SALUTE PSICHICA
Se vogliamo avere salute psichica, dobbiamo sviluppare il nostro apprezzamento per tutte le cose belle che ci circondano, migliorare e nobilitare il nostro lavoro, per quanto umile sia, e sforzarci veramente per rendere questo mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.
Dobbiamo vedere l’aspetto positivo della vita, essere riconoscenti e amabili e vincere l’egoismo, l’invidia, l’autocompassione e i giudizi affrettati. Solamente dando riceveremo. Coltiviamo la pazienza, la tolleranza, la collaborazione, la fiducia, l’allegria e la speranza dando, così, alla nostra anima gli alimenti necessari per il suo normale sviluppo.
L’infanzia è il momento della vita dove prepariamo il terreno per la buona (o cattiva) semina. Dobbiamo sapere che il bambino ha delle necessità fondamentali da soddisfare: affetto, comprensione, sicurezza personale, amicizia, successo, rispetto verso i genitori e le altre autorità e sfogo per le sue energie tramite il lavoro, lo studio e il gioco.
Se non riesce a soddisfare queste sue necessità legittime nella sua famiglia, a scuola e nella vita sociale, sarà vittima del nervosismo, di turbe psichiche e di deviazioni nella condotta.
Il cattivo comportamento del bambino, e poi dell’adulto, è dovuto spesso e in gran parte a occulti adattamenti, per decifit di completamento emotivo, prodotti dagli sforzi ciechi, ignoranti e traviati del bambino, e poi dell’adulto, in cerca delle legittime soddisfazioni a cui ha pieno diritto come essere umano.
“Inculca al fanciullo la condotta che deve tenere; anche quando sarà vecchio non se ne dipartirà” (Proverbi 22:6). Da qui la necessità di un lavoro di igiene mentale sul bambino, ma anche sul giovane e sull’adulto.
La adolescenza è un periodo specialissimo della vita umana in cui l’adulto lotta per sostituirsi al bambino. Il giovane non possiede più la struttura psichica del bambino, ma non ha neanche raggiunto quella dell’adulto. Vive in una fase di crisi, di antagonismo, di agitazione e di lotta interna. Non si rende conto, però, di vivere in un periodo intermedio della sua vita. Crede che ciò che gli succede sia qualcosa di definitivo e non sospetta il vero significato delle sue crisi e oscillazioni, che costituiscono un processo di sviluppo, di transazione e di metamorfosi.
I caratteri della nuova organizzazione psichica sono tre:
- La scoperta dell’Ego
- La formazione progressiva di un piano di vita
- L’ingresso in una delle differenti aree della vita.
In questa fase si alternano l’egoismo e la abnegazione, la nobiltà d’animo e l’istinto criminale, la socialità e la tendenza alla solitudine, la fede nell’autorità e il radicalismo rivoluzionario, l’impulso avventuriero e la tranquilla riflessione.
Queste contraddizioni rappresentano sicuramente un tormento per l’adolescente. In questa fase della vita avviene una specie di selezione che determina la persona futura. L’insegnamento e la pratica dell’igiene mentale e la formazione di ideali è della più grande importanza nell’adolescenza.
Davanti ad una situazione difficile il timido si nasconde, il pigro si mette da parte, il pauroso fugge e l’irresponsabile si diverte. La persona normale, però, affronta la situazione con coraggio, con intelligenza e con rettitudine.
Molti dei nostri malesseri sono, a volte, il modo per evitare una decisione o una situazione difficile. Cerchiamo di evadere da una certa situazione evitando la decisione, ma in questo modo perdiamo il contatto con la realtà. Affrontiamo gli ostacoli e non cerchiamo un falso trionfo evitandoli.
L’individuo anormale reagisce davanti alle difficoltà cercando di evitarle (con isteria, nevrastenia, manie di grandezza o di persecuzione) o in modo aggressivo.
Il fallimento di una persona di fronte alla vita si produce quando si cerca di evaderne i vari aspetti che si presentano, mentre l’uomo veramente superiore accetta le leggi della vita e le domina.
Ecco l’importanza di acquisire buone abitudini mentali (o sani pensieri) e di avere la dovuta attitudine davanti ai problemi della vita quando siamo sani, quando tutto va bene, perché così ci stiamo preparando per il giorno in cui riceveremo dei duri colpi.
Ci sono delle persone che sviluppano certi tratti indesiderabili del carattere, sia per colpa della vanità che per coprire complessi di inferiorità, o perché vittime di certe tendenze neurotiche. Questo ruolo che rappresentano si incide nel loro subconscio in modo tale da sentirsi obbligati a rappresentarlo loro malgrado.
Ciò che conta è la vita quotidiana e non le attitudini spettacolari. La vita retta giorno dopo giorno, la creazione di un clima psichico salutare, la coscienza del dovere, il senso della responsabilità, lo spirito di collaborazione, la moderazione, una sana allegria, tutto ciò servirà da paraurti e da ammortizzatori quando arriveranno le avversità.
I pensieri contribuiscono in gran parte alla formazione del carattere. Dobbiamo vigilare accuratamente sui nostri pensieri, perché un pensiero impuro è sufficiente per lasciare una profonda impressione nell’anima, ci infetta. Per esempio: mio zio si è ucciso. Dicono che assomiglio molto a lui. Anch’io, quindi, un giorno finirò suicida.
Vivere nella realtà
Un fattore della salute mentale è il senso della realtà, nemico della neurosi che è essenzialmente una fuga dalla realtà.
Coloro che edificano le loro speranze su un intervento magico, un’eredità da uno zio d’America o una vincita alla lotteria, non hanno l’attitudine attiva e realista che dovrebbero avere di fronte alle difficoltà della vita. L’attitudine passiva e magica è un miraggio ingannevole, e poi esige un sacrificio costante, una tensione continua per mantenerla sull’altare, da cui prima o poi cadrà strepitosamente. Eliminiamo ogni forma di autoinganno in tempo!
La lettura abituale di novelle, di racconti fantascientifici, di favole, l’essere dediti all’alcol, frequentare assiduamente le sale cinematografiche, così come le continue evasioni e distrazioni, tutto ciò ci porta, senza che ce ne rendiamo conto, verso un mondo irreale e oscuro. Tutto questo alimento lascerà la nostra mente molto insoddisfatta e si ripercuoterà nei rapporti quotidiani.
Coloro che sono stati viziati nell’infanzia accusano molto di più i colpi della concorrenza spietata che domina attualmente nella società, perché questa lotta implacabile esige grande iniziativa, molta energia, una buona dose di dominio proprio, repressione costante dei capricci e un armonioso adattamento all’ambiente.
I bambini che sono stati viziati e circondati da molte attenzioni e cure sperano sempre di ricevere un trattamento simile. In caso contrario si sentiranno delusi e scoraggiati. Da adulti dipenderanno dall’aiuto altrui, sperando che gli altri li favoriscano e cedano ai loro desideri. E, se trovano opposizione, si crederanno maltrattati e incompresi, e saranno facili all’irritazione e alla lamentela.
