QUANDO DIO TI PORTA AL DESERTO

 Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

 E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 Il deserto è un luogo secco, arido, disabitato, una valle profonda piena di ossa secche. E’ un luogo dove Dio ci separa da ogni possibile speranza, da ogni illusione, da ogni certezza, da ogni schema mentale, tranne che da Lui. E’ il luogo dove Lui ci spoglia fino a lasciarci con lo scheletro nudo, dove il cielo sembra una cappa grigia impenetrabile. E’ il luogo della rottura interiore.

 

Vediamo adesso nel dettaglio alcune ragioni per cui Dio ci porta nel deserto. A tale scopo utilizziamo il racconto relativo all’esodo del popolo ebreo dalla terra della schiavitù, l’Egitto, alla terra promessa, Canaan.

 

1) Per provare quello che c’è nel nostro cuore, per mettere a nudo le nostre motivazioni.

“Ricordati di tutto il cammino che il Signore, il tuo Dio, ti ha fatto fare in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore” (Deuteronomio 8:2) ; “Quando i capi di Babilonia gli inviarono (a Ezechia) dei messaggeri per informarsi del prodigio (guarigione miracolosa) che era avvenuto nel paese, Dio lo abbandonò , per metterlo alla prova e conoscere tutto quello che egli aveva in cuore” (2 Cronache 32:31).

 

Vediamo le reazioni di Israele nelle varie situazioni create da Dio nel deserto:

 

- Canto trionfale (Esodo 15).

Dio libera il suo popolo dalla minaccia incombente del Faraone, richiudendo il mar Rosso sul suo esercito che stava inseguendo gli Ebrei per riportarli schiavi in Egitto. La paura è passata, la gioia invade i loro cuori: non saranno mai più sotto il giogo degli Egiziani! Sono felici, Dio ha risposto finalmente alle loro richieste incessanti per fare ritorno al loro paese, alle loro case, alla loro dignità. Vedono la potenza del Signore schierata dalla loro parte, si sentono forti e pensano che nessun altro tipo di ostacolo potrà interporsi alle loro aspirazioni di libertà.

Ma non tutte le forme di libertà a cui l’essere umano tende sono buone per Dio, come afferma l’apostolo Paolo: “Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate  della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell’amore servite gli uni gli altri” (Galati 5:13). Dio lo sa e da questo momento in avanti lavorerà per purificare il suo popolo da tutte quelle tendenze peccaminose di cui è pieno il nostro cuore.

 

- Mormorii alle acque di Mara.

Sono tre giorni che non bevono e quando giungono a Mara non possono bere quelle acque perché amare (Esodo 15:22-24 ; 17:1-7). Sono preoccupati e anche un po’ perplessi. Cosa sta succedendo? Dov’è il Dio che ha aperto pochi giorni prima il mar Rosso? Non li lascerà senza acqua? Come potrebbero vivere in quelle condizioni? Allora mormorano contro Mosè e gli dicono: “Che berremo?” Il bisogno umano di acqua si fa sentire, diventa impellente, è quasi irrefrenabile. L’acqua in questo caso rappresenta più in generale i bisogni della carne, bisogni che Dio non vuole soddisfare, ma mortificare per sostituirli con quelli dello Spirito. Dice, infatti, rispondendo alle grida del suo popolo: “Se tu ascolti attentamente la voce del Signore che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi l’orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutte le sue leggi , io non ti infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce” (Esodo 15:26). Dio incomincia a far capire che c’è una relazione tra la disubbidienza ai suoi precetti, sia cosciente che inconscia, e la malattia, naturalmente non solo del corpo ma soprattutto dell’anima: “Tutto il capo (il modo di pensare, la giustizia propria) è malato, tutto il cuore (le emozioni) è languente. Dalla pianta del piede fino alla testa non c’è nulla di sano in esso: non ci sono che ferite, contusioni, piaghe aperte, che non sono state ripulite, né fasciate, né lenite con olio” (Isaia 1:6) e ancora “Confessate i vostri peccati gli uni gli altri, pregate gli uni per gli altri affinché siate guariti” (Giacomo 5:16). Dio, quindi, sta annunciando che vuole intraprendere un’azione di guarigione del cuore umano per renderlo simile a Gesù, il Messia che verrà, e per renderlo atto per il regno dei Cieli.

