MA  CHI  E’  UN  PASTORE ?

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

Gesù, dopo aver detto sulla croce: “E’ compiuto”, cioè avendo la coscienza di aver prodotto tutto ciò che era necessario per la salvezza e per la crescita spirituale degli uomini, e dopo essere asceso in Cielo, ha lasciato dei doni alla Chiesa, così come leggiamo nelle Scritture:

“Salito in alto…ha fatto dei doni agli uomini…Ed è Lui che ha dato gli uni, come apostoli; gli altri, come profeti; gli altri, come evangelisti; gli altri, come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministerio, per la edificazione del corpo di Cristo, finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliol di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo; affinché…seguitando verità in carità, noi cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo. Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore” (Efesini 4:8,11-16).

 

In assenza della persona fisica di Gesù, l’unico capace di trasmetterci e di vivere tutta la pienezza della verità, i ministri, di cui sopra, rappresentano il suo regalo alla Chiesa per poter garantire la continuità della sua presenza in mezzo noi.

Ciò significa che sarà il livello di maturità, o conoscenza del Figliolo di Dio, raggiunto da questi ministri a permetterci di godere delle benedizioni insite nella persona di Gesù. Più Cristo, e non la conoscenza letterale della Scrittura, vivrà nei ministri e più sarà palpabile la sua presenza in mezzo a noi. In caso contrario, in Chiesa si sentirà parlare di Lui, ma gli occhi dei presenti non lo vedranno.

Assistere in Chiesa a conversioni, battesimi nello Spirito Santo e guarigioni fisiche, significa toccare con mano il potere di Dio, significa rendersi conto che per Lui nulla è impossibile, significa entrare in contatto con la sua Onnipotenza e con la sua Gloria, ma non ha ancora nulla a che vedere con la conoscenza del Figliol di Dio, con la via per eccellenza che è l’amore: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi ” (Giovanni 15:12) ; “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri ” (Giovanni 13:35).

A questo riguardo consulta la mia meditazione: “Molti i chiamati, pochi gli eletti”.

 

Ma come si forma un ministro? Come si può raggiungere la piena conoscenza del Figliolo di Dio? Come si può arrivare a dire le stesse parole dell’apostolo Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e la vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figliol di Dio” (Galati 2:20)?

Nella Bibbia abbiamo numerosi esempi di come Dio abbia forgiato i suoi rappresentanti sulla terra. Quello che Dio ha fatto nelle vite di Mosè, Samuele, Giobbe, Isaia, Geremia, Daniele, Davide, ecc. può e deve essere ancora attuale, perché: “Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere; talché né colui che pianta né colui che annaffia sono alcun che, ma Iddio che fa crescere, è tutto” (1 Corinzi 3:6-8).

Il frutto dello Spirito si forma in noi tramite l’intervento diretto di Dio, come affermano le Scritture: “Figliol mio, non far poca stima della disciplina del Signore, e non ti perder d’animo quando sei da lui ripreso, perché il Signore corregge colui ch’Egli ama, e flagella ogni figliolo ch’Egli gradisce…Ogni disciplina sembra, è vero, per il presente non essere causa d’allegrezza, ma di tristezza; però rende poi un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati” (Ebrei 12:5-6,11).

 

E’ la disciplina diretta di Dio, quindi, dove Giobbe rappresenta forse il caso più eclatante, che ci porta alla conoscenza del suo Figliolo e non altre vie, come per esempio tutti i vari Corsi di discepolato e le Scuole bibliche, pur rimanendo strumenti utili, perché trasmettono solo conoscenza intellettuale e non sono in grado di renderti capace di amare praticamente. E ricordiamoci che:

“Per mezzo dell’amore (da attingere dal cuore di Gesù) servite gli uni gli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso” (Galati 5:13-14).

“Non abbiate altro debito con alcuno se non d’amarvi gli uni gli altri: perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non concupire e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: Ama il tuo prossimo come te stesso. L’amore non fa male alcuno al prossimo; l’amore, quindi, è l’adempimento della legge” (Romani 13:8-10).

 

Anche tutte le forme di legalismo, pratiche autoimpositive o sforzi umani volti a gradire Dio, sono destinati al fallimento e, oltre a ciò, ci tengono lontani dalla conoscenza del Figliol di Dio, come leggiamo nella Bibbia: “Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, come se viveste nel mondo, vi lasciate imporre dei precetti, quali: Non toccare, non assaggiare, non maneggiare (cose tutte destinate a perire con l’uso), secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose hanno, è vero, reputazione di sapienza per quel tanto che è in esse di culto volontario, di umiltà, e di austerità nel trattare il corpo; ma non hanno alcun valore e servono solo a soddisfare la carne” (Colossesi 2:20-23).

Cioè, l’amore non lo si può studiare in nessun libro, non lo si può imitare e non viene automaticamente prodotto in noi da un sacrificio volontario.

 

Ma un membro di Chiesa come può capire che l’amore è il punto culminante del percorso cristiano (la via per eccellenza di 1 Corinzi 12:31 ; 13:1-8 e il vertice della piramide spirituale di 2 Pietro 1:5-8) e come può imparare a viverlo nella propria vita?

Come ogni bambino appena nato ha bisogno prima di latte e poi di cibo solido (1 Corinzi 3:2 / Ebrei 5:12-14 / 1 Pietro 2:1-2) per essere in grado di discernere il bene dal male, cioè il comportamento carnale da quello spirituale, ovvero l’attitudine egocentrica da quella votata al servizio disinteressato verso chi lo circonda, oppure la necessità di soddisfare i propri bisogni da quella che porta benedizione al suo prossimo.

