MOLTI I CHIAMATI, POCHI GLI ELETTI
Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:
“Or il re, entrato per vedere quelli che erano a tavola, notò quivi un uomo che non vestiva l’abito di nozze. E gli disse: Amico, come sei entrato qua senza aver un abito di nozze? E colui ebbe la bocca chiusa. Allora il re disse ai servitori: Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Ivi sarà il pianto e lo stridor dei denti. Poiché molti son chiamati, ma pochi eletti” (Matteo 22:11-14).
Quando leggiamo questi versetti, quali sono le considerazioni che ne traiamo? Chi sono gli eletti? Sono solo i salvati?
Se, quindi, i salvati sono pochi, a chi si riferisce Giovanni quando, sotto ispirazione divina, scrive: “Dopo queste cose vidi, ed ecco una gran folla che nessun uomo poteva noverare, di tutte le nazioni e tribù e popoli e lingue, che stava in piè davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di vesti bianche e con delle palme in mano. E gridavano con gran voce dicendo: La salvezza appartiene all’Iddio nostro il quale siede sul trono ed all’Agnello” (Apocalisse 7:9-10).
E’ evidente, perciò, che in quella parabola Gesù, pur facendo notare che non tutti i chiamati saranno salvati, non vuole mettere l’accento sulla grandissima difficoltà di entrare alla presenza di Dio, in Cielo, realtà che sarebbe contraria alla misericordia tanto sbandierata nella Bibbia da parte del Padre celeste, ma piuttosto sulla realtà che molti sono i chiamati, tanti sono i salvati, ma pochi sono quelli che entrano in un rapporto profondo e intimo col Signore.
Questo concetto trova un riscontro nelle lettere di Paolo:
“Io come savio architetto ho posto il fondamento; altri vi edifica sopra. Ma badi ciascuno com’egli vi edifica sopra…Ora, se uno edifica su questo fondamento oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera d’ognuno sarà manifestata, perché il giorno di Cristo la paleserà; poiché quel giorno ha da apparire qual fuoco; e il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edificata sul fondamento sussiste, ei ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, ei ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo, però come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 3:10-15).
Ci sono evidentemente dei cristiani, nati di nuovo e salvati, che nella loro vita hanno agito umanamente, cioè seguendo motivazioni della carne e non dello Spirito (legno, fieno, paglia), che, così facendo, non sono entrati in stretto contatto con lo Spirito di Gesù, non hanno avuto una vera comunione con Gesù, non hanno compreso il cuore di Gesù, e che hanno, sì, sentito parlare di Gesù, ma non l’hanno né visto, né conosciuto veramente (Giobbe 42:5).
“Mentre per ragion di tempo dovreste esser maestri, avete di nuovo bisogno che vi si insegnino i primi elementi degli oracoli di Dio; e siete giunti a tale che avete bisogno di latte e non di cibo sodo. Perché chiunque usa il latte non ha esperienza della parola della giustizia, poiché è bambino; ma il cibo sodo è per uomini fatti; per quelli, cioè, che per via dell’uso hanno i sensi esercitati a discernere il bene e il male” (Ebrei 5:12-14).
In questi versetti l’autore dell’epistola, rivolgendosi indistintamente a tutti gli Ebrei credenti e non solo ad alcuni, sta dicendo loro che, malgrado gli anni trascorsi nella fede, non hanno capito quasi nulla del messaggio del Vangelo, non essendo in grado di discernere ciò che è umano e carnale da ciò che è divino e spirituale (chi usa il latte non ha esperienza, cioè non ha capito il senso della parola della giustizia) e che dovrebbero mettersi in discussione per rivedere tutta la loro attitudine.
“Ed io, fratelli, non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate ancora da tanto; anzi non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. Infatti, poiché vi è tra voi gelosia e contesa, non siete voi secondo l’uomo? Quando uno dice: Io sono di Paolo; e un altro: Io sono di Apollo; non siete voi carnali?” (1 Corinzi 3:1-4).
