabbia e frustrazione.

Nel gruppo terapeutico imparai, quindi, a esprimere i miei sentimenti senza percepire vergogna o sensi di colpa. Il secondo passo dell’autocontrollo (non della repressione) mi aprì, poi, la via all’equilibrio interiore e alla liberazione dalle ansie”.

In psichiatria non ricevette la soluzione alle sue ansie, perché i loro sforzi erano tesi nell’impedire la liberazione dei suoi sentimenti sepolti.

 

Claudia era una ragazza poco comunicativa ed emozionalmente spenta, imbottita di tranquillanti per il timore di cadere nella psicosi.

Ritenendo che la depressione non è un sentimento, ma un mezzo per farli tacere quasi tutti, e credendo nella necessità di rivivere sentimenti a lungo sepolti per liberarsi dal turbamento che ne deriva, riportai questa ragazza nella sua infanzia.

Improvvisamente incominciò a gridare. Le sue grida inizialmente si diressero verso la madre ed esprimevano rabbia, timore, indignazione, dolore e odio. Stava esprimendo dei sentimenti per la prima volta nella sua vita (eccetto quei brevi momenti nell’ospedale psichiatrico, subito però repressi dal personale di guardia con potenti sedativi).

Quando la rabbia verso la madre sembrò calmarsi, iniziò a scagliarsi contro il padre. Erano sentimenti di delusione e di ansia per essere da lui amata, accarezzata e ascoltata. Continuò così fino a sentirsi esausta e poi si mise a piangere in un modo incontrollato. Erano lacrime da bambina, lacrime di frustrazione e di solitudine, che non le era mai stato permesso versare, perché in casa sua il piangere era

considerato un peccato simile a quello della rabbia.

Il sollievo che percepì da questo suo sfogo fu enorme, perché poté esprimere tutta quella frustrazione che si era accumulata negli anni nel suo cuore. L’ansia scomparve e smise di prendere la dose giornaliera di tranquillanti. Sette anni di terapia parlata non avevano fatto altro che stabilizzarla come un automa depresso emozionalmente.

 

15) Picchiato barbaramente

Sergio era un giovane simpatico e di buona presenza poco più che ventenne.

“I miei due fratelli maggiori, da piccoli, erano bravi in tutto. Io non riuscivo a leggere così velocemente come loro, né a risolvere i problemi matematici come loro. Io mi arrangiavo come potevo, mentre i miei due fratelli facevano tutto bene. Per questo mio padre gridava con me e mia madre mi criticava. Sbagliavo sempre tutto. Mio padre mi picchiava così forte che io pensavo mi avrebbe ucciso”.

Lo feci regredire nel passato e Sergio incominciò a parlare a suo padre con voce infantile: “Papà, io ti voglio bene. Non mi picchiare, papà. Io ti voglio bene. Sii buono con me, papà, cerca di volermi bene. Non picchiarmi! Perché non mi porti a pescare come fai con gli altri miei fratelli? Voglio stare con te, papà. Mi fai paura, papà. So di non essere buono. Sono cattivo, molto cattivo. Faccio tutto male, ma non puoi amarmi almeno un po’? So che i miei voti sono brutti, ma non riesco a fare di meglio. Sono cattivo e tu mi odi, ma papà, ti prego, amami un po’. Io ti amo, papà…Papà non mi uccidere, cercherò di essere migliore!”

 

Il padre non voleva, certo, ucciderlo, ma il bambino lo percepiva così, dato il modo barbaro di colpirlo.

“Io non sapevo scrivere correttamente e mio padre gridava ad ogni mio errore. La paura delle reazioni di mio padre mi impedivano di pensare e riflettere a scuola, così che i miei voti erano sempre brutti, al contrario dei miei fratelli.

Sei uno stupido, usa quel cervello. Puoi dare di più se vuoi! Così mi gridava mio padre. Come risultato mi sentivo ancor più paralizzato”.

