CONDANNATI DA DIO O DA NOI STESSI?

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

“Allora gli Scribi e i Farisei gli menarono una donna colta in adulterio; e fattala stare in mezzo. Gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare queste tali; e tu che ne dici? Or dicean questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome continuavano a interrogarlo, egli, rizzatosi, disse loro: Chi di voi è senza peccato scagli il primo la pietra contro di lei. E chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Ed essi, udito ciò, e ripresi dalla loro coscienza, si misero ad uscire ad uno ad uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. E Gesù, rizzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata? Ed ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Giovanni 8:3-11).

 

C’è un cantico che termina con le parole: “Sana la mia terra (il mio cuore) col tuo amor”. Questa frase rappresenta sinteticamente la sostanza del Vangelo di Cristo, che è un Vangelo di salvezza, termine che significa soprattutto guarigione, cioè la possibilità di ritrovare l’origine perduta, i valori perduti, il rapporto con Dio perduto, la buona relazione con se stessi e con il prossimo perduti. Il Signore, tramite la sua Parola, vuole riportarci a quel livello di guarigione, di equilibrio, di salute, che ci permetterà di godere della sua presenza già durante la nostra realtà terrena e poi eternamente in cielo. La guarigione è il prodotto della restaurazione, o della Redenzione dell’uomo peccatore in una persona santa, realtà che non contempla più il rifiuto e la condanna, manifestati nei confronti di Adamo, ma l’accettazione e la valorizzazione, evidenziati nei riguardi di Gesù Cristo.

Qui abbiamo un episodio in cui dei religiosi di allora portano questa donna colta in flagrante adulterio davanti a Gesù con l’unico intento di smascherare come eretica la sua dottrina e, quindi, di poterlo condannare. Già la partenza è sbagliata, perché ci fa notare che nel cuore dell’uomo alberga il desiderio di rifiutare, di condannare, di criticare, di mettere in disparte, di percepire un senso di superiorità nella capacità di giudizio, più che il desiderio di voler comprendere e imparare. Nei Farisei c’è il desiderio di condannare il Maestro, perché è un personaggio scomodo, infatti si rivolge sempre alle loro coscienze mettendo in rilievo i loro errori, le loro concezione religiose e di vita sbagliate, e questo dà fastidio. Gli portano quindi una donna dicendogli: “Cosa pensi tu? La possiamo lapidare oppure no?” Se avesse risposto di sì, gli avrebbero detto: “E tu perché non rispetti la legge di Mosè nel suo insieme?” Se avesse risposto di no, lo avrebbero condannato lo stesso, dicendogli: “Tu non rispetti i comandamenti di Dio”.

 

In questo episodio abbiamo due tentativi di condanna. L’uno nei confronti della donna e l’altro contro la persona di Gesù. La condanna è dentro l’uomo più che dentro Dio. Infatti, il Signore ha dato i comandamenti: non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza…, non tanto per condannare l’uomo, o per mettere in risalto quanto il suo comportamento fosse meschino e meritorio di condanna, quanto per fargli notare che tutti i problemi dell’umanità nascevano dall’incapacità di osservare quei precetti. Voleva semplicemente far notare che l’uomo stava condannando se stesso nel momento in cui non riusciva ad applicare quei concetti, quei principi e voleva fargli capire che necessitava di un Salvatore, di una persona che lo aiutasse a ritrovare il giusto cammino, quello dell’equilibrio e della pace, quello dell’armonia con se stesso, col prossimo e col suo Creatore.

Nell’Antico Testamento Dio ha provato tutti i possibili sistemi per cambiare la realtà dell’uomo, ma inutilmente. Ha offerto all’umanità delle cosiddette “dispensazioni”, cioè dei periodi caratterizzati da una rivelazione specifica della sua volontà per produrre e mantenere armonia e pace. La prima dispensazione è quella dell’Innocenza, seguita da quella della Coscienza, del Governo umano, della Promessa, della Legge, della Grazia. In tutte queste realtà il peccato ha dominato la vita dell’uomo sulla Terra, infatti la prima dispensazione si è conclusa con l’espulsione di Adamo ed Eva dall’Eden, la seconda con il giudizio del diluvio universale, la terza con la confusione delle lingue, la quarta con il vagare del popolo eletto nel deserto del Sinai, la quinta con il giudizio delle cattività nei paesi nemici confinanti con Canaan, la sesta, attualmente in atto, si concluderà con i giudizi apocalittici futuri.