 

- Mormorii per la fame

Dopo la sete arriva la fame (Esodo 16:1-3). Se la sete rappresenta i desideri della carne, la fame esprime il bisogno di soddisfarli. Dio promette, in quel luogo arido dove non cresce nulla, di far piovere dal cielo la manna, il pane di cui dovranno alimentarsi finché saranno nel deserto. Gli Ebrei aspirano al cibo carnale di cui si alimentavano in Egitto e ne hanno nostalgia, mentre Dio vuole che il suo popolo conosca un nuovo alimento che soddisferà la fame della loro anima e porterà benedizione intorno a loro: la Sua Parola, la Sua Volontà, cioè il pane che viene dal Cielo.

 

- Rifiuto dell’autorità di Mosè

Dio sceglie Mosè per essere lo strumento che libererà il suo popolo dalla schiavitù e che lo guiderà alla terra di Canaan: “Ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei…Or dunque va’; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall’Egitto il mio popolo, i figli d’Israele” (Esodo 3:7-10) ; “Dio disse a Mosè: Dirai così ai figli d’Israele: l’IO SONO mi ha mandato da voi…Il Dio dei vostri padri, il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe mi ha mandato da voi” (Esodo 3:14-15).

Mosè è chiamato a fare da mediatore tra Dio e il suo popolo (figura di Gesù Cristo) ed ha l’incarico di impartire quegli ordini che il Signore gli trasmette. Ma così come successe ad Adamo, anche il popolo d’Israele preferisce stabilire con proprio giudizio ciò che è buono per la sua vita e perciò disubbidisce, rifiutando l’autorità di chi è stato scelto dall’Eterno per guidarli (Esodo 16:19-20,26-28).

L’anarchia, l’autonomia e l’individualismo sono ormai radicati nel cuore dell’uomo e serve un intervento divino per riaffermare la sua autorità, l’unica capace di produrre armonia ed equilibrio nell’universo.

 

- Idolatria

Mosè è da 40 giorni sul Sinai. Non si sa che fine abbia fatto e Dio tace (Esodo 32:1-8). Com’è difficile vivere per fede! Bisogna credere e restare ancorati ad una promessa ricevuta, anche quando tutto sembra confermare il contrario. La cosa importante è sapere chi ha formulato quel certo patto e considerare la sua dirittura morale.

Dio si autodefinisce benigno, e quindi fedele, fino alla millesima generazione e per questa ragione ci dà nella lettera agli Ebrei la seguente definizione di fede: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono…Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi s’accosta a Dio deve credere ch’Egli è, e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano” (Ebrei 11:1,6).

Vivere per fede significa non poter pianificare la propria vita e lasciare che un altro determini le mete e i momenti per portarle a realizzazione: “Per fede Abramo, essendo chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo ch’egli aveva da ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava” (Ebrei 11:8). Significa anche rinunciare alle proprie aspirazioni, alle cose più care, al fondamento su cui si è costruita la propria vita terrena e lasciare che un altro stabilisca ciò che è importante, essenziale, prioritario per te: “Per fede Abramo, quando fu provato, offerse Isacco; ed egli, che aveva ricevuto le promesse, offerse il suo unigenito: egli, a cui era stato detto: E’ in Isacco che ti sarà chiamata una progenie, ritenendo che Dio è potente anche da far risuscitare dai morti; ond’è che lo riebbe per una specie di risurrezione” (Ebrei 11:17-19).