Tutti tendiamo a vedere le cose come vorremmo che fossero e non come sono in realtà. Vediamo tutto con il colore delle lenti con cui guardiamo.
Aveva ragione il nostro Maestro: “La lampada del corpo è l’occhio. Se dunque il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà illuminato; ma se il tuo occhio è viziato, tutto il tuo corpo sarà nelle tenebre. Se dunque la luce che è in te è tenebre, quanto grandi saranno le tenebre!” (Matteo 6:22-23).
Se la visione dell’occhio mentale percepisce la realtà obiettiva con esattezza, ci vedremo liberi dalla catatimia, cioè dall’esagerazione inconscia che aumenta o diminuisce la realtà, ma se l’occhio interiore non vede bene e non valuta le cose come sono in realtà, entreremo a far parte di quel nucleo di persone che esigono una cura speciale.
In genere non vediamo la realtà, ma la sua caricatura soggettiva. La nostra mente effettua la sua percezione più in accordo con il ricordo di come era piuttosto che con la presa di coscienza di come è. Il passato, cioè, interviene di più nelle nostre percezioni del presente. Ogni fatto psichico influisce su quelli che si susseguono nella nostra vita.
Ci sono 4 tipi di persone:
- Quelle vere (o sagge)
- Quelle sbagliate (o ignoranti)
- Quelle false (o perverse)
- Quelle complottatrici (o neurotiche)
Le prime fanno un’affermazione credendo nella certezza della stessa, che ha un suo riscontro nella realtà.
Le seconde fanno un’affermazione credendo nella certezza della stessa, ma che invece è falsa.
Le terze affermano una cosa che sanno non essere certa.
Le quarte credono una verità parziale e vi aggiungono qualcosa di fantastico. E’ una miscela, in parte cosciente e in parte no, di verità, errore e menzogna. Ciò avviene perché questi soggetti si trovano in uno stato suggestivo particolare che annulla il senso dell’autocritica. Questa suggestione che inibisce l’autocritica si produce quando la verità parziale coincide con un desiderio intenso del soggetto.
Questa verità parziale produce nel soggetto soddisfazione e riempie tutto il suo campo psichico senza lasciar spazio alla visione delle altre cose e senza permettergli di rendersi conto che ciò corrisponde a una piccola parte della realtà.
In questo modo il processo psichico normale si inverte e invece di vedere le cose così come sono e aggiustare alla realtà la loro valutazione, questi soggetti le vedono come vorrebbero che fossero e aggiustano la loro valutazione o giudizio a questa credenza falsa.
Costoro hanno poca volontà e una fantasia morbosa, complicando e imbrogliando tutto. Vivono di illusioni senza fondamento. Hanno l’abitudine di parlare forte, con veemenza, come se volessero mangiarsi il mondo, con molta gestualità, come se volessero togliere di mezzo ogni possibile obiezione, vista più come ingiuria che non come espressione di ragionevolezza. Si credono infallibili e sono in continuo movimento. Hanno progetti grandiosi. Sono sinceri nel loro agire e hanno più bisogno di compassione e protezione che di punizioni.
Non facciamoci castelli in aria. Lavoriamo e amiamo per la gioia di collaborare con gli altri e non per aspettarci gratitudine.
La nostra felicità dipende dall’attitudine che adottiamo nei confronti del nostro destino. L’uomo normale lo affronta, per quanto duro sia, mentre l’uomo anormale fugge come un codardo, si copre gli occhi come un bambino per non vederlo o nasconde la testa sotto la sabbia come uno struzzo.
L’accettazione è uno dei fattori più essenziali di prevenzione delle malattie dell’anima. Dobbiamo accettare innanzi tutto noi stessi: il nostro sesso, la nostra età, la nostra professione, il nostro corpo e il nostro nome. Dobbiamo accettare, poi, le circostanze della vita: la sofferenza in generale, la malattia in particolare, la povertà moderata, la invalidità o qualsiasi anomalia organica o sociale. Non siamo gli unici a dover soffrire. Dobbiamo, poi, accettare il prossimo.
Accettazione non è conformismo fatalista, né passiva rassegnazione, ma è sentirsi uniti alla vita e all’universo, è vivere nella realtà. Non significa neanche consentire l’ingiustizia e l’ignoranza.
Dobbiamo lottare contro la sofferenza e il male con tutte le nostre forze, ma non con un’attitudine di ribellione, cioè contro qualcosa o qualcuno, bensì in maniera costruttiva.
Dobbiamo cercare un rimedio per tutto ciò che può avere un rimedio e non ribellarci contro ciò che è irrimediabile, ma accettarlo di cuore e non forzatamente. L’accettazione non deve avvenire a denti stretti, perché così si trasforma in veleno, ma serenamente per poterne ricavare lezioni proficue.
Prima di esaurirci perseguendo mete impossibili, riduciamo le nostre aspirazioni. Ciò non significa che non si debbano avere aspirazioni degne. Le mete morali, poi, non devono mai abbassarsi di livello. Rendiamoci anche conto che non è possibile per tutti diventare figure di rilievo.
Prima di abbandonare le speranze caldamente alimentate dobbiamo esaurire tutti i mezzi a nostra disposizione. Solamente dopo ci accontenteremo con una soluzione secondaria: “Ho imparato ad esser contento nello stato in cui mi trovo” (Filippesi 4:11).
Attitudini costruttive :
Attitudine franca e realista, costruttiva, ponderata, giusta, amichevole e diplomatica, rispettosa, altruista, incoraggiante e coraggiosa.
Attitudini disgregatrici :
Attitudine sognatrice, autoingannatrice, scoraggiante, di sfiducia, vendicativa e risentita, egoista, codarda.
Colui che si autoinganna tende a giustificarsi e a dare agli altri la colpa per i propri errori. Chi si scoraggia soffre spesso di un complesso di inferiorità.
Il risentimento avvelena l’anima, l’odio e la crudeltà distruggono la personalità. La sfiducia viene dal sospetto cronico. L’egoista si preoccupa solo di se stesso e il codardo abbandona la lotta della vita quando si presenta difficile.
Per vivere in vittoria bisogna guardare gli ostacoli della vita come semplici prove da superare.
La ribellione è sempre nefasta. Sia che ci ribelliamo contro il nostro destino che contro i nostri simili o la Provvidenza, il risultato sarà sempre e soltanto malattie dell’anima e del corpo.
La ribellione incomincia contro le circostanze, poi contro la nostra vita, per attaccare più tardi il mondo in generale e infine la Provvidenza.
Se vogliamo essere felici e godere di una buona salute mentale, dobbiamo accettare la realtà e cercare di migliorarla, senza però ribellarci contro di essa.
Dobbiamo imparare non solo a guadagnare nella vita, ma anche a perdere e a farlo di buon grado. “Destino”, “fatalità” e “sorte” sono parole che si impiegano spesso per coprire i nostri errori.
Sublimare i nostri desideri
Ogni persona normale può coltivare un piacevole stile di vita e portare a compimento, in questo modo, l’opera d’arte più grandiosa che possa realizzare l’essere umano, e cioè il raggiungimento di un carattere nobile e equilibrato.