Nuovi sentimenti affiorarono: “Papà mi odierà! E anche tutti gli altri mi odieranno! Nessuno riesce a vedere quanto ho bisogno di loro? Voglio venire a pescare con te, papà, e al cinema e alla partita. So di essere piccolo, ma non puoi portarmi con te almeno una volta? I miei fratelli mi dicono che vada a giocare con le bambine. Non ho amici. Devo essere cattivo. A volte la mamma è buona con me. Mammina, liberami

da papà! Non lasciare che mi uccida! Non dirgli che mi sono comportato male! Mi picchierà…Io faccio sempre un mucchio di errori. Non riesco a fare nulla di buono. Sono cattivo…Tutti mi odiano. Che cosa farò? Voglio che mio padre mi ami. Sì, per favore, papà, amami”.

Seguirono dei singhiozzi prolungati e angosciati, repressi attraverso gli anni, ma così freschi come il giorno in cui quel bambino si sentì rifiutato e inutile.

 

16) Sessualmente frigida

Pur molto affettuosa, una donna era sessualmente frigida. Durante una seduta specialistica rivisse l’esperienza di essere stata violentata da giovane e più tardi molestata sessualmente da un parente.

Entrambi questi avvenimenti furono rivissuti con tutto l’intenso dolore fisico ed emozionale dei fatti originali. Lei, però, aveva rimosso questi due episodi e non ne aveva ricordo.

 

17) Non riusciva più a bere acqua

Una giovane di 21 anni, mentre assisteva il padre gravemente malato, incominciò a manifestare strani sintomi. Questi divennero più acuti e in seguito insorse una paralisi con contrazioni, inibizioni, confusione mentale, ecc.

Pur avendo una grande sete, qualcosa le impediva di bere acqua. Durante una preghiera di liberazione le venne alla memoria una situazione in cui rimproverava la sua istitutrice, perché non aveva evitato che un cane bevesse dal suo bicchiere.

Quel cane le sembrò orribile, ma non commentò mai l’accaduto con nessuno. Possiamo dedurre che il sintomo neurotico sia in relazione con un ricordo sgradevole già dimenticato e che la confessione del conflitto possa eliminare i sintomi.

 

18) Il centro dell’attenzione

Cresciuto in una famiglia evangelica, era il più piccolo di 5 fratelli. Per questa sua condizione ricevette un trattamento speciale. Il padre non era così rigido con lui come lo era con gli altri fratelli. Visse, a suo dire, un’infanzia paradisiaca.

All’età di 13 anni, però, rimase orfano e lì incominciò il suo calvario. Andò a vivere in casa di un fratello, la cui moglie cercò in tutti i modi di rendergli la vita impossibile. Frequenti erano le sue lamentele presso il fratello. Si allontanò dalla Chiesa professandosi ateo e così visse per 15 anni.

Quando cerca cura pastorale si lamenta di malesseri fisici, depressione, insonnia, pessimismo e mancanza di gioia di vivere. Ha conflitti con la moglie e teme una prossima separazione.

 

I genitori erano morti in un incidente stradale, mentre andavano a prenderlo a casa di un amico. Era rimasto in compagnia dell’amico più del previsto e poi si era messo a piovere. Chiamò, così, i genitori perché venissero a prenderlo.

Era perseguitato, quindi, da un profondo senso di colpa. Provava, però, anche un senso di rancore per il fratello, presso cui viveva, perché stava dalla parte dellmoglie e non lo superproteggeva come era solito fare nel passato. Lasciò, così, la Chiesa come forma di vendetta verso il fratello credente.

Si sentiva solo, abbandonato e colpevole. Cercò nel matrimonio, ma inutilmente, una soluzione al suo problema. Oltre al senso di colpa, c’era in lui una certa frustrazione per non poter ritornare alla situazione paradisiaca della sua infanzia, quando era il centro dell’attenzione.

Aveva bisogno di sentirsi importante, di essere riconosciuto, di essere il primo in qualsiasi luogo facesse qualcosa. I problemi con la moglie erano simili a quelli che aveva avuto col fratello. Voleva il monopolio dell’amore della moglie e mal tollerava che lei si occupasse della madre e dei fratelli. “Scegli me o tua madre”, disse un giorno alla moglie. Questa gli fece notare che lo amava, ma che non poteva rinunciare ad occuparsi di sua mamma. Questo atteggiamento lo fece precipitareuno stato depressivo profondo.