 

Dio vuol farci capire che la realtà di questo mondo, insoddisfacente per chiunque, non è il prodotto della sue alte esigenze, delle sue regole esasperanti, ma è il frutto della nostra natura che si autocondanna vivendo su un piano prettamente egoistico ed egocentrico, centrato sulla ricerca del benessere individuale e non del bene comune. La legge non è stata data per condannare, per rifiutare, ma per poter trovare un punto d’incontro col nostro Dio e una soluzione vantaggiosa per tutti. Riconoscendo, infatti, la bontà dei suoi comandamenti, basati sull’amore, e la nostra incapacità ad applicarli, avremmo cercato l’intervento divino sulle nostre vite come l’unica speranza a cui aggrapparci. Ma così non è stato e la Legge non ha prodotto altro che lo sforzo da parte dell’uomo per cercare di raggiungere Dio, di soddisfare le sue richieste, di sentirsi da Lui approvato, ed ha chiuso la porta alla presa di coscienza della necessità di un Salvatore, di uno che lo prendesse per mano e lo guidasse sui sentieri della giustizia.

La Legge, con i suoi “non fare” e “non dire”, ci fa sentire inadempienti e di conseguenza accusati e produce in noi un rifiuto verso questa sensazione sgradevole. Molti di noi, infatti, siamo cresciuti con genitori che ci hanno condannato, ci hanno fatto notare quanto siamo incapaci e inutili, quanto non riusciamo a soddisfare le loro richieste, siamo stati colpiti da castighi più o meno severi, abbiamo dovuto sottostare a volte anche al loro rifiuto di rivolgerci la parola. Siamo abituati a sentirci condannare sempre, a prendere seriamente oltre ogni limite i nostri errori e i nostri sbagli, a prendercela con noi stessi, a rifiutarci, a deprimerci per questo.

 

Ma il Signore è venuto sulla Terra per darci un messaggio nuovo, una “buona novella”, è venuto per toglierci questo senso di condanna che ci schiaccia e ci invade il cuore, vuole farci notare che Lui è venuto per guarirci, per salvarci e non per condannarci. Questo concetto, però, non entra sempre così facilmente nelle nostre menti e le parole di Giovanni non tracciano spesso un solco profondo nei nostri cuori: “Infatti Iddio non ha mandato il suo Figliolo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figliol di Dio” Il Signore specifica che è venuto a salvarci, cioè a liberarci dal condizionamento nefasto della nostra natura egoista, o “carne” come la definisce la Bibbia, e la fede è lo strumento per poterlo credere e poi sperimentare. Chi non crede si autocondanna, non tanto perché Dio lo rifiuta o non aspetta altro che un suo errore per schiacciarlo e mostrargli quanto disprezzo ha nei suoi confronti, ma perché continuerà a lasciarsi dominare dai suoi istinti e dal suo senso distorto di ciò che è giusto e buono per la sua vita.

 

Prendiamo un esempio dalla vita quotidiana. Un tale ha difficoltà di respirazione e va dal medico. Questi gli chiede se è un fumatore. Lui risponde affermativamente. “Quante sigarette fuma al giorno?”, incalza il dottore. “Dai due ai tre pacchetti”, confessa il paziente. “Questa è la ragione della sua difficoltà di respirazione. Dovrà smettere immediatamente e totalmente, se non vuole che le capiti qualche cosa di peggio”. Il medico ha trovato la ragione della sua problematica e gli fornisce la soluzione. Lo sta condannando in quel momento? Gli sta, forse, dicendo: “Sei un miserabile, un disgraziato fumatore, vattene via, sparisci, ti odio, non meriti il mio aiuto”? No, gli sta semplicemente dicendo, dall’alto della sua sapienza, che se continuerà a fumare si ammazzerà da solo. Gli sta facendo notare qual è il problema (la Legge ha solamente evidenziato il peccato, la causa della malattia), affinché possa risolverlo, soluzionarlo, superarlo e trovare un miglioramento fisico, una migliore qualità di vita. Il medico non sta condannando nessuno. Uno, certo, può sentirsi condannato perché non riesce a smettere, ma questo è un altro discorso.