 

Significa ritenere per certa una nuova scala di valori, assolutamente migliore di quelli che il mondo ci offre e ci spinge a ricercare: “Per fede Mosè, divenuto grande, rifiutò d’esser chiamato figliolo della figliola di Faraone, scegliendo piuttosto d’esser maltrattato col popolo di Dio, che di godere per breve tempo i piaceri del peccato; stimando egli il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché riguardava alla rimunerazione” (Ebrei 11:24-26). Significa non considerare la propria esistenza come il bene più prezioso e rinunciare a difenderla pur di non perdere la presenza di Colui che ci ha promesso una eternità felice accanto a Lui nei Cieli: “Altri furono martirizzati non avendo accettata la loro liberazione affin di ottenere una risurrezione migliore; altri patirono scherni e flagelli, e anche catene e prigione. Furono lapidati, furon segati, furono uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati, vaganti per deserti e monti e spelonche e per le grotte della terra” (Ebrei 11:35-38).

Per noi umani questo stile di vita è contro natura e tendiamo ad aggrapparci a qualcosa di tangibile, di concreto, di visibile, di immediato. Qualcosa che ci risvegli sensazioni  e sentimenti e appaghi all’istante la nostra sete di sentirci vivi e di avere un certo valore ai nostri occhi e a quelli di chi ci circonda. Non ci piace vivere sospesi nel vuoto, aspettando che Dio, anche se dall’alto della sua sapienza e misericordia, si decida a intervenire nelle nostre vite per portare a compimento dei progetti che soddisfano la sua natura, ma non immediatamente la nostra. Non ci meraviglia, quindi, se gli Ebrei in quella circostanza si sono dati all’idolatria, preferendo l’inconsistenza, la vanità di un vitello d’oro, però tangibile, alle promesse del Signore, certamente non dubitabili, ma non ottenibili rapidamente  e soprattutto non raggiungibili in tempi programmabili dall’uomo, quindi frustranti per il bisogno immediato di percezione da parte dell’essere umano.

 

- Mormorii contro l’Eterno

Dopo la sete, la fame e tanto deserto, senza una prospettiva chiara di ritorno ad una vita normale, considerata dal punto di vista umano, nasce la rabbia e la protesta contro chi ha creato questa situazione: Dio (Numeri 11:1-3). La sofferenza del momento presente, anche se non tremenda ma continua nel tempo, fa dimenticare il peso della gloria eterna a cui siamo chiamati e porta ad invocare un po’ di refrigerio, una pausa di serenità e il bisogno di percepire qualche soddisfazione di natura terrena. Questa reazione è abbastanza normale in una persona provata, ma diventa un grosso problema quando prosegue e si amplifica in un rifiuto dei metodi e della persona di Dio. La fede, frutto dello Spirito, deve portarci a credere che “ogni cosa coopera al bene per quelli che amano il Signore” (Romani 8:28).

 

- Sono stanchi di manna, vogliono carne

Anche il cibo più succulento, quello, cioè, che ci fa venire l’acquolina in bocca solo al pensiero di vedercelo servire, se dovesse diventare il nostro piatto quotidiano, ci verrebbe a noia nel giro di pochi giorni. Non poteva succedere diversamente al popolo d’Israele con la manna, anche se era l’alimento scelto da Dio per poter sopravvivere in quel deserto.

La manna rappresenta la Parola di Dio, il cibo che viene dal Cielo e di cui dobbiamo alimentarci tutti i giorni per rimanere in comunione con Lui, per poter perseverare fino alla fine e ricevere la corona della vita. Il premio è grande, ma ottenerlo richiede il pagamento di un alto prezzo: la rinuncia alle proprie tendenze, mete, voglie, passioni umane.

Gli Ebrei, dopo aver accettato di buon grado la manna, perché erano senza cibo e temevano di morire di fame, sono nauseati e sognano di tornare alle mense d’Egitto, anche se in quel luogo erano schiavi ( Numeri 11:4-6). Ubbidire al Signore tutti i giorni, seguendo le sue indicazioni e rifiutando, o mortificando, sistematicamente gli stimoli umani, carnali, ci crea una certa stanchezza e insofferenza, che si concretizzano nell’allentamento della resistenza alla tentazione e ci riportano alla vecchia vita, però anche ai problemi e alle sofferenze che essa comporta. Se non fosse per lo Spirito di Gesù che abita dentro di noi e a cui dobbiamo attingere per libera scelta, difficilmente faremmo della Parola di Dio il nostro schema di vita e il nostro cibo quotidiano.