Quando accettò la causa delle sue sventure, uscì da questi conflitti.

 

19) Eccesso di puritanesimo

Nacque in una famiglia estremamente puritana. Fin da piccolo gli venne insegnato tutto ciò che aveva a che fare con i peccati sessuali. I suoi genitori volevano che fosse un cristiano irreprensibile. Ai 18 anni si fece la sua prima amica, una vicina di casa non credente. Malgrado gli insegnamenti ricevuti dai genitori di cercare solamente una giovane cristiana, non seppe resistere al fascino di quella bella vicina.

Un giorno, trovandosi soli in casa, la ragazza lo invitò ad avere un rapporto sessuale. Lui rimase impietrito: da una parte era molto attratto da lei, ma dall’altra i suoi principi gli impedivano di accettare quell’invito.

Quando riuscì ad alzarsi, infilò l’uscio di casa, con grande sorpresa della ragazza. Arrivò a casa di corsa e poco dopo si rese conto di avere gravi disturbi alla vista. Nei giorni successivi non ci fu miglioramento, anzi subentrarono disturbi nel linguaggio. In seguito ruppe ogni relazione con la ragazza,

 

Certo, per un giovane innamorato si era trattato di una tentazione molto forte e in lui era sorto un grande conflitto. La malattia fu il mezzo inconscio del giovane per sfuggire a quel conflitto. I problemi alla vista erano sopraggiunti per non sentirsi attratto quando i suoi occhi avrebbero incrociato questa e altre belle ragazze in generale, e i problemi di linguaggio rappresentavano un modo per non esprimere i

suoi sentimenti ad un’altra donna e non doversi trovare, così, in una situazione similare.

 

20) Impotenza

Un uomo di 28 anni, credente così come la moglie, dopo il matrimonio scoprì di essere impotente. La causa era un complesso di Edipo. La moglie assomigliava stranamente alla madre e ciò impediva l’atto sessuale.

 

21) Asma      

Quando all’età di 5 anni morì il padre in un incidente, per il bambino se ne andò anche il suo idolo. Subito dopo iniziarono i sintomi di asma. Con questa malattia cercava di procurarsi la compassione dello zio che lo aveva adottato. Doveva lottare con i cugini per avere un po’ di affetto.

 

Cinzia, quando ha 2 anni, si ritrova in casa una sorellina. Tutte le attenzioni sono per la nuova nata, cosa che già si verificava prima del parto. Si sente derubata dell’affetto. La mamma si preoccupa prima della piccolina e dopo di lei, e questo sempre così.  

Un giorno vuole vedere più da vicino la sorellina, si arrampica sulla culla e la rovescia. La mamma accorre. Entrambe le bambine sono a terra, ma lei si preoccupa prima della piccola: è sempre la stessa storia.

La grande si ritrova a terra, coperta dalle lenzuoline della culla. Fa fatica a respirare. Dopo essere stata derubata delle attenzioni, della culla e della posizione nella stanza dei genitori, tutto a favore della nuova venuta, si procura l’asma per attirare nuovamente un po’ di attenzione su di sé. E in seguito, ogni volta che ha avuto problemi con la sorella, si sono manifestati attacchi di asma, più o meno violenti.

All’età di 6 anni cercò persino di uccidere la sorellina (cioè eliminarla) con un coltello da cucina.

All’età di 8 anni la maestra disse ai suoi genitori di non inviarla più a scuola, perché tossiva molto e gli altri bambini temevano di venirne contagiati. Questa fu un’altra esperienza dolorosa nella sua vita.

Tutto ciò era stato dimenticato, ma ritornò alla luce in varie sedute mirate alla guarigione dei ricordi.

 

 

 

L’importanza della guarigione dei ricordi

 

Possiamo ricordare qualche umiliazione sofferta per colpa dei nostri genitori, dei nostri simili o dei nostri compagni di gioco? Possiamo ricordarci di esigenze, critiche, rimproveri, botte, grida? Se riusciamo a ricordarci di una mezza dozzina di situazioni di cui sopra, stiamo sicuri che ne esistono centinaia sepolti nella nostra mente inconscia.