Scoprire uno stile di vita superiore e riuscire a viverlo è opera della meditazione e dell’elevazione del pensiero e dello sforzo di mettere in pratica ogni giorno i principi di giustizia, di dignità e di bontà, che lo spirito riesce a sondare (grazie all’opera mediatrice di Gesù in noi).
Chi avrà raggiunto questo livello assaporerà la soddisfazione e la gioia di aver fatto della sua vita un piccolo Cielo, dove regnano l’amore, la rettitudine e la moderazione sui pensieri, la vita affettiva e gli atti del vivere quotidiano. L’età non è un ostacolo per ottenere questa riforma dello stile di vita.
E’ lo stimolo a volerlo e l’importanza che diamo ai valori nobili della vita che Dio ci offre, poiché “quantunque il nostro uomo esterno si disfaccia, pure il nostro uomo interno si rinnova di giorno in giorno” (2 Corinzi 4:16).
Per raggiungere questo stile di vita bisogna sublimare i desideri. Ciò non significa la negazione degli stessi, né la sua realizzazione immaginaria. La canalizzazione delle tendenze naturali fa sì che, malgrado il desiderio in sé non sia soddisfatto, l’energia esplosiva che portava dentro si scarichi per un altro cammino (come le acque canalizzate sono utili alla città, all’agricoltura e all’industria).
Questo è ciò che possiamo fare con i nostri impulsi per quanto potenti e selvaggi essi siano: sublimarli canalizzandoli per il nostro beneficio e il bene comune.
Non pensiamo o pretendiamo di distruggere la passione.
Sublimiamo verso attività creatrici le nostre tendenze aggressive. Non diamo spazio nel nostro cuore all’odio o al rancore e non lasciamoci trascinare dalla vendetta. Al momento abbiamo soddisfatto il nostro amor proprio, ma ciò non compensa il rimorso che attanaglia a lungo le nostre coscienze.
Il dominio proprio è il segno della vera nobiltà d’animo. Costruiamo dighe per contenere la furia delle acque.
Vogliamo sentire gioia di vivere e una profonda soddisfazione spirituale? Incamminiamoci, senza fretta ma con passo fermo, sulla via che conduce verso la vita superiore (non nei confronti del prossimo, ma per i valori di vita che ci insegna). Potremo, allora, vivere in mezzo alla fama o all’anonimato, circondati di lodi o di critiche, in città o nel deserto, e sempre sentiremo una intima armonia, senza bisogno che gli altri ci riconoscano o ci innalzino.
In questo cammino è buona la introspezione per riorganizzare la vita e rettificare la direzione di marcia. Diventa, però, negativa quando non è altro che autoanalisi e interesse per se stesso.
Abbiamo, però, anche bisogno di valvole di sicurezza per liberare le tensioni psichiche accumulate. Queste possono essere: il riposo, la distrazione, lo sport.
Infatti, “scoppiando” non c’è repressione, ma non si esercita, però, neanche il carattere, né si sviluppa l’autodominio; “consumandosi” non c’è esplosione, ma non c’è neanche liberazione di energia accumulata. La cosa migliore è contenersi e detergere queste energie psichiche accumulate con una attività che produca stanchezza, come una lunga passeggiata, un lavoro manuale, la pratica di uno sport.
La cosa peggiore è perdere il controllo (scoppiare), quella cattiva è contenere la rabbia (repressione), mentre la buona è liberare, deviare o detergere le energie accumulate prima che ci portino a scoppiare o ci avvelenino l’esistenza.
La cosa migliore è raggiungere uno stile di vita in cui non si producono più questi veleni, come la rabbia, il rancore, il risentimento, l’invidia, la concupiscenza, la lussuria, l’odio, la gola, l’avarizia.
Le tensioni non scaricate producono disturbi fisici. L’ipertensione, per esempio, non è la causa di un cattivo carattere, ma è il cattivo carattere che la produce.
“Per tre cose la terra trema, anzi per quattro, che non può sopportare: per un servo quando diventa re, per un uomo da nulla quando ha pane a sazietà, per una donna, non mai chiesta, quando giunge a maritarsi, e per una serva quando diventa erede della padrona” (Proverbi 30:21-23).
Tutte queste persone hanno accumulato negli anni cariche psicoelettriche di altissima tensione e quando, alla fine, riescono a liberarsene lo fanno violentemente tramite i canali che offre la nefasta morale del risentimento.
Egoismo ed egocentrismo
Chi riesce ad uscire dal suo egoismo meschino e a identificarsi, senza perdere la sua personalità, con una causa nobile ha raggiunto qualcosa che produrrà beneficio alla sua salute psichica.
Supponiamo che una persona abbia vissuto sempre in una casa senza finestre e con le pareti piene di specchi. In questo caso non avrebbe visto altro che se stesso. Se adesso, però, si aprissero delle finestre in quella casa, il concetto della vita e del mondo di quella persona cambierebbe radicalmente.
Quante persone hanno contemplato se stesse durante tutta la loro vita senza riuscire mai a partecipare delle tristezze e delle gioie degli altri! Quando in questa anima narcisista si aprono le finestre e le porte della collaborazione, della compenetrazione e dell’amicizia, che permettono di vedere altre vite, si produce una grande liberazione vitale. Questa persona incomincerà, così, a sentirsi in sintonia con i suoi simili e con l’universo intero e le sue meschinità, che le creavano problemi simili a montagne, si riducono, davanti alla visione ampliata, alla dimensione di un granello di sabbia.
Così, senza disdegnare i propri problemi, che appariranno nella loro vera dimensione, può adesso fissare il suo sguardo preferibilmente sui grandi problemi della vita umana e può sentire, per la prima volta, circolare nelle vene della sua anima la linfa vitale dell’universo.
“Chi avrà trovato la sua vita (egoisticamente) la perderà; e chi avrà perduto la sua vita per causa mia (cioè per causa della giustizia, della verità, del servizio fatto con abnegazione in favore del prossimo come faccio io) la troverà” (Matteo 10:39).
Chi guarda alla propria vita egoisticamente è un pauroso e un egocentrico, mentre la capacità di mettere il proprio cuore in qualcosa di diverso dal proprio Ego idolatrato, darà la capacità di affrontare grandi difficoltà.
Insegniamo ai bambini come si sviluppa lo spirito di gruppo, necessario nella vita per evitare turbe psichiche. Molti perdono il senso della vera vita, perché si afferrano a interessi meschini e perché pensano che senza di essi non vale la pena vivere. Ricordiamo l’esempio di quel tale che, imbarcatosi per una traversata oceanica, si era messo in vita un cinturone imbottito d’oro. In seguito a naufragio si lanciò in acqua, ma annegò poco dopo, perché il peso del suo cinturone, di cui non volle privarsi in quanto rappresentava tutto il valore di cui disponeva, gli impedì di raggiungere una delle scialuppe calate in mare.
La vita è sempre affascinante, specialmente quando ci siamo liberati di quella zavorra che ci impediva di volare.