 

Mormorii contro Mosè

L’incapacità di sottostare ad un’autorità evidenzia l’autosufficienza dell’uomo, il suo individualismo e, quindi, la sua volontà di autodeterminarsi il suo destino decidendo autonomamente ciò che è buono per la sua vita. Dio, non governando direttamente sulla terra e suoi abitanti, sceglie delle persone, i suoi ministri, che lo rappresentino e a cui Lui dà intendimento per comprendere e far applicare la sua volontà.

L’insofferenza all’ubbidienza si manifesta ancora una volta e Mosè viene messo in discussione (Numeri 12:1-2 ; 16:1-3). Certo, anche lui è un uomo e ha commesso e commette degli errori, ma chi deve giudicarlo è Dio e solo Lui può rimuoverlo da quella posizione di autorità che gli è stata concessa. Rifiutando Mosè, non riconoscendolo come intermediario tra l’Eterno e il suo popolo, gli Ebrei rifiutano la stessa sovranità di Dio e vogliono decidere autonomamente da chi farsi eventualmente governare e a chi sottostare. In verità l’uomo decaduto vuole ubbidire solo a se stesso e dipendere unicamente dai propri istinti, vivendo in una realtà totalmente egoistica dove mancano le basi per una convivenza pacifica e per una ricerca del bene comune.

 

- Mormorii per la sete

Manca ancora l’acqua e il popolo si scaglia nuovamente contro Mosè (Numeri 20:1-5). Quanto avvenuto alle acque di Mara è già stato dimenticato. Una cosa è credere nei riti propiziatori verso la divinità, nei metodi e nei rituali sviluppati dalla fantasia e dalla convinzione dell’uomo, che lo portano a pensare che il suo sforzo possa avvicinare e impietosire Dio, un’altra cosa è credere alle promesse dello stesso Dio, che, gratuitamente e per un atto di sovrana iniziativa senza richiesta di contropartite, manifesta la sua intenzione di intervenire a favore dell’essere umano.

E l’Eterno, ancora una volta, si manifesta fedele ai suoi impegni presi nei confronti del suo popolo e fornisce miracolosamente l’acqua per dissetare tutta quella gente. Lo fa in un modo del tutto irrazionale, ordinando al suo servo Mosè di parlare ad una roccia (Numeri 20:7-8) che avrebbe dato acqua in abbondanza per tutta la radunanza e per tutto il bestiame, così come già era avvenuto alla roccia di Horeb (Esodo 17:1-7) percuotendola con il suo bastone.

La fede deve vincere sulla ragione e portarci a credere nell’integrità di Dio anche quando tutto lascia pensare il contrario. La fede si basa sulla realtà dei sentimenti presenti nel cuore di Dio e non sulle circostanze o condizioni ambientali più o meno favorevoli valutate dalla mente umana. Dio vuole che noi distogliamo lo sguardo dalla realtà terrena che stiamo attraversando (Gesù in croce disse: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”) per concentrarci, riposare e rilassarci, tramite lo Spirito Santo, sulla convinzione della bontà e giustizia che caratterizzano e ispirano il suo cuore (Gesù poco dopo disse: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”).

 

- Mormorii contro Dio: i serpenti

L’impazienza, la fretta di ottenere quanto agognato, il desiderio di riposo dai conflitti e dalle contrarietà della vita, l’insofferenza per dover sottostare ad un Dio il più delle volte incomprensibile, porta gli Ebrei ad una nuova espressione di scontento nei confronti del loro Signore e di Mosè (Numeri 21:4-5).