 

La legge ci fa notare dov’è l’origine del nostro malessere, non è semplicemente un atto di accusa, di condanna perché non siamo in grado di applicarne i comandamenti. L’incapacità di amare Dio e il nostro prossimo come noi stessi è il nostro problema, il cancro che ci mangia la vita dall’interno del nostro essere, la nostra condanna che ci porta alla distruzione. La sapienza divina espressa nella Legge non vuole condannare nessuno, ma vuole semplicemente darci la risposta, la soluzione ai nostri problemi, come dice l’apostolo Paolo: “La legge è essa peccato? Così non sia; anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge…Talché la legge è santa, e il comandamento è santo e giusto e buono. Ciò che è buono diventò dunque morte per me? Così non sia; ma è il peccato che mi è divenuto morte, onde si palesasse come peccato, cagionandomi la morte mediante ciò che è buono; affinché, per mezzo del comandamento, il peccato diventasse estremamente peccante. Noi sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato” (Romani 7:7,12-14).

Vista l’inutilità di tutti i tentativi per riportare l’uomo su di una via di guarigione, Dio ha mandato Gesù, suo figlio, affinché riuscisse a vivere una vita sana, in perfetta armonia con la sua volontà, in perfetta ubbidienza ai suoi principi, offrendo al mondo l’immagine e il significato del crescere sano, del vivere sano e del morire sano.

 

La condanna fa parte di questo mondo, non è in Dio, ma è dentro di noi. Nelle Scritture, infatti, leggiamo: “Non giudicate acciocché non siate giudicati; perché col giudizio col quale giudicate, sarete giudicati; e con la misura onde misurate, sarà misurato a voi: E perché guardi tu il bruscolo che è nell’occhio del tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?…Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato” (Matteo 7:1-3 / Luca 6:37). Ci è del tutto naturale accusare e condannare, è come un bisogno di sfogo, un modo per scaricare sugli altri i nostri pesi, le nostre frustrazioni, il nostro senso di inferiorità e di indegnità. Nel giustiziare gli altri o nell’esasperare i loro difetti ci sentiamo più leggeri, più sollevati, migliori forse, ci sentiamo liberati, purtroppo solo per breve tempo, da quel complesso di incapacità, di imperfezione, di rifiuto, che percepiamo tutti, anche se con intensità diversa.

Il Signore, riuscendo a dribblare il tentativo di questi Farisei di condannarlo, dice loro: “Chi di voi è senza peccato scagli il primo la pietra contro di lei”. Cioè, come fate a condannare un vostro simile, se siete i primi voi a dover essere condannati per quello che siete e per quello che fate! Disgraziatamente, anche tra cristiani scatta facilmente la condanna e il puntare il dito sui falli altrui, più con un’attitudine di giudizio ostile che di restaurazione nell’amore, è una cosa facile, normale, semplice, quotidiana. Il Signore, invece, vuole che ci guardiamo dentro, nel nostro animo e che ci paragoniamo a Lui, non tanto per renderci conto con autodisprezzo dell’improponibilità del confronto, ma per tendere a diventare come Lui, modello vivente del modo corretto di affrontare la vita, comprendendo qual è l’attitudine giusta per la nostra salute psico-fisica e salvandoci dalla nostra meschinità umana.

 

Pur essendo stata promulgata dal suo Padre celeste, Gesù non conferma il contenuto della Legge che imponeva in un caso simile la lapidazione, ma sembra addirittura contraddirla e assolve la donna. Perché? Ciò ci conferma che i comandamenti non erano stati scritti con odio verso i comportamenti umani e, soprattutto, con l’intenzione di condannare senza appello ogni trasgressione, perché non tollerata da Dio e non gradita alla sua visione relativa ai limiti da concedere all’essere umano. La motivazione, quindi, era un’altra e proveremo a capirla cercando di risponderci prima alla ragione perché la legge era così severa nei confronti dell’adulterio. Questo comportamento umano, purtroppo frequente, è inevitabilmente fonte di sofferenze, di disordine nell’equilibrio familiare e di caos e anarchia a livello di società. Nasce dall’inganno come prima cosa, perché va tenuto nascosto con consapevolezza e astuzia, essendo un rapporto fraudolento che viola un preciso impegno di fedeltà nei riguardi del partner preso il giorno del matrimonio. L’inganno, certo, non è una base solida su cui costruire una società. Poi c’è l’ipocrisia, perché, per evitare tutti i possibili sospetti, bisogna dimostrarsi innamorati della moglie o del marito, essere carini, gentili, attenti, quando il desiderio dominante del cuore dell’adultero è quello di incontrarsi con l’amante. L’ipocrisia, evidentemente, non è un fondamento forte sul quale costruire una società. Inoltre c’è la sofferenza di chi lo viene a sapere, la ferita del tradimento, del rifiuto, del sentirsi abbandonato, inutile. Non sono neanche queste le basi per costruire una società sana.