La persona che sta diventando egocentrica, che abbandona la collaborazione entusiasta e abnegata con il suo prossimo, che chiude le finestre e colloca al loro posto degli specchi, si sta preparando qualche tara mentale o funzionale, che può diventare organica, e diventa l’artefice delle sue disgrazie presenti o future.
E’ un circolo vizioso: la persona tarata diventa ipersensibile e si afferra al proprio Ego, ciò che aumenta la tara psichica.
Collaboriamo con gioia e abnegazione con il nostro prossimo!
Desideriamo che non ci dimentichino mai? Certo, ma come? Non, certo, incidendo il nostro nome sulla corteccia di un albero, o su un monumento, ma nei cuori degli esseri umani. Come si ottiene ciò? Aiutando i nostri simili senza nessun interesse personale e facendolo con bontà e amabilità.
La miglior medicina per le malattie dell’anima e molte malattie del corpo è fare qualcosa per gli altri. Aiutare non significa fare grandi cose, basta a volte una parola buona, un aiuto morale, un consiglio opportuno, un incoraggiamento nello sconforto, un complimento per un lavoro ben fatto, del cibo a un affamato, del denaro al bisognoso, vestiti a chi non ha da vestirsi, fiori ad un ammalato, saper ascoltare le pene dell’afflitto.
“Se l’anima tua supplisce ai bisogni dell’affamato, e sazi l’anima afflitta, la tua luce si leverà nelle tenebre, e la tua notte oscura sarà come il mezzodì…e tu sarai come un giardino ben annaffiato” (Isaia 58:10-11).
Diamo la nostra amicizia e non solo la ricchezza! Non cerchiamo negli altri solamente gli errori, ma lodiamoli quando se lo meritano. Incoraggiamo! Portiamo i pesi degli altri. Dando aumenteremo la nostra forza che cresce con l’uso. Dare è vivere. Le piante assorbono l’anidride carbonica e immettono nell’aria ossigeno, che èvitale per gli esseri umani.
“Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20:35). Le persone ricche e potenti basano la loro fiducia su ciò che posseggono. La loro tendenza naturale è quella di non interessarsi agli altri, che guardano dall’alto della loro torre d’avorio. Questa attitudine può portarli nel tempo a trovarsi soli nel mondo.
Servire solamente se stessi significa infelicità costante e rovina psichica e morale.
Come essere felici
Molti cercano di vivere in una quieta disperazione, ma in cuor loro pensano come Giobbe che “l’uomo, nato di donna, vive pochi giorni, e sazio d’affanni” (Giobbe 14:1). Nel Salmo 55:6-8 leggiamo: “Oh avessi io delle ali come la colomba! Me ne volerei via, e troverei riposo. Ecco, me ne fuggirei lontano, andrei a dimorar nel deserto; m’affretterei a ripararmi dal vento impetuoso e dalla tempesta”. Che peccato che un uomo si senta così.
Noi certamente riusciamo ad immaginare lo stato del salmista, ma in realtà non c’è luogo dove l’uomo possa nascondersi per sfuggire ai problemi di questa vita.
Si può andare in monastero o ritirarsi in campagna, ma non ci si può ritirare da se stessi e da Dio (Salmo 139:7-12). All’uomo rimane una sola cosa da fare: imparare a vivere.
Noi siamo stati creati per essere felici, ma non sappiamo cosa fare per esserlo. L’infelicità è un sintomo che ci indica che stiamo perseguendo strade sbagliate, non è prodotta dalle circostanze, che possono certamente attaccarla, ma non distruggerla, ed è prettamente una questione interna. Gesù, infatti, ha detto: “Sono venuto perché abbiano vita e vita abbondante” (Giovanni 10:10).
Se vogliamo essere felici, dobbiamo per prima cosa accettare la vita così come è. La vita è come un fiume che scorre incessantemente e il mondo è una realtà che cambia continuamente (ma non Dio).
E noi che cosa faremo in questo mondo? Sbatteremo la nostra testa contro il muro della realtà e malediremo il giorno della nostra nascita? Ci lamenteremo presso Dio per aver fatto gli uomini in tal modo? Chiederemo di morire? Ci abbatteremo completamente quando moriranno i nostri cari, o i nostri corpi si ammaleranno?
Uno psicologo ha detto: “Il compito principale nella vita per un essere umano è adattarsi a qualsiasi cosa gli succeda. Non è quello di cercare direttamente la felicità, ma se si adatterà, la felicità verrà come conseguenza logica su di lui. Non adattandosi succederà esattamente il contrario”.
Quando uno ha la volontà di adattarsi non c’è nulla da temere. Ci sono volte in cui bisogna rinunciare ai propri desideri, perché non è ragionevolmente possibile fare sempre quello che più ci è congeniale. In questo caso accontentiamoci con quello che possiamo ottenere. Questo è più facile a dirsi che a farsi, però dobbiamo scegliere tra la felicità e l’infelicità.
Un bambino cerca in tutti i modi che il mondo si adatti ai suoi voleri. Se una porta non si apre, la prende a calci, piange quando gli viene tolto un giocattolo.
La vita non è, certo, come noi vorremmo che fosse, ma compatirsi, arrabbiarsi e rattristarsi non rappresentano le migliori reazioni per rimediare le cose.
Sicuramente Dio ci ha messi in questo mondo per lottare, per avere aspirazioni, per sbagliare (o fallire) e per imparare a dipendere da Lui. Le circostanze della vita ci conducono generalmente o ad una oscura futilità o ad una fede salvifica.
L’idea dell’adattamento alla vita viene dalla Bibbia: “Ho imparato ad essere contento nello stato in cui mi trovo. Io so essere abbassato e so anche abbondare; in tutto e per tutto sono stato ammaestrato ad essere saziato e ad avere fame; ad essere nell’abbondanza e ad essere nella penuria. Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” (Filippesi 4:11-13).
Paolo pregò tre volte per un suo bisogno personale, ma quando il Signore gli rispose: “La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Corinzi 12:9), disse: “Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me. Per questo io mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché quando sono debole, allora sono forte” (2 Corinzi 12:9-10).
La preghiera di Gesù nel Gezemani è quella di un uomo che è pronto ad affrontare qualsiasi situazione gli si presenti nella vita.
L’adattamento cristiano non significa essere disposti ad accettare tutto ciò che arrivi, perché potrebbe portarci alla disperazione. Ma Gesù ci fa sapere che “ogni cosa coopera al bene di quelli che amano Dio” (Romani 8:28).
Se vogliamo essere felici, dobbiamo legare la nostra vita alle cose eterne. Bisogna avere un certo timore nell’amare troppo la moglie, o il marito, o i figli, o il lavoro perché molti si sono rovinati a causa del loro attaccamento esagerato a cose o persone terrene e temporali.
Saremmo tutti più contenti, se imparassimo la lezione che Dio è l’unica persona in questo universo che meriti il nostro amore e che non ci farà soffrire più a lungo, se gli diamo tutto il nostro cuore.