Lo scontro tra la volontà di Dio e quella dell’uomo è sempre attuale. Il primo vuole formare in noi, tramite le circostanze disciplinanti del vivere quotidiano, un carattere compatibile con la sua natura, cioè controllato dagli stessi principi di vita, che troverà però la sua massima espressione solo successivamente in Cristo Gesù. Il secondo, lungi dal valutare l’importanza di un carattere stabile e basato sul principio morale dell’amore gli uni per gli altri e per il proprio Creatore, vuole vivere per soddisfare i desideri che gli si presentano volta per volta, anche se in contrasto tra loro nel tempo. Il Signore, dall’alto della sua pazienza, disciplina il suo popolo per poi correggerlo, lo ferisce e nello stesso tempo lo guarisce (Numeri 21:6-9). I serpenti velenosi penetrati nel campo ebreo rappresentano le conseguenze mortali del peccato, che separa da Dio, fonte della giustizia e della vita.

E’ indispensabile sviluppare fede, cioè fiducia, nella sapienza e intelligenza di Dio per permettergli di iniziare e completare la sua opera in noi, esseri decaduti dalla dignità originale a causa del peccato: “Figliol mio, non far poca stima della disciplina del Signore, e non ti perder d’animo quando sei da lui ripreso; perché il Signore corregge colui ch’Egli ama e flagella ogni figliolo ch’Egli gradisce. E’ a scopo di disciplina che avete a sopportare queste cose. Iddio vi tratta come figlioli; poiché qual è il figliolo che il padre non corregga? Che se siete senza quella disciplina della quale tutti hanno avuto la loro parte, siete dunque bastardi, e non figlioli. Inoltre, abbiamo avuto per correttori i padri della nostra carne, eppure li abbiamo riveriti; non ci sottoporremo noi molto più al Padre degli spiriti per aver vita? Quelli, infatti, per pochi giorni, come parea loro, ci correggevano; ma Egli lo fa per l’util nostro, affinché siamo partecipi della sua santità: Or ogni disciplina sembra, è vero, per il presente non essere causa d’allegrezza, ma di tristezza; però rende poi un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati per essa esercitati. Perciò, rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti; e fate dei sentieri diritti per i vostri passi, affinché quel che è zoppo non esca fuor di strada, ma sia piuttosto guarito” (Ebrei 12:5-13).

 

2) Per sapere se siamo disposti ad osservare i suoi comandamenti

“Ricordati di tutto il cammino che l’Eterno, l’Iddio tuo, ti ha fatto fare questi quarant’anni nel deserto…per sapere…se tu osserveresti o no i suoi comandamenti” (Deuteronomio 8:2).

“E l’Eterno disse a Mosè: Ecco, io vi farò piovere del pane dal cielo; e il popolo uscirà e ne raccoglierà giorno per giorno quanto gliene abbisognerà per la giornata, ond’io lo metta alla prova per vedere se camminerà o no secondo la mia legge” (Esodo 16:4).

 

Dio ci chiama a scegliere tra la ribellione e l’ubbidienza, a decidere chi vogliamo eleggere Signore della nostra vita, il nostro Ego o l’Eterno, a considerare se amiamo più il peccato o la giustizia.

Quando tutto va bene e le benedizioni fluiscono abbondanti nella nostra vita, non siamo chiamati ad una vera decisione sui valori da seguire, ma seguiamo semplicemente la corrente perché ci è propizia e ci soddisfa pienamente. Giobbe era un uomo “integro e retto; temeva Iddio e fuggiva il male” (Giobbe 1:1). L’Eterno, se così possiamo dirlo, ne era orgoglioso e infatti dice a Satana: “Hai tu notato il mio servo Giobbe? Non c’è n’è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Iddio e fugga il male” (1:8). Ma l’astuto Satana obietta: “E’ egli forse per nulla che Giobbe teme Iddio? Non l’hai tu circondato d’un riparo, lui, la sua casa, e tutto quel che possiede? Tu hai benedetto l’opera delle sue mani, e il suo bestiame ricopre tutto il paese. Ma stendi un po’ la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia” (1:9-11).