Molti pensano di aver avuto un’infanzia ragionevolmente buona e grande è la loro sorpresa quando si sentono invocare amore e comprensione in episodi infantili rivissuti.

Il fatto che noi dimentichiamo certi episodi non significa la loro distruzione nella memoria. Tutto sopravvive, in un modo o nell’altro, e sotto certe condizioni può riaffiorare alla mente cosciente.

Non è raro che l’esperienza della nascita sia rivissuta con infiniti dettagli. Quando, poi, la nascita ha prodotto molto dolore e panico per il nascituro, rivivere questa esperienza spesso si è dimostrato essere molto terapeutico.

 

Sappiamo per esperienza che nulla si dimentica completamente. L’erosione degli anni non distrugge nessuna esperienza o avvenimento: il pianto del bebè che richiede il biberon, l’angoscia di essere nati in questo mondo, il panico di essere stati lasciati soli in un asilo, la vergogna nell’essere stati ridicolizzati da altri bambini, le innumerevoli notti di terrore quando si veniva lasciati soli nella stanza buia, o l’esperienza imbarazzante di quel primo appuntamento.

La mente è una lastra fotografica incredibilmente sensibile su cui tutto viene registrato con infinita fedeltà. Più del 99% dei ricordi infantili, con tutti i sentimenti che ne derivano, sono immagazzinati nella memoria inconscia.

Però, a differenza delle foto che vengono conservate in un cassetto, queste migliaia di ricordi, caricati di dolore, stanno esercitando una profonda influenza nelle nostre vite attuali, danno colore alle nostre attitudini e distorsionano le nostre idee. Ogni relazione adulta si vede, in un certo modo, influenzata da quelle esperienze dell’infanzia e dal dolore che ne deriva.

 

Il peccato originale, così come sono giunto a vederlo dopo innumerevoli ore di ascolto delle escoriazioni ricevute nell’infanzia, non è semplicemente il peccato di Adamo ed Eva, ma è il peccato (il fallimento, l’amore mal diretto, l’ignoranza) dei nostri genitori e di altre figure di autorità.

Falliamo perché i nostri genitori hanno fallito, dovuto anche al fatto che anche loro non hanno ricevuto quell’amore incondizionato di cui avevano bisogno. Siamo le vittime della colpa collettiva della società.

Dio può perdonarci non soltanto perché è un Padre amante, ma perché sa i motivi del nostro cattivo funzionamento. Ciò non significa che veniamo sollevati dalle nostre responsabilità, ma che abbiamo un’attenuante per essere nati in una società squilibrata e inferma.

Dobbiamo riconoscerci persone difettate, non adatte al regno dei Cieli, ma non dobbiamo incolparci più del dovuto o addirittura odiarci (vedi Romani 7:15-17). Non dobbiamo trattare il peccato con indifferenza, come fosse cosa di poca importanza, ma non dobbiamo nemmeno caricarci con una colpa eccessiva.

Molta gente è stata danneggiata da una religione rigida, legalista e autoritaria. I genitori, la religione o il sesso sono le tre cause principali di malattie mentali.

 

La guarigione dei ricordi è pratica sostenuta dalla Bibbia? Non ricordo il passaggio biblico preciso, ma è il capitolo che segue immediatamente quello che autorizza il chirurgo ad estirpare un’appendice infiammata.

Sfortunatamente, il fatto di rivivere le ferite antiche e la possibilità di sbarazzarsi dell’ansia che accompagna queste ferite, è cosa notevolmente più complessa di un’operazione di appendicite.

Dato che queste cose sono successe molto tempo prima o addirittura nell’infanzia, perché non dovremmo semplicemente far fiducia a Dio e andare avanti nella nostra vita cristiana come se nulla fosse successo? Ormai siamo adulti, perché, quindi, scavare in quella spazzatura e non vivere semplicemente il presente?

Il fatto vuole che, sebbene certi fatti abbiano avuto luogo nel passato, il dolore che ne è derivato è ancora presente nella persona. Il tempo non riduce la colpa, né le ferite apertesi nell’infanzia.