IL PROBLEMA DELLA SOFFERENZA NEI FIGLI DI DIO

 

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

Malgrado il trionfalismo dilagante nelle teologie moderne, che prende sempre più piede nei convegni a cui assistiamo nel nostro paese, i cristiani continuano a soffrire e spesso a lasciare le comunità in cui erano “nati di nuovo” ed avevano aperto il cuore e la mente alla visione di prospettive più che ottimistiche sul loro futuro terreno come Figli di Dio.

 

1. LA PAURA DI SENTIRSI PERPLESSI NEI CONFRONTI DI DIO

Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma  non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi” (2 Corinzi 4:8-9).             

Secondo il dizionario Nuovo Zingarelli, perplesso significa: Incerto, titubante, irresoluto, (o indeciso).

Il grande apostolo Paolo, quindi, in un certo momento della sua esistenza si è sentito incerto, insicuro nei confronti di Dio. Non era facile neanche per lui capire perché il Signore permettesse certe situazioni nella sua vita (2 Corinzi 11:22-29), perché non rispondesse alle sue preghiere (2 Corinzi 12:8), perché lasciasse il male trionfare, perché non manifestasse tutta quella pietà e misericordia di cui dice di avere pieno il cuore nei confronti dell’uomo. Sente così il bisogno di esprimere  quel suo stato d’animo, nel versetto sopra citato, anche se non ci comunica tanti di quei dettagli che lo hanno portato a percepire quel sentimento.

Anche Gesù, la persona più vicina al cuore di Dio, ma nello stesso tempo simile alla natura dell’uomo e quindi capace di comprenderne le reazioni, di fronte alla croce si sente “oppresso da tristezza mortale” e chiede al Padre di liberarlo da quella morte terribile: “Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice!” (Marco 14:36). Nell’uomo Gesù c’è il rifiuto per quello che dovrà accadergli di lì a poco; in Lui si è scatenato un conflitto talmente forte tra il desiderio di  servire Dio e l’inaccettabilità  umana del suo piano, da portarlo a sudare gocce di sangue.

Sulla croce poi griderà: “Padre, perché mi hai abbandonato?  Cioè, Padre perché hai permesso questa sofferenza nella mia vita?  Perché non mi hai protetto? Perché hai permesso al maligno di arrivare fino a tanto? Perché sei rimasto a guardare, seduto sul tuo trono di  Sovrano assoluto su tutte le creature dell’universo, senza muovere un dito? Perché non hai avuto compassione della mia condizione? Era  perplesso e lo ha espresso.

 

La Bibbia non ci  nasconde queste realtà, non ci mostra un Gesù che canta inni di lode nel momento della sua massima sofferenza, o che dice come Giobbe: “Ho accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuterò di accettare il male?” (Giobbe 2:10), manifestando così una fede spettacolare, inamovibile, inattaccabile e a prova di qualsiasi tribolazione, ma  ci  presenta  un  Gesù umano che dice parole che avremmo detto anche noi, un Gesù perplesso, che si interroga, che  percepisce un Dio assente e  insensibile di fronte a  quanto sta subendo, un Gesù talmente simile a noi da poterci identificare in Lui e da sentirlo più che mai  vicino, percependolo come uno di noi.

E se Gesù ha avuto la libertà di  esprimere  ciò  che opprimeva il suo cuore in quei momenti terribili, non potremmo farlo anche noi? Perché dovremmo confinare tutto nell’inconscio e tappare con un pesante  coperchio i nostri  sentimenti? Perché  dovremmo  fingere o metterci una maschera  di  spiritualità? Perché non potremmo essere noi stessi? Perché non potremmo gridare a Dio la nostra amarezza e delusione?

 

Davide, l’uomo che il Signore si era cercato secondo il suo cuore (1 Samuele 13:14), che era stato scelto per rappresentare nel migliore dei modi Dio nell’esercizio del suo potere nei confronti del suo popolo e che era nel  centro del  proponimento dell’Eterno, ha  espresso in diversi suoi  salmi l’amarezza della sua anima e la profonda delusione per l’atteggiamento indifferente e insensibile del suo Padre celeste.

Passiamo in rassegna alcuni dei suoi salmi:

Fino a quando, o Signore, mi dimenticherai? Sarà forse per sempre? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando avrò l’ansia nell’anima e l’affanno nel cuore tutto il giorno? Fino a quando s’innalzerà il nemico su di me? Guarda, rispondimi, o Signore, mio Dio!” (Salmo 13:1-3).

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito! Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione” (Salmo 22:1-2).