In poche parole Satana vuol dire che Giobbe seguiva Dio non per amore alla verità o alla giustizia, ma per convenienza. Ed è per verificare questa affermazione che il Signore permette al maligno di colpire Giobbe duramente, sia sulla sfera degli affetti, che della salute e del benessere materiale. Dio porta questo suo figliolo nel deserto più arido, perché vuole purificare le sue motivazioni e portarlo ad amare la verità e la giustizia, valori eterni che trascendono la morte, più della sua stesa vita, più dei suoi figli, più dei traguardi materiali raggiunti con i suoi sforzi umani, valori temporanei destinati a finire con la morte fisica. E Giobbe vinse questa sfida.

 

3) Per cercarlo, per avere fame di Lui, per capire che Dio è un nutrimento insostituibile

“Egli dunque t’ha umiliato, t’ha fatto provar la fame, poi t’ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevan mai conosciuta, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell’Eterno avrà ordinato” (Deuteronomio 8:3).

 

L’importanza che riveste per le nostre vite una certa cosa o una certa persona la si sperimenta soprattutto quando ci manca. Per esempio, nessuno apprezza tanto la salute fisica quando sta bene, ma la invoca e la rimpiange quando si ammala. Se, invece, una coppia è entrata in profonda crisi e i litigi, le accuse e le offese reciproche sono più frequenti dei momenti di serenità e di dimostrazione d’affetto, allora la separazione diventa un desiderio, una meta da raggiungere. La mancanza del partner non sarà più vissuta in maniera ansiosa, non creerà più un senso di solitudine e un bisogno impellente di ricostituzione dell’unità perduta, ma produrrà solo sollievo e una sensazione di libertà ritrovata.

Dio vuole che noi sappiamo se Lui per noi rappresenta un peso, un obbligo morale, un’osservanza formale alle sue regole, un’intrusione forzata nelle nostre vite, un condizionamento non voluto e ingombrante, oppure una presenza insostituibile, la fonte di un benessere così importante per il nostro equilibrio psicofisico da non poterlo ottenere per altre vie, l’unica realtà che ci offre una speranza vera di giustizia e di riposo. Per questa ragione il Signore a volte sembra allontanarsi, ci dà la sensazione di averci abbandonato, non risponde più alle nostre preghiere, sembra disinteressarsi alla nostra condizione e lascia che il maligno ci attacchi e ci tormenti. Nei Vangeli vediamo situazioni in cui Gesù non sembra curarsi delle invocazioni accorate che gli vengono rivolte, vedi il cieco di Gerico (Luca 18:35-43) e la donna Cananea (Matteo 15:21-28). Ma poi, vedendo la loro perseveranza nella richiesta, l’intensità della richiesta stessa, la fiducia che riponevano nella sua persona, come unica fonte di salvezza rimasta, si impietosisce e li rimanda a casa soddisfatti.

Quando Dio sembra ignorarci, quando lascia che il male ci schiacci, o più semplicemente quando non ci fa sentire la sua presenza, grideremo noi più forte? Insisteremo noi nella ricerca della sua grazia per le nostre vite?

 

4) Per conoscere il timore di Dio e non peccare

“E Mosè disse al popolo: Non temete, poiché Dio è venuto per mettervi alla prova, e affinché il suo timore vi stia dinanzi, e così non pecchiate” (Esodo 20:20).

