RIUSCIRE A TOCCARE GESU’

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

Gesù Cristo, fatto carne per manifestare la Parola del Dio vivente, è presente corporalmente in Palestina e si muove tra quei paesi e tra quella gente. Tutti possono toccarlo ed ascoltarlo, partecipare ad uno di quegli incontri in cui la sua sapienza rivela al cuore dell’uomo il contenuto delle Sacre Scritture e la sua misericordia mette in evidenza il cuore del Padre celeste.

La sua fama si è sparsa per tutta la nazione e le persone lo cercano per avere una parola di speranza, di consolazione, per avere una guarigione, o attratte semplicemente dallo Spirito Santo perché convinte di peccato. Le folle lo accerchiano ovunque Lui si sposti.

 

Malgrado il suo profondo amore per l’essere umano, difficilmente, però, vediamo Gesù correre dietro a qualcuno per fargli del bene, o insistere perché riceva la sua parola, o semplicemente avvicinarsi, se non chiamato. Anzi, pur essendo cercato, a volte agisce dando l’impressione che non gli importi molto della persona che lo supplica, come emerge da questi passaggi biblici: “Come Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono, gridando e dicendo: Abbi pietà di noi, o Figliol di Davide! E quand’egli fu entrato nella casa, quei ciechi si accostarono a lui. E Gesù disse loro: Credete voi ch’io possa far questo? Essi gli risposero: Sì, o Signore. Allora toccò loro gli occhi…” (Matteo 9:27-28); “E partitosi di là, Gesù si ritirò nelle parti di Tiro e di Sidone. Quand’ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: Abbi pietà di me, Signore, figliol di Davide; la mia figliola è gravemente tormentata da un demonio. Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli, accostatisi, lo pregavano dicendo: Licenziala, perché ci grida dietro. Ma egli rispose: Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele. Ella però venne e gli si prostrò dinanzi, dicendo: Signore, aiutami! Ma egli rispose: Non è bene prendere il pane dei figlioli per buttarlo ai cagnolini…” (Matteo 15:21-26); “Or v’era un ammalato, un certo Lazzaro di Betania…Le sorelle, dunque, mandarono a dire a Gesù: Signore, ecco, colui che tu ami è malato…Or Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Come dunque ebbe udito ch’egli era malato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov’era…” (Giovanni 11:1-6).

 

Con la nuova nascita Gesù è presente nei nostri cuori (di cui è simbolo la Palestina dell’Antico Testamento), vive in noi tramite il suo spirito ed è ancora pronto, come ai tempi della sua incarnazione, a rivelarci con la sua sapienza la Parola di Dio e a manifestarci con la sua misericordia il cuore del Padre. Ma come allora, anche oggi vuole essere cercato, vuole essere trovato, per rivelarsi alle nostre vite. Proprio come disse il profeta Geremia: “Io so i pensieri che medito per voi, dice l’Eterno: pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza. Voi m’invocherete, verrete a pregarmi e io vi esaudirò. Voi mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il vostro cuore; e io mi lascerò trovare da voi, dice l’Eterno, e vi farò tornare dalla vostra cattività” (Geremia 29:11-14).

La cattività espressa in questo passaggio è prettamente fisica: la deportazione nel paese del vincitore, le catene ai piedi in segno di schiavitù, l’asservimento al nuovo padrone che dispone a suo piacimento delle loro vite. Ma ha anche un valore profetico, destinato alla profondità dell’anima, volendo indicare da quale schiavitù ben peggiore ci avrebbe liberato Gesù Cristo: la schiavitù del peccato, che ci trasferisce nel regno delle tenebre, il cui principe è Satana, e ci obbliga a servirlo, vivendo una vita priva d’amore e centrata sul benessere e sulla ragione personale. In Giovanni, infatti, leggiamo: “In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato. Or lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figliolo vi dimora per sempre. Se dunque il Figliolo vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Giovanni 8:34-36).

 

Consideriamo adesso un episodio tratto dal Vangelo di Marco per spiegare meglio i concetti sopra esposti:

“E Gesù andò con lui (Iairo), e gran moltitudine lo seguiva e l’affollava. Or una donna che aveva un flusso di sangue da dodici anni, e molto aveva sofferto da molti medici, ed aveva speso tutto il suo senz’alcun giovamento, anzi era piuttosto peggiorata, avendo udito parlare di Gesù, venne per di dietro fra la calca e gli toccò la veste, perché diceva: Se riesco a toccare non foss’altro che le sue vesti, sarò salva. E in quell’istante il suo flusso ristagnò; ed ella sentì nel corpo d’essere guarita di quel flagello. E subito Gesù, conscio della virtù che era emanata da lui, voltosi indietro in quella calca, disse: Chi mi ha toccato le vesti? E i suoi discepoli gli dicevano: Tu vedi come la folla ti si serra addosso e dici: Chi mi ha toccato? Ed egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto ciò. Ma la donna, paurosa e tremante, ben sapendo quel che era avvenuto in lei, venne e gli si gettò ai piedi, e gli disse tutta la verità. Ma Gesù le disse: Figliola,la tua fede t’ha salvata; vattene in pace e sii guarita del tuo flagello” (Marco 5:24-34).

 

In questo episodio vediamo una donna che cerca Gesù, sa che non le rimane altra speranza che Lui e ripone tutta la fiducia residua nella sua persona. La sua vita si sta spegnendo progressivamente, a nulla sono valsi tutti gli sforzi fatti e i sacrifici affrontati per raggiungere quel benessere che lei desiderava e sperava. I miracoli realizzati dal Maestro, e di cui molti testimoniano, la spingono a considerare una realtà soprannaturale ben lontana dalla logica della sua mente e del suo tempo e si apre all’intervento divino, perché ne ha bisogno per il suo equilibrio psico-fisico e perché rappresenta l’ultima spiaggia per la sua speranza di vivere una vita degna di essere vissuta.