Una certa signora diresse tutto il suo amore sulla figlia e sul marito. A tre anni di età si venne a sapere che la bambina soffriva di debolezza mentale, cioè era un’idiota senza speranza, e pochi anni dopo le morì il marito di tumore. La donna vive adesso profondamente delusa e ai limiti della disperazione. Ha amato troppo.
Lo stesso vale per chi consacra la sua vita al lavoro. La pensione, una malattia, una bancarotta finisce per distruggere quel fondamento su cui aveva edificato la sua vita.
La nostra unione con le cose temporali ci porterà tristezza.
Anche il servizio al prossimo, se fine a se stesso, può deludere. Ecco perché Gesù ci ha detto di “cercare prima il regno dei Cieli” (Matteo 6:33) e al giovane ricco di vendere tutto ciò che aveva. Non sono le cose materiali a rendere l’uomo infelice, ma il loro uso.
Un medico disse una volta che la metà dei suoi pazienti erano nevrotici perché sposati e l’altra metà perché non lo erano.
Soltanto la consacrazione a Dio può liberare l’uomo da se stesso e dall’infelicità. Permettete a Dio di operare in voi, amatelo con tutto il vostro cuore, lasciatevi guidare dalla sua volontà e sarete felici.
Quando il generale Booth, il fondatore dell’Esercito della Salvezza, restò cieco, suo figlio gli comunicò la notizia.
“Vuoi dire che non potrò più rivedere il tuo volto?” chiese il generale. “No”, rispose il figlio, “almeno in questo mondo”.
La mano dell’anziano generale cercò quella del figlio e afferrandogliela gli disse: “Avendo la vista ho fatto tutto quanto mi è stato possibile per Dio e l’umanità. Adesso, senza la vista, farò tutto ciò che mi sarà possibile per Dio e l’umanità”.
Quando ci rendiamo conto che l’infelicità vuole impadronirsi del nostro cuore, avviciniamoci di più al Signore, diamo un contributo maggiore per la sua opera, rinunciamo a più cose e dimentichiamoci un po’ più di noi stessi. “Appressatevi a Dio, ed Egli si appresserà a voi” (Giacomo 4:8).
Se vogliamo essere felici, poi, dobbiamo smettere di cercare la nostra felicità e incominciare ad occuparci della felicità degli altri. Facciamo qualche vero sacrificio per aiutare il nostro prossimo (c’è chi dà offerte in Chiesa per pagare meno tasse).
Avete passato una notte intera al capezzale di un infermo? Rendete gli altri partecipi delle vostre fortune, sia materiali che morali? Vi rallegrate nel sacrificarvi per la Chiesa? Prima di intraprendere qualsiasi cosa vi domandate quale vantaggio ne ricaverete o pensate a chi potreste fare del bene?
Un uomo deve produrre di più di quello che consuma in questo mondo. E’ un dovere, infatti, contribuire alla felicità della nostra famiglia, della comunità e della Chiesa.
Gli egoisti dicono: “Io mi accontento di vivere dove sto”, mentre gli altruisti pensano: “Vediamo di migliorare questo luogo per la prossima generazione”. Gli egoisti vanno in Chiesa per assistere alla riunione, ma gli altruisti cercano sempre di portarvi gente nuova. Gli egoisti si lamentano per non stare come vorrebbero, mentre gli altruisti si dimenticano di se stessi e ringraziano Dio per poter contribuire alla felicità del loro prossimo.
La Bibbia ricalca continuamente il tema del dare e la beatitudine sta nel seguire Gesù, cioè nell’imitare Colui che ha dato se stesso per amor nostro.
Passi per imparare ad amare se stessi
Si racconta di una rana che cadde un giorno in un solco profondo. Cercava di uscirne ma non ci riusciva. Passarono lì vicino alcune rane amiche e si misero ad osservarla. “Che ti succede?” le chiesero. “Non riesco ad uscire da questo buco. E’ tutta la mattina che ci provo”. Ripassarono da lì la sera e guardarono nella buca, ma la loro amica non c’era più. Si misero a cercarla e la trovarono che saltava in mezzo all’erba. “Pensavamo che non eri capace di uscire da quella scomoda posizione” le dissero. “Sì, è vero, ma nel vedere un grosso camion che veniva nella mia direzione, ho dovuto farcela”.
Una crisi, una minaccia, un dolore possono essere delle motivazioni potenti.
C’è qualcosa in noi che vorrebbe che credessimo a Babbo Natale, nella magia e in risposte facili. E’ questo residuo dell’infanzia che porta una donna a credere che tutti i suoi problemi si risolveranno incontrando l’uomo giusto, o quando il marito smetterà di bere, passerà più tempo in casa o farà più di questo e meno di quello.
La credenza infantile nei colpi di bacchetta magica, che ci trasciniamo dietro nell’età adulta, porta alcuni uomini a credere di potersi arricchire da un giorno all’altro, o che il suo matrimonio instabile migliorerà automaticamente senza sforzo alcuno.
La verità è che in questa vita dobbiamo lavorare per ottenere qualsiasi cosa. Nulla ci piove addosso dal cielo così per caso, ma dobbiamo lottare perché diventi nostro. La crescita, in qualsiasi campo, richiede impegno e sforzo.
E’ così grande il bisogno di avere una visione positiva di se stesso, che una persona è capace di evadere, reprimere o distorcere il suo modo di vedere le cose, ossia di disintegrare la sua mente, pur di evitare di affrontare una realtà che potrebbe mettere in pericolo l’apprezzamento nei suoi confronti. Può perseguire mete decisamente distruttrici pur di mantenere quella stima di se stesso, che in realtà non ha.
L’alcolizzato è spinto a bere dalla sensazione vaga, ma potente, che senza un altro sorso è un derelitto e un incapace. Questa via porta al sicuro fallimento.
Muoviamoci coscientemente verso un cammino positivo destinato alla edificazione genuina della stima propria. Inizialmente ci si può sentire ipocriti e un po’ sconcertati, quasi ridicoli, ma solo perché il nuovo modello di condotta non ci è familiare.
Facendo un passo alla volta possiamo migliorare il concetto che abbiamo di noi stessi. Lunghi anni ci hanno reso quello che siamo e anni ci serviranno per cambiare la nostra immagine. Non pensiamo ad una attività frenetica per ottenere rapidamente cambi sostanziali, ma facciamoci un programma a lungo termine.
Nell’acquisizione di un’arte è essenziale lo sforzo disciplinato e costante, sia che si tratti di suonare uno strumento, di imparare a dipingere o di educare bambini.
In un corso, in un culto o in gruppo si possono imparare soltanto dei principi, mentre il loro perfezionamento si raggiunge praticandoli da soli.
Non impegniamoci più in una campagna frenetica e sfibrante per cercare di guadagnare approvazione o lode. Amare se stessi non è una forma di egoismo. Smettiamo di criticarci o condannarci perché ciò non fa altro che aumentare l’odio verso noi stessi.
Essere se stessi
Un allievo di una scuola biblica, molto timido, venne invitato, essendo il suo turno, a presentare di fronte agli altri allievi un saggio di una predica.