E chi gli può fornire questi alimenti, latte e cibo solido? Ce lo dice San Paolo nelle sue lettere prima citate: è il ministro. E, tra i ministeri elencati in Efesini 4:11, quello che più deve rimanere vicino al credente e accompagnarlo in tutto il suo percorso spirituale, è il PASTORE.

 

Qual è, quindi, la funzione del pastore? Ce lo dice indirettamente Ezechiele in una sua famosa invettiva: “Guai ai pastori di Israele, che non han fatto se non pascer se stessi! Non è forse il gregge quello che i pastori debbon pascere? Voi mangiate il latte, vi vestite della lana, ammazzate ciò che è ingrassato, ma non pascete il gregge. Voi non avete fortificato le pecore deboli, non avete fasciato quella che era ferita, non avete ricondotto la smarrita, non avete cercato la perduta, ma avete dominato su loro con violenza e con asprezza. Ed esse, per mancanza di pastore, si sono disperse, son diventate pasto a tutte le fiere dei campi, e si sono disperse…e non v’è alcuno che ne domandi, alcuno che le cerchi!” (Ezechiele 34:2-6).

Pascere il gregge non significa rivolgersi all’intera assemblea, come dirigendo una riunione dal pulpito in cui si presentano i principi generali della vita cristiana, ma significa occuparsi della singola pecora, analizzando la condizione della sua anima, così come farebbe un medico relativamente al corpo di un suo assistito. Un medico, infatti, dà direttive di massa solo in presenza di epidemie, a cui tutti possono essere esposti, o in caso di prevenzione generalizzata da patologie ricorrenti. Non può, però, esimersi dal prendere in esame i sintomi dei singoli pazienti quando si presentano nel suo ambulatorio e dal prescrivere test clinici di approfondimento per avere un quadro chiaro della situazione e poter dare in questo modo i farmaci adeguati al ristabilimento della loro salute.

 

E il pastore chi è? E’ un teorizzatore dal pulpito di come dovrebbe vivere un credente, di quello che dovrebbe fare Dio se lo onoriamo con la nostra fede, o un medico dell’anima che analizza in profondità lo stato di salute di quella singola realtà interiore?

Un pastore, quindi, dovrebbe conoscere, così come un buon medico conosce le patologie che possono colpire il corpo umano, le malattie dell’anima, prodotte dal peccato e dal demonio, e porvi rimedio utilizzando la terapia adeguata.

Chi andrebbe da un medico che per ogni sintomo ci prescrive un’aspirina? E chi andrebbe da un pastore che per affrontare le nostre svariate difficoltà e sofferenze non ci sa dire altro che: “Abbi fede e vedrai che Dio opererà”? Dov’è la differenza tra quel medico e questo pastore? Nessuna!

Per approfondire, anche se non in maniera del tutto esaustiva, il concetto delle malattie dell’anima, consulta le altre pagine di questo sito.

 

Ma come può un pastore occuparsi delle singole anime, se la Chiesa supera le 100 unità? Ha il tempo materiale per farlo? In questo caso non siamo più in presenza di un pastore, ma di un manager d’azienda, l’azienda Chiesa, e il ministero, a mio avviso, viene snaturato, viene umanizzato.

Oggi c’è la tendenza a voler dirigere una mega-chiesa, perché la quantità ci fa credere di essere ministri di successo, ministri che hanno qualche cosa in più rispetto agli altri, ministri che sono speciali agli occhi di Dio. E tutto ciò a discapito della qualità della congregazione, perché non è possibile prendersi cura adeguatamente di ciascuna pecora che compone il gregge.

Certo, una Chiesa di grosse proporzioni avrà una struttura interna piramidale, dove al vertice ci sarà il pastore senior e man mano che si scende si troveranno dei collaboratori di spessore decrescente, fino ad arrivare al gruppo familiare, cioè dove ci sono le pecore da alimentare e da curare, guidato normalmente da un membro volonteroso, sicuramente anche valido, ma non certo con la qualità spirituale del ministro scelto da Dio per quel compito: “Simon di Giovanni, mi ami tu?...Pasci le mie pecore” (Giovanni 21:17).

 

In questo modo il pastore può correre il rischio di concentrarsi più sul buon funzionamento della struttura Chiesa che sullo stato di salute delle anime.

Il vertice, che dovrebbe rappresentare la maturità, la conoscenza, la qualità del servizio, l’amore da elargire, si viene a trovare lontano dalla base, lontano dalle pecore che Dio gli ha affidato. Mentre Gesù, riferendosi al buon pastore, dice: “Le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome (cioè, le conosce singolarmente nel loro intimo) e le mena fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce…Il buon pastore mette la sua vita per le pecore (e non per la struttura Chiesa)”…(Giovanni 10:3-4,11).

Forse, il modo migliore per onorare il mandato di Gesù rivolto a Pietro in Giovanni 21:17, è quello di avere piccole Chiese guidate da veri pastori in collegamento tra loro.

E il buon pastore è colui che ama le sue pecore, che le conosce una per una, che si occupa personalmente della debole, che prende la benda e fascia quella ferita, che cerca direttamente quella smarrita e confusa, che cerca sapienza per occuparsene al meglio, attingendo al cuore di Gesù e alla letteratura esistente su questa materia spirituale.

Il pastore non è un predicatore e nemmeno un manager, ma è quel ministro che più deve rappresentare sulla terra il caldo amore di Gesù: “Simon di Giovanni, mi ami tu? Pasci le mie pecore” (Giovanni 21:17).