SICURI DELL’AMORE DI GESU’

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

“Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore…Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Giovanni 15:9,12).

 

Per costruire un edificio stabile, che permanga nel tempo e possa sfidare gli eventi atmosferici, è necessario un fondamento solido. Una delle colonne portanti di questo edificio è la certezza dell’amore di Gesù nei nostri confronti, sempre e comunque.

Vediamo alcuni esempi biblici:

 

- “Un tale accorse e inginocchiatosi davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che farò io per ereditare la vita eterna? E Gesù gli disse: Tu sai i comandamenti…Ed egli rispose: Maestro, tutte queste cose io le ho osservate fin dalla mia giovinezza. E Gesù, riguardatolo in viso, l’amò e gli disse: Una cosa ti manca; va’, vendi tutto ciò che hai, e dallo ai poveri, e tu avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Ma egli, attristato da quella parola, se ne andò dolente, perché aveva di gran beni” (Marco 10:17-22).

La richiesta di Gesù, appositamente esagerata per far capire al giovane ricco che non stava proprio osservando i comandamenti come lui asseriva, mette in risalto che l’amore al denaro, e a tutti quei privilegi che la ricchezza regala in questo mondo, stava riempiendo il suo cuore più dell’amore per Dio e la sua Parola. La sua era un’osservanza formale, ma non sostanziale. La legge infatti si riassume in due comandamenti: “Ama il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutta la forza tua, e con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso”. L’incapacità di rinunciare al suo denaro dimostra inequivocabilmente che Dio occupa solo il secondo posto nella sua vita e questa sua attitudine lo classifica come un trasgressore della Legge.

Se siamo sinceri con noi stessi, dovremmo ammettere che la nostra umanità spesso predomina sulle richieste della Legge di Dio. I nostri bisogni umani bussano imperiosi e richiedono soddisfazione, per cui molte delle nostre preghiere hanno lo scopo di piegare Dio verso la realizzazione di richieste che hanno come un’unica meta quella di portare benessere umano e sollievo alle nostre ansie terrene, ma che vengono camuffate da fini spirituali per tranquillizzare la nostra coscienza.

Il Signore Gesù legge nei nostri cuori, anche perché si è rivestito con i panni della natura umana e conosce tutte le nostre debolezze, ci comprende e ci guarda con amore e misericordia, anche se non siamo riusciti ancora a metterlo nel centro della nostra vita, come nel caso del giovane ricco. Non mostriamoci, quindi, più spirituali di quello che siamo, giustificando ogni nostra azione come ispirata dallo Spirito Santo, o dimostrando di cercare come priorità la volontà di Dio nella nostra vita pregando prima di intraprendere qualsiasi cosa. Molte delle nostre iniziative sono carnali, Gesù lo sa, e la cosa più importante in questa fase del nostro camminare cristiano è di ammetterlo a noi stessi, lasciando che la luce del Signore ci illumini e ci riveli, quindi, le esatte motivazioni del nostro cuore, ma anche che il suo amore non verrà mai meno in mezzo a tutti i nostri fallimenti. Prima capiremo la natura del nostro agire e prima potremo decidere di cambiare a somiglianza di Gesù, favorendo il nostro progresso spirituale e diventando, così, uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo (Efesini 4:13).

 

- “Un uomo aveva due figlioli; e il più giovane di loro disse al padre: Padre, dammi la parte de’ beni che mi tocca. Ed egli spartì fra loro i beni. E di lì a poco, il figliolo più giovane, messa insieme ogni cosa, se ne partì per un paese lontano, e quivi dissipò la sua sostanza, vivendo dissolutamente…sicchè egli cominciò ad essere nel bisogno…Ma rientrato in sé disse: Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io qui mi muoio di fame! Io mi leverò e me ne andrò a mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro te: non son più degno d’essere chiamato tuo figliolo; trattami come uno de’ tuoi servi. Egli dunque si levò e venne a suo padre; ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e fu mosso a compassione, e corse, e gli si gettò al collo, e lo baciò e ribaciò…e si misero a far gran festa” (Luca 15:11-24).

Il figliol prodigo ha sfruttato la ricchezza prodotta dal lavoro del padre per dar libero sfogo ai suoi bisogni e alle sue voglie. Il suo egoismo, che ha richiesto anzitempo la liquidazione della sua parte di eredità, ha arrecato danno all’azienda del padre e ha messo in forse la sua stabilità, privandola di capitali preziosi. Questa sua attitudine, però, non ha intaccato la sostanza dell’amore del genitore nei confronti del figlio ingrato.

Quante volte anche noi abbiamo sfruttato il benessere e l’equilibrio prodotti dalla presenza di Gesù nei nostri cuori per concentrarci su obiettivi terreni, che potessero soddisfare le nostre ambizioni e il nostro bisogno di sentirci di valore davanti agli uomini, per acquisire posizioni d’autorità all’interno della Chiesa, che ci facessero sentire importanti per Dio e superiori in spessore spirituale agli altri fratelli. Ma anche se non abbiamo portato frutto per il Signore, costruendo sul fondamento di Cristo con legno, fieno, paglia (1 Corinzi 3:12), e arrecato danno con la nostra pretesa spiritualità all’interno della comunità, Gesù ci aspetta sempre con le braccia aperte ed è pronto a riaccoglierci con amore sotto la sua autorità per iniziare un cammino di vero frutto, che sia spirituale e permanente.