Preparato il sermone se lo dimenticò totalmente nel momento di aprire la bocca, tanto era il terrore che si era impossessato di lui. Si rivolse, allora, all’auditorio con queste parole: “Sapete cosa vi dirò questa mattina?” Tutti fecero cenno di no con il capo e lui proseguì dicendo: “Neanche io lo so! Che il Signore vi benedica”.
Gli fu data un’altra possibilità, ma anche questa volta la paura lo paralizzò. Rivolto ai presenti disse: “Fratelli, sapete quello che vi dirò questa mattina?” Tutti fecero cenno di sì con il capo. E lui: “In questo caso non so perché dovrei dirvelo io. Che il Signore vi benedica”.
Gli venne concessa una terza possibilità, ma per l’ennesima volta non gli riuscì di ricordarsi il sermone così ben preparato. Disse semplicemente: “Sapete quello che vi dirò questa mattina?” La metà dei presenti fece cenno di sì con il capo e l’altra metà di no. “In questo caso”, disse il giovane studente, “chi lo sa già ne renda partecipe chi non lo sa ancora”.
Questo giovane non riuscì a vincere il suo complesso, ma per lo meno cercò di farlo. Il fallimento non è così grave come vivere nella condizione di uno che sa di non averci mai provato (rammarico, rancore verso se stesso).
Corriamo il rischio di edificare la nostra stima propria
Avviciniamoci alla gente con amore e spirito amichevole. Invece di aspettare che gli altri ci salutino e ci diano il benvenuto, facciamolo noi. Corriamo il rischio!
Non esiste nessuna ragione perché siano gli altri a salutarci per primi. Cosa abbiamo da perdere, se porgiamo la mano in gesto di amicizia? Nessuno ci rifiuterà!
Corriamo il rischio di fare dei complimenti
Nessuno si sente insultato da un complimento. Chi si vergogna nel ricevere complimenti è probabilmente una persona che ha difficoltà a farne. Il complimento esagerato o seguito da molta effusione suona non sincero, ma tutti gioiscono per un apprezzamento moderato e di cuore.
“Date e vi sarà dato” (Luca 6:38). Se uno, che ha bisogno di apprezzamento e di amore, si propone di offrire approvazione e lode sincere, incomincerà a riceverle anche lui.
Non aspettiamo dagli altri apprezzamento e approvazione, ma mettiamoci noi in moto! Ci sentiamo in questo modo come se non fossimo sinceri? La realtà è che ci sentiamo strani per non aver praticato abbastanza questa arte fino al punto da sembrarci naturale. Ogni capacità si acquista con una pratica diligente.
Corriamo il rischio di commettere degli errori
La paura di passare per ignoranti dicendo: “Non lo so” o di commettere un errore, limita la nostra efficacia ed effettività come persone. Guadagneremo stima propria, se riusciremo a riconoscere che, così come qualsiasi altra persona, anche noi possiamo commettere degli errori.
Un’altra difficoltà è riuscire a dire: “Mi dispiace, ho sbagliato”. Ciò manifesta una forte evidenza di una terribile debolezza nell’ autostima. Chi si accetta ha il coraggio e la prudenza di riconoscere di aver sbagliato, ogni volta che sia necessario. Solo gli arroganti, o quelli che non si accettano, affermano di non sbagliarsi mai.
Corriamo il rischio di lamentarci quando è il caso
Per molta gente è difficile esprimere qualsiasi tipo di lamentela. Preferiscono sopportare piuttosto che fare “certe figure” o “certe scene”. Insistere presso un medico può salvarci la vita.
Le lamentele non devono essere espresse con rabbia, ma con una tranquilla insistenza. Spesso si cade nei due estremi: accettare in silenzio l’ingiustizia o reagire con un’indignazione eccessiva.
L’individuo che manca di sufficiente autostima sopporterà quasi tutto, specialmente se una persona dietro una scrivania o sportello, o che porta una uniforme, sembra autoritaria.
Si richiede pratica per mantenersi fermi. Non deve essere uno scontro di volontà, ma un’insistenza tranquilla, ferma, cortese, per regolare la questione nel modo giusto.
Corriamo il rischio di provare vergogna
A nessuno piace restar male o sentir vergogna. Prendere dei rischi può portarci in situazioni imbarazzanti, ma non fatali. Senza correre il rischio di commettere degli errori sarà difficile progredire nella vita.
Un bambino impara a camminare correndo il rischio di cadere. Lo studente corre il rischio di essere bocciato. Chi cerca lavoro corre il rischio che gli dicano di no. Una coppia che punta al matrimonio ha tre o quattro possibilità di raggiungere lo scopo. La vita è un rischio!
Nell’Antico Testamento si racconta la storia di alcuni lebbrosi che, accettando di correre un rischio, salvarono una città dalla morte per fame (2 Re 7).
A nessuno piace venir rifiutato. Nessuno gode nel dover cercare lavoro, o nel dover chiedere un aumento, e pochi sono quelli che riescono a chiedere un favore senza sentirsi imbarazzati.
La maggior parte di noi trova che sia più facile aiutare che chiedere aiuto. Chi offre aiuto si trova in una posizione superiore in quanto è colui che dà. Chi, invece, chiede aiuto si colloca in una posizione inferiore, come supplicante, e corre il rischio di un rifiuto. A nessuno piace sentirsi dire di no.
La disperazione è un gran rimedio per vincere la codardia (la vedova e il giudice iniquo del Vangelo). Quante volte l’impulso a chiedere o a mettersi in contatto con qualcuno è stato frustrato da una naturale mancanza di fiducia in se stessi. Spesso, poi, ci mangiamo le dita per non aver osato.
Non bisogna, però, neanche lasciarsi dominare dalle richieste di aiuto, ma dobbiamo sentirci liberi di dire di “no” senza dover dare spiegazioni.
Corriamo il rischio di chiedere ciò che vogliamo
Molta gente ha timore di fare richieste semplici e giuste. Spesso non ricevono perché non chiedono. Quanti, per esempio, non hanno avuto il coraggio di chiedere al compagno occasionale di viaggio il giornale da leggere, dopo che questi l’ha riposto sul sedile? Chi ci rifiuterebbe una cosa simile?
Questa difficoltà può trovare la sua origine in un padre molto severo, o in una madre sempre molto indaffarata. Genitori molto esigenti e critici ci spingono a star lontani da loro e a non chiedere mai niente.
Corriamo il rischio di esprimere amore
Quando non si ricevono mai manifestazioni d’affetto (baci, abbracci), quando si viene apertamente disapprovati e mai lodati, quando si vive nella minaccia del castigo piuttosto che della ricompensa, diventa difficile da adulti esprimere amore.
Quando si cerca di compensare la mancanza d’amore con regali e quando ci vien detto che non possiamo lamentarci perché abbiamo tutto quello che altri potrebbero desiderare, siamo esposti a un senso di colpa se le cose materiali non ci danno la felicità, o a un senso di scarsa autostima, pensando di avere qualcosa che non va, al non sentire soddisfazione piena tramite le cose materiali.
