NON RIUSCIRE A PERDONARE

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

Siamo tutti coscienti delle malattie del corpo. Appena percepiamo un malessere (dolore, stanchezza, febbre, tosse) andiamo dal medico e siamo disposti a prendere tutte quelle medicine che lui ci prescrive. Chi non ha effettuato esami clinici? Vogliamo essere efficienti per poter effettuare tutte quelle cose che la vita quotidiana ci richiede e soprattutto vogliamo evitare la sofferenza, oltre ad allontanare lo spettro della morte e della separazione da quello che abbiamo di più caro.

 

Siamo meno coscienti delle malattie dell’anima, il più delle volte non le conosciamo (sul corpo, grazie all’informazione, oggi sappiamo quasi tutto), realtà che ci porta a sottovalutarle e a non recarci dall’esperto per le cure del caso.

Ma le malattie dell’anima sono addirittura più condizionanti e quasi anche più dolorose di quelle del corpo, perché se quelle del corpo sono il più delle volte transitorie, quelle dell’anima sono permanenti e invalidanti in particolare nelle relazioni con il prossimo.

 

L’uomo all’inizio era stato creato perfetto, senza problemi di nessun tipo. Godeva di uno stato di totale serenità. Nell’Eden non gli mancava nulla, quasi come un bambino nel ventre della mamma (si è poi scoperto che non è proprio così).

Ma ciò che sarebbe successo di lì a poco, avrebbe turbato questa serenità e innescato una situazione destabilizzante sul piano emotivo e anche materiale.

 

Il peccato, o meglio la disubbidienza alla volontà di Dio attuata ingenuamente, porta nella vita dell’uomo e della donna:

                     - Paura (cosa ci succederà? Cosa ci farà Dio?)

                     - Ansia (di essere scoperti da Dio, o che capiti quello che vogliono evitare)                                          

                     - Senso di colpa (non hanno soddisfatto le aspettative di Dio, l'hanno deluso)                                                                                       

                     - Insicurezza (hanno perso la protezione di Dio, non sanno come affrontare la vita, e le persone, non sanno mai se stanno facendo

                       abbastanza per avere il favore di Dio o degli uomini)                                                      

                     - Senso di inferiorità (sono scaduti dal piano di Dio)

                     - Senso di nullità o scarsa autostima (sentono di aver fallito e di non avere più valore agli occhi di Dio)

                     - Disprezzo per se stessi (per aver fallito)

                     - Senso di rifiuto (per essere stati mandati via da Dio)

                     - Senso di indegnità (per non meritare più l’approvazione di Dio)

                     - Solitudine (non sentirsi ascoltati e compresi da Dio)

 

Da quando siamo stati scacciati dall’Eden viviamo in deficit d’amore, di considerazione, di importanza, di appartenenza e ciò condiziona le relazioni umane, perché cerchiamo compensazione in chi ci circonda. Non trovando soddisfazione a questi bisogni diventiamo permalosi, aggressivi, acidi, critici, legalisti e pretenziosi, depressi.

 

Prendiamo l’esempio del fratello del figliol prodigo (Luca 15:25-32).

Il comportamento paterno lo ferisce, la ferita gli procura dolore, il dolore provoca una reazione di rifiuto, il rifiuto genera la rabbia, la rabbia si manifesta con l’aggressività (verbale o fisica), l’aggressività sfocia nel rancore e nell’odio, l’odio alimentato può portare alla ribellione verso tutto e tutti o alla depressione.

Questo giovane sta male. Vede nel padre la causa del suo malessere e si scaglia contro di lui. Non è minimamente cosciente che il vero problema è la sua reazione alla circostanza. Non è cosciente che la sua reazione è tale, perché non è sano, cioè non ha motivazioni sane, non ha sentimenti sani. E’ malato e il suo comportamento lo dimostra.

Così come una persona non sana fisicamente mostra pallore, dimagrimento, occhiaie, stanchezza, scarso appetito, difficoltà respiratorie, per cui ci sorge spontanea la domanda su come stia di salute, nello stesso modo chi reagisce come quel giovane dimostra uno stato di malessere, ossia una disfunzione emotiva, che deve essere curata.