Porgi l’orecchio alla mia preghiera, o Dio, non essere insensibile alla mia supplica. Dammi ascolto, e rispondimi; mi lamento senza posa e gemo, per la voce del nemico, per l’oppressione dell’empio; poiché riversano iniquità su di me e mi perseguitano con furorePaura e tremito m’invadono, e sono preso dal panico; e io dico: Oh, avessi ali come di colomba, per volar via e trovare riposo! Ecco, fuggirei lontano, andrei  ad  abitare nel  deserto; m’affretterei a  ripararmi dal  vento  impetuoso e dalla tempestaLa sera, la   

mattina e a mezzogiorno mi lamenterò e gemerò, ed egli udrà la mia voce” (Salmo 55:1-3,5-8,17). “Salvami, o Dio, perché  le  acque mi  sono  penetrate fino all’anima. Sprofondo in un pantano senza trovar sostegno; sono  scivolato in acque profonde, e  la corrente mi travolge. Sono stanco di gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si spengono nell’attesa del mio Dio” (Salmo 69:1-3).

 

Altri salmi, scritti dai figli di Core, esprimono gli stessi concetti:

L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente; quando verrò e comparirò in presenza di Dio? Le mie lacrime sono diventate il mio cibo giorno e notte, mentre mi dicono continuamente: Dov’è il tuo Dio?… Dirò a Dio, mio difensore: Perché mi hai dimenticato? Perché devo andare vestito a lutto per l’oppressione del nemico? Le mie ossa sono trafitte dagli insulti dei miei nemici che mi dicono continuamente: Dov’è il tuo Dio? Perché ti abbatti anima mia? Perché ti agiti in me?” (Salmo 42:2-3,9-11).

In Dio ci glorieremo ogni giorno, e celebreremo il tuo nome in eterno. Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna e non marci più alla testa dei nostri esercitiCi hai svenduti come pecore destinate al macello, ci hai dispersi tra le nazioni. Tu vendi il tuo popolo per pochi soldiCi hai esposti al disprezzo dei nostri vicini, alle beffe e allo scherno di chi ci sta intornoTutto questo ci è avvenuto, eppure non ti abbiamo dimenticato e non siamo stati infedeli al tuo patto. Il nostro cuore non si è rivolto indietro, i nostri passi non si sono sviati dalla tua via, ma tu ci hai frantumati cacciandoci in dimore da sciacalli, e hai steso su di noi l’ombra della mortePer causa tua siamo ogni giorno messi a morte, considerati come pecore da macello. Risvegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto e ignori la  nostra afflizione e la nostra oppressione?” (Salmo 44:8-9,11-13,17-19,22-24). Perché, Signore, respingi l’anima mia? Perché mi nascondi il tuo volto? Io sono afflitto e agonizzante fin dalla mia gioventù; io porto il peso dei tuoi  terrori e sono smarrito. Il tuo sdegno mi travolge, i tuoi terrori    

m’annientano…le tenebre sono la mia compagnia” (Salmo 88:1-3,6-9,14-16,18).

 

Davide e i figli di Core si sono sentiti dimenticati da Dio e lo hanno  percepito insensibile di fronte alle loro suppliche, non hanno compreso la ragione di questa sua durezza imprevedibile e impensabile, che ha scosso le loro certezze e la loro fede, in netto  contrasto con  quanto  Lui dice di se stesso nelle Sacre Scritture e del tutto sorprendente, considerando il loro atteggiamento di fedeltà e ubbidienza alle leggi divine.

I loro salmi possono essere di consolazione per chi sta vivendo situazioni similari, per chi si sente bersagliato da Dio senza una ragione logica, per chi lo percepisce quasi come un nemico e non più un Padre amante e tenero come aveva sperimentato nel passato, per chi non riceve risposta alle sue suppliche e alle sue lacrime e si trova, così, ad affrontare la realtà impensabile di un Dio insensibile, duro, privo di una pur semplice parvenza di misericordia e quasi spietato. Ma questa consolazione, che deriva dal non sentirsi delle bestie rare per quanto ci sta succedendo e dalla vittoria che comunque Davide e i figli di Core hanno sperimentato alla fine delle loro tribolazioni, è resa possibile solo perché questi personaggi hanno avuto la libertà di esprimere la realtà del loro cuore, senza paura e senza ipocrisia. Perché, allora, dovremmo noi mascherarci da “super-spirituali” e negare l’amarezza e la delusione presenti in noi? Perché dovremmo temere di vedere certi sentimenti creatisi in noi in seguito a situazioni drammatiche o, comunque, pesanti da sopportare? Perché dovremmo farci vedere sempre sorridenti e incrollabili nella fede in Dio, malgrado le vicissitudini che stiamo affrontando? Perché non potremmo esprimere la nostra difficoltà  nel  vedere l’amore  del  Signore per noi, di cui tanto abbiamo bisogno, nelle circostanze dolorose che Lui sta permettendo nella nostra vita?

