IL FONDAMENTO SICURO
Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli…Perciò, chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, io lo paragono ad un uomo avveduto, che ha edificato la sua casa sopra la roccia. Cadde la pioggia, vennero le inondazioni, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa; essa però non crollò, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque invece ode queste parole e non le mette in pratica, sarà paragonato ad un uomo stolto, che ha edificato la sua casa sulla sabbia. Cadde poi la pioggia, venero le inondazioni, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa; essa crollò e la sua rovina fu grande” (Matteo 7:21,23-27).
Come costruire un fondamento solido, sicuro? Non lo si può certo creare basandosi sul proprio sentire emotivo, come ci testimonia Pietro: “Gesù disse loro: Questa notte tutti avrete in me un’occasione di caduta…ma Pietro, rispondendo gli disse: Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me. Gesù gli disse: In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte. E Pietro a lui: Quand’anche mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò” (Matteo 26:31-35). Sappiamo poi che Pietro giurò e spergiurò di non conoscerlo pur di salvarsi la vita. Questo fondamento, invece, è il prodotto di una decisione: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi seguiti. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, esso la salverà” (Luca 9:23-24) e della disciplina di Dio: “Figliol mio, non far poca stima della disciplina del Signore, e non ti perder d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge colui ch’Egli ama, e flagella ogni figliol ch’Egli gradisce…or ogni disciplina sembra, è vero, per il presente non essere causa d’allegrezza, ma di tristezza; però rende poi un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati” (Ebrei 12:5-6,11).
Prendiamo adesso in considerazione l’episodio narrato nel Vangelo di Giovanni al capitolo 11, la morte e risurrezione di Lazzaro.
Lazzaro, il fratello di Marta e Maria, muore. A nulla sono valse le cure mediche e l’appello rivolto al loro grande amico, Gesù, di venire a guarirlo, come aveva fatto con altre persone in svariate occasioni. La morte irrompe in quella casa e spezza i legami umani che si erano instaurati in quella famiglia. Non c’è più scambio d’affetto, non c’è più comunicazione, non c’è più neanche il piacere dello stare insieme, né la sicurezza derivante dal potersi appoggiare l’uno sull’altro, mancano anche le preoccupazioni per lo stato del fratello o della sorella. Si è creato un vuoto!
La sofferenza che ne deriva ci obbliga a cercare una compensazione, ci sentiamo troppo schiacciati e sembra che ci manchi la terra sotto i piedi. Abbiamo la sensazione di precipitare nel nulla e il nostro cuore grida nella speranza di essere ascoltati da qualcuno che ci possa salvare da questa situazione insostenibile. Ma come colmare questo vuoto?
Chi ha perso un figlio ne farà un altro, sperando forse che assomigli a quello che è mancato e ne perpetui in questo modo la presenza; chi ha perso una persona cara cercherà di ricreare il contatto con la collaborazione di un Medium (in questi casi la fede di una vita oltre la morte, quasi inesistente durante il vivere quotidiano, cresce a dismisura), o andrà tutti i giorni al cimitero per iniziare un finto dialogo col defunto, o farà dire messe giornaliere in suffragio; chi percepisce questo vuoto tenderà a lavorare più di prima e con maggior accanimento per non avere il tempo di pensare o per non disporre di energie libere, che lo porterebbero a ricordare e a voler rivivere momenti e attività condivisi con chi non c’è più. Altri vanno in depressione, perché si struggono dal dolore, entrano in un vortice di autocommiserazione e non hanno più forze per affrontare la vita.
In questo episodio di Giovanni vediamo due comportamenti, o due attitudini, in netto contrasto tra loro. Marta e Maria dicono a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto” (Giovanni 11:21). In poche parole, perché non sei intervenuto? Perché non hai risposto alla nostra supplica? Perché hai permesso questa sofferenza nella nostra vita? Perché, pur amando Lazzaro, lo hai lasciato morire? Gesù, infatti, “come ebbe udito ch’egli era malato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov’era” (Giovanni 11:6). Le due sorelle sono deluse, sofferenti e amareggiate.
Ma Gesù, inaspettatamente e sorprendentemente, dice: “Mi rallegro di non essere stato là, affinché crediate” (Giovanni 11:15). Questo è uno di quei casi in cui possiamo applicare le parole di Isaia: “Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie, dice l’Eterno. Come i cieli sono più alti della terra, così le mie vie sono più alte delle vostre vie e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri” (Isaia 55:8-9).
Nel desiderare la guarigione del fratello per poter continuare a vivere in armonia e amore, oltre che ad appoggiarsi sull’uomo della famiglia come colui che provvedeva ai loro bisogni materiali e alla loro sicurezza fisica, che cosa hanno chiesto di male o di sbagliato? Nulla!
E perché allora Gesù, così misericordioso in molte altre circostanze, non ha ritenuto di soddisfare quella richiesta così pressante e così straziante? E’ forse un peccato volersi bene e dolersi profondamente nel doversi separare da una persona cara per sempre? No, assolutamente no! E allora?