Non ricevendo amore abbiamo sviluppato un’immagine negativa di noi stessi e una scarsa autostima. Con l’aiuto dell’amore di Gesù ci sentiamo accettati e possiamo iniziare un interscambio con gli altri, anche se non senza sforzo, e scoprire che dare è un grande motivo di soddisfazione e di autorealizzazione.
Corriamo il rischio di essere noi stessi
Può darsi che il nostro vero essere non sia la persona con cui siamo maggiormente familiarizzati. Se uno non sa chi è, il primo passo è, cercare di scoprirlo.
Una giovane sposa di grande talento manifestava una certa frustrazione e infelicità. Non accettava il fatto che il marito fosse un collaboratore e non il pastore responsabile di quella Chiesa.
Non riusciva ad accettare nulla che non fosse il numero uno, confessò un giorno. Eppure aveva tutto per essere felice: una bella casa, dei figli stupendi e un marito affettuoso. La necessità neurotica di essere sempre “in cima”, però, la rendeva infelice.
Investigando nella sua infanzia si scoprì che i suoi genitori avevano desiderato un maschietto, cosa che lei aveva ben percepito. Per i primi dieci-dodici anni della sua vita aveva cercato di agire come un bambino per guadagnare l’approvazione dei suoi genitori. Continuò a non accettarsi come donna anche da adulta e per percepire un senso di valore si lasciò dominare dall’ansia di dove essere sempre il numero “uno”. Solo così riusciva ad apprezzare il suo stato.
Questa donna viveva senza una propria identità. Cercò di essere un ragazzo, ma non vi riuscì. Cercò di essere la prima in tutto per gradire ai suoi genitori, ma non riuscì nemmeno in questo a causa del loro bisogno neurotico di avere un maschio.
Continuando su questa linea non troverà mai il suo equilibrio, perché sta perseguendo la meta sbagliata. Dovrà sforzarsi, invece, per ritrovare se stessa, così come è, per scoprire la sua vera identità, per sentirsi una persona individuale.
Essere approvati per ciò che si fa non è così soddisfacente come essere amati e ammirati per ciò che si è. La nostra felicità non può nemmeno dipendere dal successo o stima raggiunti dal marito o dalla moglie.
Corriamo il rischio di andare fino alla radice del nostro problema
La terapia parlata, cioè il semplice parlare con il terapeuta, può essere efficace, ma quando il problema ha radici profonde (per esempio, un profondo senso di inferiorità) bisogna fare qualcosa di più che parlare o leggere libri.
La terapia parlata, infatti, si rivolge all’intelletto, mentre quasi sempre il problema giace nel subconscio. Bisogna, perciò, entrare nel subconscio (indispensabile qui l’azione dello Spirito Santo) e non aspettarsi mai una guarigione rapida nei confronti di un problema che ci ha accompagnato durante tutta la vita.
Psicologia della felicità
Amore e affetto
L’amore muove il mondo e lo fa andar bene. Questa è una grande verità. Nessuno può vivere pienamente se non è amato. Dall’infanzia alla vecchiaia l’uomo ha bisogno di essere apprezzato e amato.
L’amore dà sapore alla vita e mantiene uno in forma per non arrendersi davanti agli sforzi e alle inquietudini eccessivi. Per chi ha dato e ricevuto amore è facile amare gli altri. Queste persone si sentono piene di fiducia, tranquille e felici. Sono propense ad avere fiducia nella gente e ad alimentare sani rapporti.
L’amore manifesta la parte migliore di una persona, è la base di una buona personalità e rende allegri e ottimisti. Quando ci sentiamo amati contempliamo il mondo come una sfida amichevole e non come una minaccia.
Se la necessità d’amore non viene soddisfatta nella vita di una persona, questa può sviluppare attitudini e tendenze che influenzeranno la personalità intera, oltre ad adottare comportamenti che orientano la sua vita verso modelli distorti.
Consideriamo, per esempio, le persone che stanno sempre sospettando degli altri. La mancanza di un amore genuino e salutare le porta ad essere diffidenti. Vedono il loro futuro così come vedono il loro passato e ciò rende loro difficile accettare la cordialità e l’amicizia spontanea. Quando qualcuno mostra loro interesse sospettano che sia sospinto da motivi egoistici. Hanno sempre l’impressione di essere il centro negativo dell’attenzione degli altri.
Lo stesso dicasi per la gelosia. Dato che nella vita ciò che più si desidera è essere amato, fa loro male vedere che altri hanno ricevuto quello che a loro è stato negato e diventano gelosi. Vedi i bambini quando c’è tra loro, da parte dei genitori, una disuguaglianza di attenzioni. Molti sono affamati, ma non di cibo, bensì d’amore. E’ sorprendente allora che nascano le gelosie?
Per alcune persone è difficile amare anche chi se lo merita, perché non sono state amate sufficientemente.
L’amore si impara. Cresce e si sviluppa quando una persona vive in un ambiente dove c’è scambio d’amore spontaneo. Quando il bambino cresce in una famiglia dove l’amore scarseggia, l’amore stesso gli diventa una cosa estranea e lo fa sentire a disagio, fuori posto. Molte persone non dimostrano il loro affetto, perché non hanno mai imparato a farlo. La considerano una cosa strana e non necessaria.
Coloro che non hanno ricevuto mai molto amore e affetto reagiscono, a volte, in modo strano. Alcune persone passano la maggior parte del loro tempo cercando di convincersi che sono degne di essere amate. Giungono a fare delle proposte insolite per ottenere che gli altri le amino e, a volte, chiedono apertamente se sono amate. Conversando parlano in modo tale da portare gli altri a lodarle, oppure, se non trovano queste conferme, tendono a lodarsi da sole per forzare l’approvazione di chi ascolta.
Questo bisogno d’amore porta a prendere decisioni mosse non dalla ragione, ma dall’emotività. Prendiamo l’esempio di un padre che si rifiuta di disciplinare suo figlio. Perché assume questa attitudine? Perché, non avendo mai ricevuto un amore soddisfacente, pensa che, se correggerà suo figlio, perderà il suo affetto e non vuole correre questo rischio.
Una maestra non riesce a mantenere la disciplina in classe. Perché? Perché cerca di afferrarsi all’amicizia dei suoi alunni, l’unico affetto che sta ricevendo e che non osa perdere.
Ci si sposa, a volte, pur non avendo molto in comune. Perché? Perché l’amore temporale offerto mette in secondo piano qualsiasi altra considerazione, anche se la scelta del partner è povera.
Quando a queste persone si nega affetto, possono adottare una condotta aggressiva. Siccome non sono state amate, reputano di essere state private di qualcosa che tutti gli esseri umani meritano. Questa discriminazione fa loro male. Pensano: “Gli altri sono amati e io no. Me la pagheranno!” Sentendo, poi, che hanno diritto a vendicarsi della società, mettono in atto diverse maniere di castigare e di rivalersi sui loro simili.
Altri, supponendo di non essere degni di amore perché non l’hanno mai avuto, si sottovalutano e si autoeliminano. E’ difficile sviluppare fiducia in se stessi, se si ha l’impressione di non meritare amore.