 

E Dio voleva farcelo capire tramite la Legge. E’ come se avesse voluto dirci, tramite i suoi precetti, di non perseverare in questi atteggiamenti, o peccati, perché ci avrebbero distrutto, ed è come se avesse voluto invitarci a cambiare, o semplicemente a desiderare un cambiamento, per essere noi la causa della nostra condizione. La Legge non solo non ha come proposito la condanna nei confronti dell’uomo, ma vuole essere uno strumento, un metodo didattico per farci trovare la strada della giustificazione in Cristo Gesù, come dice la Scrittura: “Che cos’è dunque la legge? Essa fu aggiunta a motivo delle trasgressioni, finché venisse la progenie alla quale era stata la promessa…La legge è essa dunque contraria (cioè segno di condanna definitiva) alle promesse di Dio?  Così non sia;  perché se fosse stata data una legge capace di produrre la vita, allora sì, la giustizia sarebbe venuta dalla legge; ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto peccato, affinché i beni promessi alla fede in Gesù Cristo fossero dati ai credenti. Ma prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi in custodia sotto la legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Talché la legge è stata il nostro pedagogo (insegnante) per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede” (Galati 3: 19-24). Chi non crederà, allora, sarà condannato, perché si autocondanna non potendo accettare l’unico cammino di salvezza, di salute, di guarigione che Dio ci offre.

 

Quando diciamo che si è creato un effetto serra per colpa dell’anidride carbonica sempre più presente in alta quota, che comporta un surriscaldamento progressivo dell’atmosfera, e continuiamo a costruire fabbriche, a volere che anche il terzo mondo si sviluppi, più per desiderio di guadagno che per portare benessere e migliore qualità di vita, non stiamo, forse, peggiorando la situazione e non ci stiamo portando verso la soglia di una possibile autodistruzione? Dio vuole dirci di non perseverare in questa attitudine, perché è pericoloso, non esprime una condanna a causa della nostra disubbidienza, ma ci avverte che la nostra disubbidienza si ripercuoterà contro di noi. Salviamoci da noi stessi, dal peccato che è in noi, dall’atteggiamento egocentrico che determina le nostre scelte, dal demonio che ci governa, per entrare nella dimensione nuova dello Spirito dove l’amore vuole riempirci il cuore, dove l’amore deve governare le nostre vite, le nostre motivazioni.

Ma questo è un cambiamento impossibile per noi, perché secoli di storia l’hanno evidenziato. L’uomo non riesce a modificare la sua natura, è schiavo del peccato e tale rimarrà. Non può fare a meno di essere egoista, fa parte del suo DNA. E quanta gente noi conosciamo che è distrutta, che è vuota, che ha sofferto e soffre, che non sa che direzione prendere, che non trova sostegno, non trova amicizie, non trova nessun appoggio, non sa che cosa fare né dove andare, abbandonata a se stessa, sola, a volte magari accusata, condannata, rifiutata ingiustamente. Molti di loro finiscono nelle trappole che conosciamo, come la droga, nel tentativo di riempire un vuoto interiore che non si sa come colmare diversamente. Dio, allora, nella sua Parola ci dice di stare attenti a non perseverare su questa linea, perché non faremo altro che distruggerci e condannarci da soli.

 

Che Dio sia venuto in Cristo a salvare e non a condannare, lo dimostra in questo episodio: “Donna,dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?...Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più”. Ma perché dice all’adultera di non peccare più? E perché dice al paralitico di Betesda: “Ecco, tu sei guarito; non peccare più, che non ti accada di peggio” (Giovanni 5:14). Di certo non sta dicendo: “Guarda che, se torni a peccare, io dal cielo ti manderò una malattia, una folgore per distruggerti, perché hai osato contraddirmi”. La malattia, la distruzione, terrena o eterna, ce la creiamo da soli, vivendo in un certo modo, e così ci autocondanniamo. “Non peccare più” : non perché se pecchi Dio ti rifiuta, ti rinnega, ti demolisce, ti distrugge, ma solo perché ti dirigi in una via che porta all’autodistruzione.