Ma si ritrova una nuova montagna davanti, in questo caso una montagna umana. La via per raggiungere Gesù è praticamente sbarrata da una massa di gente che si accalca, quasi a chiudere ogni varco, sia per partecipare ad un nuovo spettacolo gratuito e imprevedibile, che per gli stessi motivi della donna. Tutti vogliono vedere da vicino e toccare quest’uomo dai poteri straordinari. E’ forse il Messia tanto atteso?

La donna avrebbe voglia di rinunciare. Gracile e malata, come potrebbe farsi largo tra quella folla? Ma sa che l’unica possibilità rimastale di guarire si chiama Gesù e perciò non può rinunciare, non può rassegnarsi, non può tornare a casa sconfitta aspettando la morte. Decide allora di lottare, di combattere e di superare quella montagna apparentemente invalicabile.

 

Gesù, pur conoscendo tramite lo Spirito Santo il bisogno e la disperazione di quella donna, non le va incontro, non le risparmia quella fatica, non le rende più facile l’avvicinamento alla sua persona, non premia la sua buona intenzione guarendola a distanza. E’ lei che deve arrivare fino a Lui!

Questo esempio deve farci comprendere quale deve essere il nostro atteggiamento per permettere a Gesù di agire nella nostra vita e produrre tutte quelle guarigioni di cui la nostra anima ha bisogno. Anche noi, infatti, ci troviamo spesso di fronte ad un muro di sensazioni, di sentimenti, di pensieri, di convinzioni, di dubbi, di perplessità, di atteggiamenti abitudinari ma sbagliati, cioè di peccati, che ci chiudono la strada alla percezione del Signore e, soprattutto, non entrando in contatto con Lui, alla sua azione per santificare la nostra vita.

Spesso dobbiamo farci largo tra realtà come la delusione, l’amarezza, lo scoraggiamento, la stanchezza che ci fa credere che tutto è inutile, l’incredulità, lo scetticismo, la rabbia, il rancore, l’odio, la gelosia, la giustizia propria, l’incapacità di capire Dio, l’assurdità di quello che Lui permette, il senso di abbandono, la sensazione di non significare niente agli occhi suoi, un profondo senso di inferiorità, la paura di quello che il Signore potrebbe permettere nella nostra vita, la paura di perdere ciò che noi riteniamo indispensabile per la nostra felicità, la passività aspettando che altri decidano al nostro posto, il senso di indegnità, l’incapacità di credere che qualcuno possa interessarsi a noi, la gravità del nostro problema, ecc.

 

Il peccato è schiavitù, il peccato produce infermità alla nostra anima, il peccato è causa di sofferenza in chi ci circonda. Dio ci ha proposto un Salvatore in Cristo e si aspetta che noi entriamo nella dimensione di vederlo come tale, di volerlo come tale, di cercarlo come tale. Dio vuole che siamo noi a giungere alla conclusione che il cuore di Gesù è l’obiettivo supremo e insostituibile sia per i nostri giorni terreni che per i secoli dei secoli in Cielo. Ed è questa l’attitudine che dà gloria al Signore, perché lo eleva al di sopra di tutti gli obiettivi e aspirazioni che il mondo terreno e il cuore umano possano offrire o desiderare. Così facendo, poi, viviamo la realtà di Dio nella nostra vita per nostra decisione personale e non la subiamo come imposizione dall’alto o per timore al castigo, conseguenza della nostra disubbidienza. Dio non vuole essere il nostro Dio per imposizione, ma per sottomissione volontaria e per convinzione che i suoi precetti sono buoni e giusti.

 

Quando percepiamo di essere travagliati ed aggravati a causa del peccato che ci assedia ed abbiamo capito che tutti i nostri sforzi per mettervi rimedio si sono rivelati insufficienti, quando ci siamo resi conto che l’insistenza per imporre il nostro concetto di giustizia non riduce la sofferenza da cui siamo colpiti, allora cerchiamo la guarigione in Cristo, cerchiamo di entrare in contatto con Lui nel profondo del nostro cuore per percepire il suo tocco trasformatore, cerchiamo di riconoscere a noi stessi che l’unica possibilità di salvezza si trova in Lui, affrontiamo tutti quei nemici interiori che vogliono sbarrarci il passo verso la sua persona e ci lasciamo guidare da Lui, dai suoi precetti, dalla sua giustizia, dal suo amore, dalla sua misericordia, dalla sua compassione, dalla sua tolleranza, dalla sua umiltà, dalla sua mansuetudine, dalla sua ubbidienza, dalla sua sottomissione, dalla sua capacità di porgere l’altra guancia, di subire un torto, di perdonare settanta volte sette. L’amore che emana dal suo cuore, per Dio e per il prossimo, è quella virtù che ha il potere di guarire ogni nostra ferita e bloccare l’emorragia dell’insoddisfazione cronica, dell’autocommiserazione permanente e della rabbia e amarezza collegate a questi due aspetti.

 

Nel Padre nostro, che è il compendio di tutti quei principi che Dio desidera diventino parte integrante della nostra vita, vien detto: “Sia fatta la tua volontà anche in terra com’è fatta in cielo” (Matteo 6:10). Affinché la volontà di Dio sia fatta in terra, bisogna che trovi la sua realizzazione in ogni essere umano. E finché la nostra mente non si convince che la volontà di Dio è la realtà migliore a cui possiamo aspirare e la nostra volontà non decide di assoggettarsi ad essa rinunciando a portare avanti caparbiamente la nostra visione della vita, non riusciremo a toccare le vesti di Gesù e non troveremo guarigione alle nostre ferite.