Anche in questo caso San Paolo si rivolge a tutti i credenti di Corinto e non ad alcuni, facendo loro notare che il fatto di aver ricevuto Gesù nel cuore li ha portati, sì, alla presenza di Dio, ma non ha loro cambiato la mente secondo la logica dell’amore di Gesù gli uni per gli altri. Per questo sono ancora dei bambini, incapaci di comprendere le verità contenute nel cuore di Gesù e, quindi, nel messaggio del Vangelo.
Molti sono i chiamati, tanti sono i salvati “come attraverso il fuoco”, ma pochi hanno compreso il vero scopo di questa chiamata, così come espresso da San Paolo:
“Fedele è l’Iddio dal quale siete stati chiamati alla comunione del suo Figliolo Gesù Cristo, nostro Signore” (1 Corinzi 1:9).
Secondo uno dei tanti dizionari della lingua italiana, comunione significa: Atto, modo, effetto dell’essere condiviso da più persone; stretta relazione psicologica e naturale fra persone.
Dio, quindi, ci chiama per farci entrare in una stretta relazione con Gesù, cioè per permetterci di condividere la natura, o spirito, di Gesù, per poter conoscere il modo di pensare, di sentire e di agire di Gesù. E quando condividiamo i pensieri, i sentimenti e l’agire di Gesù, entriamo nel cammino della santità, cioè stiamo diventando lentamente come Lui: “Senza santità nessuno vedrà (cioè capirà, comprenderà, sperimenterà, vivrà) il Signore” (Ebrei 12:14).
Essere come Gesù significa amare come Lui ha amato: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande che quello di dare la sua vita per i suoi amici”(Giovanni 15:12-13); ”Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).
Conoscere Gesù significa conoscere il suo amore (non quello che ha avuto per ognuno di noi morendo in croce, ma quello che Lui vuole offrire, tramite noi, a chi ci sta accanto, portandoci, così, a vivere l’amore e non a concentrarci sul nostro bisogno di sentirci oggetto d’amore):
“Voi, mettendo in ciò dal canto vostro ogni premura, aggiungete alla fede vostra la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza la continenza; alla continenza la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’amore fraterno; e all’amore fraterno la carità. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi non vi renderanno né oziosi né sterili nella conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo. Poiché colui nel quale queste cose non si trovano, è cieco, ha la vista corta…e facendo queste cose non inciamperete giammai” (2 Pietro 1:5-10).
L’amore è al vertice di questa piramide, l’amore è il momento di massima spiritualità, come conferma anche l’apostolo Paolo: “E ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza. Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non son nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova (costruire con legno, fieno, paglia). La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non si inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. La carità non verrà mai meno…Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità” (1 Corinzi 12:31 / 13:1-8,13).
“Se non ho carità, non son nulla”, cioè non sto mettendo in pratica la volontà di Dio espressa in tutto il messaggio biblico e, forse, cerco il Signore solo per soddisfare me stesso, per sentirmi bene, per avere dei favori, come i 9 lebbrosi di Luca 17:12-19.
“Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti. Entrate per la porta stretta, poiché…angusta è la via che mena alla vita (cioè l’esperienza diretta dell’amore di Gesù operante in noi a favore del nostro prossimo), e pochi son quelli che la trovano” (Matteo 7:12-14). “Per mezzo dell’amore (da attingere dal cuore di Gesù) servite gli uni gli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso” (Galati 5:13-14).
“Non abbiate altro debito con alcuno se non d’amarvi gli uni gli altri: perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non concupire e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: Ama il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa male alcuno al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge” (Romani 13:8-10).
Siamo sinceri: quanti vanno in Chiesa col desiderio di imparare ad amare il loro prossimo e col proponimento di capire quali siano le attitudini sbagliate che stanno alimentando, più o meno coscientemente?