 

Bisogna fare una differenza tra “timore” e “paura”. Il primo è un sentimento utile, di protezione per la nostra vita, mentre il secondo è dannoso e paralizzante. Infatti, se per esempio mi trovo a dover attraversare una via alquanto trafficata, il timore di venir investito e di subire grosse menomazioni fisiche, se non addirittura la morte, mi consiglia prudenza e mi obbliga a guardare bene, e anche più volte, sia a destra che a sinistra prima di cercare di raggiungere l’altro lato della strada. In questo caso il timore è un mezzo per proteggermi, per salvarmi. Se, invece, vengo assalito dalla paura di finire sotto una macchina o sotto un camion, se mi vedo già su di una carrozzella, paralizzato per il resto dei miei giorni, non riuscirò a muovere più un passo e il raggiungere il marciapiede opposto sarà un’impresa praticamente impossibile. Questo sentimento mi impedisce di vivere, paralizzando ogni mia iniziativa e impedendomi di fare le giuste valutazioni che mi devono portare alle numerose decisioni che la vita mi impone.

Quindi, il timore nei confronti di Dio è salutare, come dice la Scrittura: “Il timore dell’Eterno è puro, dimora in perpetuo…Il timore dell’Eterno è il principio della sapienza; buon senno hanno tutti quelli che mettono in pratica la sua legge” (Salmi 19:9 ; 111:10). “Il timore dell’Eterno accresce i giorni…V’è una gran sicurezza nel timore dell’Eterno; Egli sarà un rifugio per i figli di chi lo teme. Il timore dell’Eterno è fonte di vita e fa schivare le insidie della morte…Il timore dell’Eterno è scuola di sapienza…Il timore dell’Eterno mena alla vita; chi l’ha si sazia, e passa la notte non visitato da alcun male” (Proverbi 10:27 ; 14:26-27 ; 15:33 ; 19:23). “La Chiesa, camminando nel timor del Signore, moltiplicava” (Atti 9:31).

 

Ma la paura di Dio è mortale, come possiamo leggere nei Vangeli. Nella parabola dei talenti, infatti, il padrone, tornato da un viaggio, chiede ai servitori notizie su come avevano investito i beni loro affidati. Mentre i primi due, con operazioni oculate, avevano raddoppiato i talenti ricevuti, ricevendo le lodi del loro Signore, il terzo, che dopo averne ricevuto uno “andò e, fatta una buca in terra, vi nascose il denaro del padrone”, non poté dire altro che queste parole: “Signore, io sapevo che tu sei uomo duro, che mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso; ebbi paura, e andai a nascondere il tuo talento sotterra; eccoti il tuo”. E il padrone di rimando: “Servo malvagio ed infingardo, tu sapevi ch’io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio danaro dai banchieri; e al mio ritorno, avrei ritirato il mio con interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha sarà dato, ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quel servitore disutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Ivi sarà il pianto e lo stridor dei denti” (Matteo 25:14-30).    

 

Il timore di Dio mi porta a considerare la sua Parola come un salutare consiglio per la mia vita, infrangendo il quale mi si aprono le porte dell’ignoto, dell’imponderabile, dell’azione diabolica sul mio cuore e sulla mia mente, della devastazione prodotta dal peccato sulla mia   

anima, cioè sulle mie emozioni e suoi miei sentimenti.

A volte Dio sembra allontanarsi, lasciarci soli, permettendo alla vita di colpirci, al Maligno di tentarci e alla nostra carne di portarci alla disubbidienza, perché possiamo valutare per esperienza le conseguenze nefaste di decisioni peccaminose, prese in totale autonomia dai consigli, dalle indicazioni e dalle direttive del nostro Padre celeste. La sofferenza che ne consegue ci porta ad avere paura di noi stessi, cioè dei nostri desideri, dei nostri impulsi, delle nostre spinte emotive, delle nostre convinzioni, e a considerare con rispetto la Parola di Dio per noi, cioè a temere le ripercussioni gravi e dannose per la nostra salute, sia fisica che emozionale, che si potrebbero evidenziare non osservandola.