Dio vuole farci capire che la vita, fuori dal suo controllo, cioè non governata dal suo potere e dalla sua autorità, è lo specchio dell’effimero, della vanità, non offrendo alcun tipo di sicurezza e di continuità. Senza di Lui siamo condannati a vivere nella morte, come ci dice San Paolo: “Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato” (Romani 5:12). Per morte non si intende solo quella fisica, che ci separa definitivamente dalla realtà di questo mondo, ma piuttosto una condizione di instabilità e di infelicità che governa sia l’opera creata che i cuori delle persone (cataclismi da una parte e incapacità di amare dall’altra). Infatti, è risaputo che in questo mondo “tutto passa” (gli imperi, le filosofie), “tutto si rompe” (una bella macchina fiammante è destinata a finire dallo sfasciacarrozze) e “tutto stanca” (la noia prima o poi ci assale e dobbiamo cercare sempre nuove emozioni), cioè tutto muore. E’ quello che intende l’apostolo Giovanni quando dice: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1 Giovanni 3:14).
Dio, quindi, vuole trasferirci in un’altra dimensione, vuole offrirci un altro fondamento, che ci dia sicurezza e felicità, cioè vuole trasportarci nel regno della vita, dove ogni vuoto verrà colmato. Per questa ragione non risponde alla richiesta accorata e piena di speranza di Marta e Maria, le delude volutamente perché vuole che si appoggino su un fondamento più sicuro, che le possa preservare da tutte le tormente della vita terrena e introdurre nell’eternità gloriosa del suo regno, Gesù Cristo. Dio vuole che la loro fiducia, il loro senso di sicurezza, l’intimità profonda, la speranza, il senso di completamento, l’unica e vera dipendenza per sentirsi pieni e realizzati, trovino una totale realizzazione nel Messia, la Parola fatta carne. Tutti gli altri fondamenti, o appoggi umani, su cui edifichiamo in questa vita sono come sabbia. Ci sostengono in un regime di quieto vivere, ma quando arriva la tormenta si rivelano insufficienti e incapaci di evitare un crollo disastroso. La Sacra Scrittura ci parla in merito: “Essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore” (Efesini 2:19-21) ; “Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, eletta, preziosa; e chiunque crede in lui non sarà confuso” (1 Pietro 2:6).
Gesù, certo, non è insensibile al dolore della gente: “E quando Gesù la vide (Maria) piangere, e vide i Giudei ch’eran venuti con lei piangere anch’essi, fremé nello spirito, si conturbò, e disse: Dove l’avete posto? Essi gli dissero: Signore, vieni a vedere! Gesù pianse. Onde i Giudei dicevano: Guarda come l’amava!” (Giovanni 11:33-36). Ma se amava veramente Lazzaro ed era toccato sensibilmente dalla sofferenza delle sue sorelle, perché, come ci ripetiamo tante volte oggi e si dissero allora alcuni dei presenti: “Non poteva, lui che ha aperto gli occhi al cieco, fare anche che questi non morisse?” (Giovanni 13:37).
La risposta viene dallo stesso Maestro: “Questa malattia…è per la gloria di Dio, affinché per mezzo d’essa il Figliol di Dio sia glorificato…affinché crediate…non t’ho detto che se credi, tu vedrai la gloria di Dio?” (Giovanni 11:4,15,40).
Gesù, infatti, compie un’opera straordinaria: risuscita Lazzaro e lo restituisce alle sorelle che tanto lo amavano. Da una parte manifesta il potere di Dio, inarrestabile e travolgente, e dall’altra la misericordia presente nel suo cuore, che lo rende sensibile alla sofferenza altrui.
Marta e Maria ritrovano il fratello, considerato ormai definitivamente morto, ritrovano la gioia di scambiarsi quel profondo affetto che li legava, ritrovano il piacere della comunicazione, in quell’ultima settimana quante cose erano successe, ritrovano la soddisfazione del percepirsi l’uno accanto all’altro e lo stimolo piacevole del preoccuparsi per il benessere l’uno dell’altro.
Ma in realtà la situazione non è più la stessa. Senza l’intervento di Gesù la morte avrebbe spezzato quella relazione umana per sempre e Marta e Maria ne sono coscienti. Nei loro cuori era ormai entrata la convinzione di questa triste condizione di separazione e il dolore persistente che le accompagnava ne era la riprova. Lazzaro adesso è di nuovo lì con loro, ma non per un diritto acquisito per via naturale, bensì per un miracolo operato da Dio. Ogni qualvolta godono della sua presenza hanno la sensazione adesso di aver ricevuto un dono dall’Alto, si sentono sospinte a ringraziare il Signore per quei piacevoli momenti. Nel centro del loro cuore adesso c’è Gesù, mentre Lazzaro è stato relegato in periferia. Il fratello, infatti, non potrebbe esistere senza Gesù, la loro relazione non potrebbe avere una base senza Gesù, il loro amore non potrebbe esprimersi senza Gesù. Il Signore è diventato il tutto, ha conquistato quel posto preminente nel cuore di tutti e tre i personaggi di questo racconto, è diventato il vero fondamento su cui edificare l’esistenza