Altri si chiudono in un mondo di fantasia, più gradevole di quello reale, per liberarsi dalla crudele realtà di non sentirsi amati.
Gli esseri umani non possono esistere senza amore. Per questo cercano dei sostituti, anche se ingannevoli, perché le loro necessità fondamentali di amore e affetto reclamano qualche tipo di soddisfazione.
Un giovane si unì ad una banda e fu trascinato in atti delinquenziali (furti, droga…). Era il prezzo che era disposto a pagare pur di trovare amicizia e affetto.
Altri si legano a un animale domestico. Su basi normali questo è un rapporto che offre un certo grado di soddisfazione, ma diventa pernicioso quando l’animale prende il posto degli esseri umani.
Chi non ha ricevuto amore esprime sintomi come: sfiducia e diffidenza, gelosia, incapacità di amare gli altri, decisioni poco intelligenti, condotta aggressiva, mancanza di fiducia in se stesso.
Un giovane, che si credeva poeta, riuscì ad avere una intervista con un editore per proporgli le sue poesie. “Di che genere sono le sue poesie”, chiese l’editore. “Sono poesie d’amore”, rispose il giovane. “Che cos’è per lei l’amore?” Chiese nuovamente l’editore.
Era il momento di vendere le poesie e il giovane, mostrando occhi estasiati, disse: “L’amore è riempire l’anima con le bellezze della notte sotto le tremula luce della luna che scintilla su uno stagno circondato da gigli in fiore e…”
“Le dico io che cos’è l’amore”, lo interruppe l’editore. “L’amore è alzarsi a mezzanotte per preparare una camomilla al figlio indisposto”.
L’amore non è l’espressione di bei sogni, ma è una forma di vita, è agire disinteressato, bontà, attenzione. L’amore si dimostra con i fatti e non con le parole, l’amore è dare se stesso agli altri.
Dare cose materiali, per quanto valido sia, non è mai come offrire il nostro tempo, la nostra attenzione, il nostro interesse, il nostro affetto, il nostro essere intero. La vera offerta non pone condizioni: diamo perché amiamo.
In 1 Corinzi 13:4-8 vediamo quali sono gli attributi dell’amore.
Il desiderio di appartenere
“Non è buono che l’uomo sia solo” (Genesi 2:18). E così Dio creò Eva, la prima donna, per essere un aiuto convenevole all’uomo. Questo desiderio di stare con altri è innato nell’essere umano, è una necessità psicologica che Dio ha messo in noi.
Gli esseri umani, infatti, si uniscono in famiglie, si raggruppano in comunità, paesi e città, giurano lealtà alla patria e sacrificano anche la loro vita per conservare questa unità. L’uomo senza patria è un caso patetico e l’uomo, la donna o il bambino senza famiglia o amici è da commiserare.
Le persone hanno bisogno le une delle altre e anelano di appartenere ad altri. Molti desiderano sposarsi, perché non vogliono vivere soli, perché sentono il bisogno di essere uniti in qualche modo ad altri e di far parte di un gruppo. Ci sentiamo sicuri quando percepiamo di far parte di un tutto e siamo felici quando c’è chi condivida i nostri interessi.
Ci sono gruppi ricreativi, confraternite, logge, associazioni femminili, leghe, sindacati, bande, associazioni di interessi comuni, gruppi di tifosi, società sportive, associazioni di professionisti, società culturali, gruppi religiosi, organizzazioni politiche, ecc. Questi sforzi per associarsi indicano semplicemente la necessità psicologica fondamentale dell’uomo di appartenere.
La persona che diventa un “lupo solitario” non si adatta alla società. E’ bene, a volte, star soli, ma rifiutare gli altri per star soli sempre con se stessi è un atteggiamento poco salutare. Quando una persona perde il contatto con i suoi simili e cerca la “solitudine” presenta sintomi di malattia psichica. Attenzione ai bambini che hanno questa tendenza!
Ecco i pensieri più ricorrenti nelle persone che non riescono ad integrarsi nella vita sociale: “Nessuno mi vuole, nessuno mi ama”, “non sono degno dell’attenzione degli altri”, “non riesco a soddisfare nessuno”, “non interesso a nessuno e quindi non mi sforzerò a fare nulla”, “qualcosa in me non va”, “nessuno mi capisce e sono solo e rimango da solo”.
Questo complesso di “esclusione” può produrre gravi problemi psichici, oltre a malesseri e dolori fisici. Lo stesso sviluppo emotivo e psicologico rimane ritardato. L’isolamento, o questo senso di rifiuto, possono produrre sintomi come una fantasia eccessiva, balbuzie, perdita dell’appetito, depressione, varie forme di ossessione, problemi gastrici, palpitazioni cardiache, dolori muscolari, ecc.
Per impedire che gli altri non si sentano appartenenti al gruppo, dobbiamo evitare:
Critica indebita o continua
Questa è una delle forme più efficaci per far sentire ad una persona che non appartiene a nessuno.
La critica dice: “Non ci piace il modo come fai le cose e saremmo più felici, se non ci stessi vicino”. La critica innalza una barriera tra noi e la persona che si rende conto di non trovare il nostro favore.
Paragoni sfavorevoli
Questi producono quasi gli stessi effetti della critica. Raramente risolviamo i problemi di una persona paragonandola in negativo con un’altra. Specialmente i genitori e i maestri devono evitare questo aspetto.
Un confronto negativo produce tre effetti: un sentimento ostile verso la persona con cui veniamo paragonati, del risentimento verso chi utilizza questo paragone e un’associazione negativa con il luogo dove ciò è successo.
Assegnazione di compiti sproporzionati
Quando assegniamo a delle persone dei compiti che non capiscono o trovano troppo difficili, possiamo produrre in loro una profonda vergogna.
Costoro sentono di aver perso prestigio e pensano che gli altri terranno conto del fatto che non sono riusciti ad ottenere i risultati sperati.
Burle fastidiose o sconsiderate
E’ lo stesso che il commento riguardante il modo di vestire e di parlare, l’aspetto economico, l’aspetto fisico, i risultati ottenuti, gli amici o le idee.
La persona penserà: “Non sono uno di loro, non sono accettato come uno di loro”.
L’indifferenza
Non riconoscendo il contributo e le cose realizzate per suo mezzo, una persona non si sentirà apprezzata e, di conseguenza, neanche amata.
Quando mostriamo di non renderci conto degli sforzi fatti dagli altri è come se dicessimo che non siamo interessati alla loro persona.
Nel nostro vivere quotidiano abbiamo la responsabilità di stimolare e aiutare le persone con cui siamo in contatto. Ciò renderà felici sia loro che noi stessi.
Molti dei giovani che si danno alla delinquenza o abbandonano la propria famiglia, lo fanno per un senso di solitudine e mancanza d’affetto.
Molte delle crisi matrimoniali hanno un’unica causa, e cioè la convinzione di non essere più accettati di vero cuore dal partner.
Notare, ascoltare, apprezzare, lusingare, stimolare e cooperare sono le chiavi per rendere gli altri felici.