Il mondo è malato, lo vediamo, ma di chi è la colpa? E’ forse di Dio che ci dice di stare attenti, che ci avverte che stiamo sbagliando, o la colpa è di chi persevera in questa condizione. A volte l’uomo persevera perché non può farne a meno, perché è schiavo dei suoi peccati e del Maligno, per questo facciamo nostre le parole del Vangelo che ci invita a non giudicare e a non condannare, ma ad applicare misericordia. “Attento che non ti capiti di peggio” : se ti lasci andare a dei principi che non sono quelli dell’amore di Cristo, ti puoi distruggere in maniera più grave della paralisi, creandoti un vuoto di valori nell’animo e un vuoto relazionale all’esterno.  Il mondo è malato, ha un bisogno enorme. C’è una grande emarginazione, c’è difficoltà esistenziale a sopravvivere, a trovare un senso pratico alla vita, una ragione per esistere, un riempire le proprie giornate, un trovare soddisfazione al nostro essere. Il mondo è malato e il Signore ci avverte: non peccate più, cambiate linea, io vi offro la direzione giusta, vi offro le motivazioni per il cambiamento vero, genuino che porta guarigione, libertà, armonia. Credete e troverete.

 

A volte siamo dominati da questa paura di non essere graditi a Dio e capita che molta gente se ne vada dalla Chiesa proprio perché teme e crede di non aver fatto abbastanza per soddisfare le richieste e le aspettative del Padre celeste. La loro mente ripete: “Ho sbagliato, ho peccato, mi sono infangato, sono un buono a nulla”, ed è chiaro che sotto questo peso uno si senta schiacciato e desideri fuggire per liberarsi da questa condanna continua e insopportabile, che lo mette di fronte alla sconfitta e al fallimento come persona. Ciò avviene probabilmente perché siamo cresciuti nella condanna da parte dei genitori, della famiglia, dell’ambiente che ci ha circondato, siamo cresciuti senza apprezzamento, senza una parola di sostegno che dimostrasse la nostra importanza come bambini per i genitori e per chi aveva un ruolo importante per noi.

Il Vangelo è pieno di episodi in cui il Signore vuole dimostrare che non ci condanna, che non ci rifiuta, ma in cui vuole dirci che mette intenzionalmente il dito sulla piaga perché ha il desiderio di portarci alla guarigione, che mette in risalto i nostri difetti perché anela vederci liberi, creare una comunione intima con Lui e permetterci così di sfuggire alla condanna del peccato che ci deprime, ci opprime, ci fa sentire privi di ogni senso in questa vita. Dio ama e non condanna, accetta il peccatore ma odia il peccato, perché il peccato distrugge.

Lasciamo entrare questo spirito di Gesù che vuole dirci: “Anch’io non ti condanno, incomincia con me questa nuova strada, lasciati guidare, insegnare, ammaestrare per evitare di ricadere in quel modo di essere che ti distrugge la vita, te la rende vuota, inutile. Quando sbaglierai ti rialzerò e non ti condannerò mai”. Accettiamo questa mano del Signore che vuole portarci in una strada nuova, una via dove noi percepiamo che è il nostro essere, la nostra persona, che interessa finalmente a qualcuno e non le nostre prestazioni, le nostre capacità o i vantaggi che possiamo offrire agli altri. Lasciamoci amare con questo amore disinteressato, lasciamo entrare nei nostri cuori l’amore di Gesù. Lasciamoci ripetere queste parole: “Va’ neanch’io ti condanno, hai sbagliato certo, hai fatto cose dannose per te e per il tuo prossimo, ma io non ti condanno per questo. Attento, però, a non perseverare perché forse finirai in un baratro da cui non potrà sollevarti più nessuno. Io sono qua per aiutarti, per tirarti fuori, per farti cambiare strada, per farti capire che il tuo atteggiamento non ti darà mai la felicità, ma sarà fonte soltanto di dispiaceri e dolori. Vieni con me e troverai un cammino nuovo, una speranza nuova, una dignità nuova, dove ti sentirai finalmente di valore, importante, amato per quello che sei e non per quello che dai”.