 

5) Per farci tentare dal maligno e venir così spogliati della carne

“Allora venne Amalek a combattere contro Israele a Refidim. E Mosè disse a Giosuè: Scegli per noi degli uomini ed esci a combattere contro Amalek; domani io starò sulla vetta col bastone di Dio in mano. Giosuè fece come Mosè gli aveva detto e combatté contro Amalek, mentre Mosè, Aaronne e Hur salirono sulla vetta del colle. Or avvenne che, quando Mosè alzava la sua mano, Israele vinceva; quando invece abbassava la sua mano, vinceva Amalek. Ma le mani di Mosè si erano fatte pesanti, così essi presero una pietra e gliela posero sotto, ed egli vi sedette sopra mentre Aaronne e Hur sostenevano le sue mani, l’uno da una parte, l’altro dall’altra; così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Perciò Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente, passandoli a fil di spada” (Esodo 17:8-13).

 

Nel deserto, quando la presenza di Dio, che ha allietato i nostri giorni, sembra svanita o niente più che il frutto della nostra immaginazione, come fosse stato un miraggio, quando le nostre certezze traballano e le nostre promesse di fedeltà a Dio solo vuote parole, o un fatto emotivo dettato dall’euforia del momento, quando siamo estremamente deboli e quasi incapaci di fare una chiara distinzione tra realtà e fantasia, arriva Amalek, il tentatore, colui che attacca la nostra fede e la vuole vincere per riportarci schiavi nel suo regno.

In queste condizioni una risposta carnale è stimolata al massimo, tutte le nostre risorse e soluzioni umane sono pronte ad entrare in azione per farci uscire da quella situazione di tormento, di frustrazione e di sofferenza (vedi la tentazione di Gesù in Luca 4:1-14).

Ma questo è anche il momento della crescita spirituale, del rafforzamento della decisione di seguire Dio, del rifiuto di tutto ciò che in noi vuole assecondare le mete effimere ed egoiste che il mondo ci propone e che si interpone ed ostacola la conoscenza della giustizia, della verità  e del cuore di Gesù Cristo. 

Mosé e Gesù ci insegnano l’atteggiamento da assumere quando il deserto ci circonda e la tentazione ci avvolge e ci assedia. La volontà di rimanere sul cammino tracciato da Dio per loro, confermata dall’attitudine di preghiera, o di ricerca della sua persona e guida, e di fede nella sua Parola, ha portato Mosé a sconfiggere un tenace e spietato nemico (il frutto della carne in noi) e Gesù a ritornare in Galilea “nella potenza dello Spirito” (Luca 4:14).

 

6) Per umiliarci e così farci del bene

“Guardati bene dal dimenticare l’Eterno, il tuo Dio…che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù; che ti ha condotto attraverso questo grande e terribile deserto, luogo di serpenti e di scorpioni, terra arida senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna che i tuoi padri non conoscevano, per umiliarti e per provarti e per farti alla fine del bene (Deuteronomio 8:11,14-16).

“Io ti conobbi nel deserto, nella terra della grande aridità. Quando avevano pascolo, si saziavano; quando erano sazi, il loro cuore si inorgogliva; per questo mi hanno dimenticato (Osea 13:5-6).

 

Il deserto, specialmente se è un’esperienza prolungata, ci fa sentire tutti uguali, perché ci spoglia di tutti i privilegi che il mondo ci ha permesso di ottenere. Qui esistono soltanto i bisogni primordiali legati alla sopravvivenza: procurarsi acqua, cibo e un riparo per la notte con la prospettiva unica di mantenersi in vita. Non è il luogo per avere dei desideri o delle ambizioni volti a soddisfare il piacere, il potere e la gloria umani. Ma neanche il momento per avere delle recriminazioni o aspettative nei confronti di nessuno. Siamo annichiliti e umiliati per renderci conto della vanità e del vuoto di valori a cui tende il nostro essere, dominato dall’affanno di servire, compiacere, soddisfare e adorare se stesso.

Quando questa presa di coscienza ha luogo, Dio può incominciare a farci del bene, cioè si trova nella possibilità e nella libertà di trasmetterci i principi di vita che hanno animato Gesù Cristo, tutti basati sull’amore al Padre celeste e al prossimo.

E quando l’amore ci governa la nostra persona è sana, libera, soddisfatta e in pace.