Perché non si è rallegrato come il padre per il ritorno del fratello? Perché non ha festeggiato anche lui per la possibilità di relazionarsi nuovamente con la persona del fratello?

Perché il bisogno di sentirsi considerato e valorizzato dal padre lo condizionava a tal punto da volersi sentire una figura importante per lui. Voleva sentirsi dire: “Tu sei un bravo figlio, sono orgoglioso di te, apprezzo tutto quello che fai, mi dai fiducia, ti affido tutti i miei beni, ecc.”

 

Il comportamento del padre lo destabilizza. Ha la sensazione di essere messo in secondo piano, di essere amato meno del fratello appena tornato, che tutto quello che aveva fatto fino a quel giorno non avesse significato niente per il padre. Si sente improvvisamente insignificante, una comparsa, uno in più che cammina all’interno di quella casa. Sente che se se ne andasse nessuno si accorgerebbe della sua assenza. Si sente rifiutato! Sta male! Soffre! E’ ferito!

 

Non entra. Rifiuta il padre più che il fratello. E’ il comportamento del padre che lo ferisce e non tanto quanto il fratello possa aver fatto. Si sente vittima di una ingiustizia e colui che l’ha provocata è il padre con il suo atteggiamento incomprensibile e inaccettabile.

Non entrando, vuole punire il padre più che dimostrare una sostanziale contrarietà con l’operato del fratello.

 

E’ roso dentro anche dalla gelosia. Questo fratello, che andandosene gli aveva permesso di creare una relazione privilegiata con il padre, adesso è di nuovo lì e gli sta portando via l’affetto, l’amore del padre. Ricordando al padre che il suo operato ha dilapidato i suoi beni, cioè mettendo in rilievo i suoi lati negativi con una critica distruttiva e denigratoria, cerca di eliminare il fratello dalla vita del padre e rimanere lui l’unico oggetto dell’attenzione paterna.

 

Ha bisogno di sentirsi apprezzato e lo capiamo quando dice: “A me non hai mai dato neppure un capretto da far festa con i miei amici”. Il capretto era anche suo e poteva ammazzarselo e mangiarselo quando voleva, ma a lui importava che fosse il padre a offrirgli quel capretto come premio, come conferma della sua considerazione per il suo operato, come attenzione verso la sua persona.

 

Questo figlio deve guarire. Il suo comportamento dimostra il livello avanzato della sua malattia. Ha bisogno di sentirsi amato, considerato e valorizzato. Dipende dal comportamento altrui, cerca attestazioni dagli altri, non sviluppa una propria identità, ma la sua identità devono costruirgliela gli altri quando gli dimostrano che approvano il suo modo di essere. Una persona matura e sana pensa a come costruire un ambiente favorevole e edificante per quelle persone che vivono intorno a lui, mentre la persona emotivamente immatura pensa a come gli altri debbano costruirgli un ambiente favorevole e edificante.

 

Il Signore dice: “Ama il prossimo tuo come te stesso” perché così facendo troveremo la vita, una qualità di vita migliore. Ma come possiamo concentrarci sugli altri se abbiamo ancora grossi bisogni da soddisfare? O se siamo impegnati a far sì che il nostro senso di giustizia trovi un riscontro nella realtà e nelle persone di cui ci circondiamo?

Gesù è venuto per salvarci, liberarci, guarirci. E come lo ha fatto? Amando chi l’ha rifiutato, chi l’ha abbandonato, chi l’ha tradito, chi l’ha rinnegato, chi non gli ha creduto, chi lo ha condannato, chi lo ha lasciato solo

Lasciandoci invadere dall’amore di Gesù per il prossimo, guariremo dalle nostre ferite, cioè dai nostri bisogni e dalle nostre aspettative, dai rancori, dalle rabbie, dai giudizi taglienti, dall’odio, dal rifiuto, dal senso di abbandono, di solitudine, ecc.