La risposta è ovvia: pochi, molto pochi! E questo spiega perché “molti son chiamati, ma pochi eletti”.
E cosa insegniamo noi pastori alle anime che Dio ha aggiunto alla sua Chiesa? Gli insegniamo che, applicando la fede, possiamo allontanare dalla nostra vita qualsiasi montagna si presentasse davanti a noi? Gli insegniamo che qualsiasi malattia, grazie alle lividure di Gesù, è guarita? Gli insegniamo che il Diavolo non può toccarci, perché siamo coperti dal sangue di Gesù? Gli insegniamo che la benedizione scende automatica dal Cielo pagando la decima? Gli insegniamo che la manifestazione dei doni carismatici, e della potenza divina in generale, è l’espressione della benedizione di Dio su quella Comunità? Gli insegniamo che un credente deve essere ripieno della gioia del Signore in modo permanente? Gli insegniamo che la spiritualità si manifesta accettando un incarico all’interno dell’organizzazione della Chiesa? Gli insegniamo cha la salvezza non si può mai perdere, grazie al grande amore che Dio ha nei nostri confronti? Gli insegniamo che tutta la nostra casa, se perseveriamo nella fede, sarà salvata? Gli insegniamo che uno dei momenti di massima spiritualità è la partecipazione alla Santa Cena, avendo l’espressione facciale di chi è compunto nel cuore e altamente riconoscente a Gesù per il suo grande sacrificio sulla croce? Gli insegniamo a pregare sistematicamente, sia a casa che al ristorante, prima di iniziare a mangiare? Gli insegniamo che se non si sottomettono al loro pastore, in tutto e per tutto, sono ribelli e perdono le benedizioni preparate da Dio per loro?
Così facendo, presentiamo un Vangelo volto quasi unicamente a soddisfare le aspirazioni umane dei credenti e a far loro credere di poter servire Dio tramite sforzi umani. Bisogna ammettere, purtroppo, che si fa poco o niente per insegnar loro il cammino dell’amore, “la via per eccellenza”, che deve portare a praticare la misericordia più che il sacrificio, così come Dio ci ricorda nella sua Parola: “Or andate e imparate che cosa significhi: Voglio misericordia, e non sacrificio” (Matteo 9:13) e a preoccuparci più del nostro prossimo che di noi stessi: “Quanto all’amore fraterno, siate pieni d’affezione gli uni per gli altri; quanto all’onore, prevenitevi gli uni gli altri; quanto allo zelo, non siate pigri; siate ferventi nello spirito, servite il Signore; siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseverando nella preghiera; provvedete alle necessità dei santi, esercitate con premura l’ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano; benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono allegri; piangete con quelli che piangono. Abbiate fra voi un medesimo sentimento; non abbiate l’animo alle cose alte, ma lasciatevi attirare dalle umili. Non vi stimate savi da voi stessi. Non rendete ad alcuno male per male. Applicatevi alle cose che sono oneste, nel cospetto di tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12:10-18).
Oggi è di moda il Vangelo della “prosperità”, il Vangelo della benedizione permanente, dove non c’è più posto per la croce di Gesù e, quindi, per la sofferenza. Oggi è di moda il Vangelo che deve compensarci sul piano materiale di tutto quello che il mondo non ci ha offerto e, in questo modo, diventiamo più egocentrici che mai, mentre il Vangelo ci esorta ad essere imitatori di Gesù: “Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande che quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Giovanni 15:12-13), “Ricordiamoci delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: Più felice cosa è il dare che il ricevere” (Atti20:35) e “Ma Gesù disse loro: Voi sapete che quelli che son reputati principi delle nazioni, le signoreggiano; e che i loro grandi usano potestà sopra di esse. Ma non è così tra voi; anzi chiunque vorrà esser grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque fra voi vorrà esser primo, sarà servo di tutti. Poiché anche il Figliuol dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dar la vita sua come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:42-45).