 

La bibbia ci presenta altri casi analoghi:

Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita. E cominciò a parlare così: Perisca il giorno che io nacqui e la notte in cui si disse: E’ stato concepito un maschio! Quel giorno si converta in tenebre, non se ne curi Dio dall’alto, né splenda su di esso la luce!… Perché non morii fin dal seno di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo grembo? Perché trovai delle ginocchia per ricevermi e delle mammelle da poppare? Ora giacerei tranquillo, dormirei, e avrei così riposo…Perché dare la luce all’infelice e la vita a chi ha l’anima nell’amarezza?…Perché dar vita a un uomo la cui vita è oscura, e che Dio ha stretto in un cerchio? Io sospiro anche quando prendo il mio cibo, e i miei gemiti si spargono come acqua…Non trovo  riposo, né  tranquillità, né  pace, il  tormento è  continuo!” (Giobbe 3:1-4,11-13,20,23-24,26).

Io  sono  l’uomo (Geremia) che  ha  visto  l’afflizione sotto la verga  del  suo  furore. Egli (il Signore) mi ha condotto, mi ha fatto camminare nelle tenebre e non nella luce. Sì, contro di me volge la sua mano tutto il giorno. Egli ha consumato la mia carne e la mia pelle, ha spezzato le mie ossaMi ha circondato di un muro, perché non esca; mi ha caricato di pesanti catene. Anche  quando grido e chiamo aiuto, egli chiude l’accesso alla mia preghieraMi ha squarciato, mi ha reso desolatoEgli mi ha saziato di amarezzaTu mi  hai allontanato dalla pace, io  ho dimenticato il  benessere. Io ho detto: E’ sparita la mia fiducia, non ho

più speranza nel Signore!(Lamentazioni 3:1-4,7-8,11,15,17-18).

 

La Bibbia non ci tiene nascoste le reazioni in netto contrasto con il piano di Dio di questi personaggi, che sono delle colonne portanti nella storia del popolo eletto, e ce le trasmette perché ne prendiamo coscienza e le consideriamo come una realtà possibile nel cammino di ogni singolo cristiano. La porta dell’accettazione della volontà di Dio è stretta e può portarci a reagire con violenza e disperazione di fronte a situazioni che la nostra ragione rifiuta, primo perché non vuole pensare che possano provenire da un Padre amante, non volendo affrontare in questo modo la cocente delusione che ne conseguirebbe, e secondo perché non vuole credere che la  sofferenza sia parte integrante della nostra vita  in  Cristo, un mezzo che Dio utilizza in continuazione per insegnarci le sue verità.

Giobbe, che aveva solo sentito parlare di Dio, ha potuto dire di averlo visto (Giobbe 42:5), cioè conosciuto profondamente, solamente dopo essere  stato  oggetto  di prove tremende: la perdita dei figli, delle sue proprietà e della salute fisica. Tutto questo lo aveva fatto affondare in una cupa depressione, determinata dalla sorpresa di percepire un Dio persecutore e non più protettore, dalla solitudine dovuta all’incomprensione di chi lo circondava e dalla sofferenza fisica torturatrice  nella sua continuità, giorno dopo giorno. Questa situazione lo aveva riempito di  amarezza e lo sfogo violento che ne è seguito non è altro che la sua logica conseguenza.

La Bibbia, però, non ci presenta un Dio adirato con questi suoi figlioli perché hanno osato esprimere un rifiuto e altrettanta rabbia per quello che Lui stava permettendo nella loro vita, né una condanna esplicita e inderogabile. Non descrive la delusione di Dio perché i suoi figlioli non hanno compreso e apprezzato i suoi sforzi per renderli partecipi delle ricchezze del Cielo, ma ci vuol dire di non avere paura di fare la stessa cosa, cioè di cadere nelle stesse reazioni, perché sono alquanto normali e del tutto comprensibili in un essere umano sottoposto a disciplina.  Dio non ha abbandonato questi suoi figli, ma è intervenuto, nel momento da Lui  ritenuto opportuno, per risollevarli e aiutarli a  riprendere il cammino. E così farà anche con noi, non dubitiamo!