SCHEMI RELIGIOSI
Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:
Appoggiarsi su schemi mentali e tradizioni è più congeniale all’uomo che non la ricerca, volta per volta, della volontà di Dio per la circostanza che sta vivendo e per capire cosa c’è da cambiare nelle sue attitudini. L’uomo è per natura più un religioso che un essere capace di vivere per fede. “Il giusto vivrà per la sua fede”, ci ripete a più riprese la Scrittura, oltre ad ammonirci che “le tradizioni annullano la Parola di Dio”.
Gesù Cristo è la “pietra angolare”, “la roccia” destinata a sostenere la casa che Dio ci chiama a costruire. Gesù è spirito e, dovendo crescere in noi così come un seme deve diventare pianta, finisce con l’essere una entità in continua evoluzione. A noi umani, invece, servono in generale dei punti fermi, delle cosiddette “stampelle” per sentirci rassicurati.
La prima stampella è “la dottrina”. Quando siamo sospinti a dire: “La Scrittura dice”, sia per giustificare che per confutare argomenti e comportamenti, corriamo il rischio di appoggiarci più sulla lettera che sullo spirito della Parola. La lettera non comporta la comprensione di quanto è scritto, ma un’applicazione spesso rigida e anche fanatica di quello che leggiamo (vedi i Farisei). Lo spirito della Parola, invece, deve spingerci a comprendere le intenzioni, le motivazioni di chi ha scritto e questo ci obbliga ad una ricerca sempre più profonda di una relazione con Gesù Cristo che vive dentro di chi è nato di nuovo. Capire lo spirito della Parola significa entrare nella mente e nel cuore di Gesù, significa vedere quello che Gesù avrebbe pensato, detto e fatto in quella circostanza. E questo è il punto cruciale dell’essere cristiano e vi posso garantire che richiede molto impegno, consacrazione, rinuncia, sacrificio e soprattutto accettazione della disciplina, di solito non piacevole, che Dio stesso vuole esercitare su di noi.
Un’altra stampella è “il culto”. Partecipare ai culti sembra essere il momento più alto di spiritualità, il momento dove cercare e trovare la presenza dello Spirito Santo, il momento in cui ci rendiamo Dio propizio perché lo “adoriamo” e il momento che, sentendo il Signore vicino, percepiamo una certa tranquillità interiore per sentirci da Lui accettati.
Non sto dicendo che è inutile partecipare alle riunioni di Chiesa, perché io stesso le organizzo, ma voglio dire che bisogna forse cambiare l’impostazione che se ne dà. Gesù non dirigeva dei culti quando incontrava la gente, non guidava i presenti a ricercare Dio con una forma ritualistica (30 minuti per questo, 15 minuti per quest’altro, ecc.), ma parlava, insegnava, comunicava i principi del Regno, dava la sensazione di interessarsi alle loro vite, trasmetteva una forte impressione di amarli.
Le riunioni, specialmente quelle infrasettimanali, devono portarci in questa direzione: quella dell’insegnamento pratico, quotidiano, ascoltando le problematiche dei membri riuniti e dando loro la comprensione prima e il consiglio tratto dalle Scritture, avvalorato dalla nostra esperienza di vita, poi.
Ci appoggiamo anche sulla stampella “degli atti religiosi”. Pregare, digiunare, leggere la Bibbia, partecipare alla Santa Cena, fare una preghiera ogni volta che visitiamo dei fratelli, ringraziare per il cibo quando ci sediamo a tavola, pagare la decima (che io, tra l’altro, non ritengo più attuale, ma soltanto una legge dell’Antico Testamento), alzare le braccia e applaudire durante i culti. Tutte queste cose non sono negative in sé, ma dipende sempre dalla motivazione che ci spinge a farle. Dio, nella sua Parola, ci dice che “vuole misericordia e non sacrifici”, per cui tutto ciò che deve motivarci nel seguire Gesù è di imparare ad amare (smettendo i panni del bambino che vuole sempre sentirsi amato). Tutti gli sforzi delle guide spirituali devono essere rivolti, quindi, a far capire alle anime il significato della parola “amore” e quali siano gli impedimenti presenti nei loro cuori che rendono vana la volontà di Dio per noi, quella cioè di “amarci gli uni gli altri”. Nell’amore c’è la vera libertà, ma questo, ve lo posso garantire, è un tema più complesso di quanto si possa immaginare.
Altra stampella è “il linguaggio”. Spesso ci si esprime per frasi fatte, come: “Dio sa” , “Dio conosce i cuori” , “Dio è fedele” , “Dio è grande” , “Dio è buono” , “Getta il tuo pane sulle acque” , “Abbi fede” , “Dobbiamo pregare, pregare di più” , “Dio non ci farà mancare niente” , “Il diavolo non ci può toccare” , “Prendiamo autorità nei luoghi celesti” , “Confessa la vittoria” , ecc.
Tutte queste frasi racchiudono in sé una verità, ma non è automatico che, ripetendole, riusciamo a cambiare le circostanze o a piegare la volontà di Dio a nostro favore, cioè nel senso di soddisfare i nostri desideri e bisogni. Il grande problema è capire cosa Dio vuole da noi e il perché ci ha chiamati. Io ho capito che il Padre celeste non è interessato alla nostra prosperità materiale, cioè riferita al piano umano, terreno, ma vuole renderci simili a suo Figlio Gesù e così tende a utilizzare e a creare situazioni di vita, il più delle volte poco piacevoli per noi, affinché il carattere di Cristo diventi lentamente il nostro carattere. Questa è “la via stretta” di cui parlano le Scritture.
Se diventiamo religiosi o ci concentriamo sui problemi del mondo (ingiustizia, povertà, handicap, ecc.) rischiamo di perdere di vista la volontà di Dio per noi. Man mano che il cambiamento interiore avrà luogo, ci occuperemo automaticamente degli altri, perché l’amore di Cristo vincerà su ogni altra considerazione. Al contrario, questa trasformazione non avverrà fissando i nostri occhi nel voler risolvere i problemi del mondo o della Chiesa. Il cambiamento, credetemi, è cosa complessa e trova in noi forte resistenza (la cosiddetta “carne” non muore con la “nuova nascita” in Cristo. Magari!!)