NON  GIUDICARE

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana Ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

 

Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate con giusto giudizio” (Giovanni 7:24).

Questo versetto ci permette di sfatare un luogo comune, entrato ormai nello schema mentale del buon cristiano, e cioè quello che un credente ripieno di Spirito Santo non deve permettersi di giudicare un fratello in fede, ma nemmeno gli esterni alla chiesa, perché violerebbe un principio di santità espresso da Gesù.

E siccome molti hanno la necessità di evitare qualsiasi forma di critica e di apparire apprezzabili e degni di lode agli occhi di chi li osserva, si vive, in larghi strati del popolo di Dio, in una evidente ipocrisia e superficialità.

Per ipocrisia spirituale intendo quello stile di vita che si propone di creare in chi osserva il convincimento di essere persone radicate fermamente sui principi biblici, di cui si dà ampia dimostrazione esibendo conoscenza scritturale, e contraddistinte da una realtà di benedizione divina quasi permanente e ovvia, in contrasto però con i veri pensieri e sentimenti che riempiono mente e cuore.

Per superficialità spirituale intendo la tendenza a ripetere meccanicamente concetti comportamentali, avvallati dalle Scritture, senza averli compresi. Per esempio:

Allora s'accostarono a Gesù dei Farisei e degli scribi venuti da Gerusalemme, e gli dissero: Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? poiché non si lavano le mani quando prendono cibo. Ma egli rispose loro: E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione?...E chiamata a sé la moltitudine, disse loro: Ascoltate e intendete. Non è quel che entra nella bocca che contamina l'uomo; ma quel che esce dalla bocca, ecco quel che contamina l'uomo...Non capite voi che tutto quello che entra nella bocca va nel ventre ed è gettato fuori nella latrina? Ma quel che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l'uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adulteri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste son le cose che contaminano l'uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l'uomo” (Matteo 15:1-3,10-11,17-20).

 

Ma nel momento in cui noi, per dimostrarci persone spirituali e vicine a Dio, a chi onestamente esprime il suo stato di sofferenza e di perplessità per quanto il Signore stia permettendo nella sua vita rispondiamo con parole formalmente tratte dalla Scrittura:

 Se hai fede quanto un granel di senapa, potrai dire a questo monte: Passa di qua là, e passerà; e niente ti sarà impossibile” (Matteo 17:20), oppure: “Rallegrati del continuo nel Signore. Da capo dico: Rallegrati” (Filippesi 4:4), o ancora: “Il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23),

è come se dicessimo (giudizio) a quel fratello o a quella sorella che sta dimostrando mancanza di fede o di riconoscenza a Dio, concentrandosi più sui suoi bisogni carnali che sulla grandezza della salvezza ricevuta in Cristo o, peggio ancora, di essere afflitto e non benedetto dal Signore a causa di un peccato non confessato e ripetuto volontariamente.

 

Stiamo, cioè, dicendo a quel fratello o a quella sorella che è colpa sua (condanna) se si trova in quella condizione e che il castigo, rappresentato dalla sofferenza percepita o dalla mancanza di felicità, è il giusto compenso al suo comportamento sbagliato.

 

Usiamo la Parola, dimostrando al tempo stesso di conoscerla così come deve essere per un buon cristiano, non per dare vita: “In verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24), ma per schiacciare sotto il peso della colpa e dell’indegnità comportamentale: “La nostra capacità viene da Dio, che ci ha anche resi capaci di essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di spirito; perché la lettera uccide, ma lo spirito vivifica” (2 Corinzi 3:6).

Infatti, se non impregnata di misericordia e della vera motivazione per cui ci è stata data, e cioè la salvezza e la guarigione delle nostre anime: “E se sapeste che cosa significhi: Voglio misericordia e non sacrifizio, voi non avreste condannato gli innocenti” (Matteo 12:7), “Infatti Iddio non ha mandato il suo Figliolo [la Parola fatta carne] per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17), la Parola diventa un’arma mortale perché ci inchioda alla nostra incapacità di applicarla, sia per chi la propone come obbligo legale, al di fuori di ogni motivazione creata dall’amore, che per chi la deve far propria come atto formale per soddisfare il legislatore.

E questo ci viene confermato nella lettera ai Romani: “Noi sappiamo infatti che la legge è spirituale; ma io son carnale, venduto schiavo al peccato. Perché io non approvo quello che faccio; poiché non faccio quel che voglio, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio quello che non voglio, io ammetto che la legge è buona; e allora non son più io che lo faccio; ma è il peccato che abita in me...Poiché io mi diletto nella legge di Dio, secondo l'uomo interno; ma veggo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente, e mi rende prigione della legge del peccato che è nelle mie membra. Misero me uomo! Chi mi trarrà da questo corpo di morte?” (Romani 7:14-17,22-24).

 

La dimostrazione di conoscenza dottrinale, o l'uso della Parola per toglierci dall'imbarazzo di dover dare una risposta che ci esponga alla critica quando siamo sollecitati da un nostro fratello a prendere posizione, si rivela un giogo insostenibile per lui e una autocondanna per noi: “Perciò, o uomo, chiunque tu sii che giudichi [o che fai notare cosa bisogna fare seconda la Scrittura], sei inescusabile; poiché nel giudicare gli altri, tu condanni te stesso; perché tu che giudichi fai le medesime cose” (Romani 2:1).

Se avessimo solo un po' dell'amore di Gesù per il nostro prossimo, prima di concentrarci sulla risposta da dare per non rivelare impreparazione o ignoranza spirituale e prima ancora di cercare la soluzione da offrire per non trovarci in una lacuna scritturale che minerebbe alla base le nostre certezze, cercheremmo di ascoltare il nostro interlocutore per dargli la possibilità di scaricare il peso che ha sul cuore e capire meglio così la realtà della sua inquietudine, retroscena inclusi.

Solo dopo, appoggiandoci soprattutto sulla sapienza di Gesù, potremo prospettargli le ragioni per cui il Signore può aver permesso quelle circostanze nella sua vita o indicargli un percorso per affrontare e vincere quegli impedimenti che tendono a tenerlo lontano da Dio.