 

- “Gli Scribi e i Farisei gli menarono una donna colta in adulterio; e gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare queste tali; e tu che ne dici?…Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito in terra. E siccome continuavano a interrogarlo, egli, rizzatosi, disse loro: Chi di voi è senza peccato, scagli il primo la pietra contro di lei. Ed essi…ripresi dalla loro coscienza, si misero ad uscire ad uno ad uno…E Gesù, rizzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno t’ha condannata? Ed ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù le disse: Neppure io ti condanno; va’ e non peccar più” (Giovanni 8:3-11).

La Legge era stata data da Dio, da una parte per farci conoscere gli aspetti pratici che contemplava la sua giustizia e dall’altra per farci comprendere che non saremmo mai stati in grado di applicarla nella nostra vita. Anzi, “la Legge è intervenuta affinché il fallo abbondasse” (Romani 5:20), e poi “io non avrei conosciuto il peccato, se non per mezzo della  legge; poiché io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non concupire” (Romani 7:7). La Legge, quindi, non ha fatto altro che mettere in risalto la nostra natura di trasgressori naturali della volontà di Dio. Infatti, “con un sol fallo la condanna si è estesa a tutti gli uomini…per la disubbidienza di un sol uomo i molti sono stati costituiti peccatori” (Romani 5:18-19). La Legge aveva, perciò, la finalità di portarci ad invocare misericordia e a richiedere un Salvatore, uno che ci salvasse da noi stessi.

Se oggi, pur essendo convertiti, pur avendo lo Spirito di Gesù dimorante nei nostri cuori e pur disponendo della sua santità, ci lasciamo accusare dalla Legge perché non ne osserviamo i principi, Gesù con uno sguardo benevolo e pieno d’amore ci dice che non potrebbe essere diversamente perché in noi, cioè nella nostra carne, non abita alcun bene (Romani 7:18) e che come conseguenza logica peccheremo ancora, o detto biblicamente: “Il nostro corpo è morto a cagion del peccato” (Romani 8:10). Con altrettanto amore, però, ci dice anche che “il suo Spirito è vita a cagion della giustizia” (Romani 8:10) e ci invita di conseguenza ad appoggiarci su di Lui, a confidare sulla sua vittoria sul peccato per essere in grado di fare ciò che è gradito a Dio Padre.

Non copriamo, quindi, i nostri peccati e non mettiamoci una maschera di santità, Gesù ci accetta e ci ama con tutte le nostre debolezze. Ci ama anche quando non siamo in grado di applicare tutti i suoi precetti nella nostra vita, perché ci lasciamo trascinare dal nostro concetto di giustizia e dalla necessità di soddisfare dei bisogni che a noi sembrano vitali.

 

- “Pietro, intanto, stava seduto fuori nella corte; e una serva gli si accostò, dicendo: Anche tu eri con Gesù il Galileo. Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: Non so quel che tu dica. E come fu uscito fuori nell’antiporto, un’altra lo vide e disse a coloro che erano quivi: Anche costui era con Gesù Nazareno. Ed egli daccapo lo negò giurando: Non conosco quell’uomo: Di lì a poco, gli astanti, accostatisi, dissero a Pietro: Per certo tu pure sei di quelli, perché anche la tua parlata ti dà a conoscere. Allora egli cominciò ad imprecare ed a giurare: Non conosco quell’uomo! E in quell’istante il gallo cantò…E il Signore, voltatosi, riguardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola del Signore com’ei gli aveva detto: Prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte. E uscito fuori pianse amaramente” (Matteo 26:69-74 / Luca 22:61-62).

Quante volte anche noi abbiamo fatto delle affermazioni simili a quelle di Pietro, così come ci riportano i Vangeli: “Gesù disse loro: Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta…Ma Pietro, rispondendo, gli disse: Quand’anche tu fossi per tutti un’occasion di caduta, non lo sarai mai per me. Gesù gli disse: In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte. E Pietro a lui: Quand’anche mi convenisse morir teco, non però ti rinnegherò” (Matteo 26:31-35). Mossi dall’entusiasmo, dall’euforia o dall’emotività di un culto glorioso, in cui la presenza del Signore ci stava riempiendo fino a farci scoppiare, quante volte ci siamo dichiarati pronti a dare la nostra vita per amore a Gesù, per riconoscenza a quel suo grande sacrificio, per sottomissione a quei principi di giustizia, unici e veri, che Lui ci aveva insegnato? Penso molte volte.

Ma quante volte ci siamo rimangiati tutto, perché un fratello che ci doveva “cento denari” (rispetto, attenzione, considerazione, gratitudine,ecc.) non è stato in grado di restituirceli, o perché, di fronte ad un possibile rifiuto, ci siamo vergognati di testimoniare, o perché non abbiamo resistito alle tentazioni del mondo, così invitanti e così suadenti.

Gesù vuole incrociare il tuo sguardo, così come fece con Pietro, per manifestarti la sua comprensione e il suo amore e lasciarti nel cuore la convinzione che Lui non ti rifiuterà mai, anche se tu hai amato la tua vita più della sua persona.

 

- “E quando furono giunti al luogo detto ‘Il Teschio?’, crocifissero quivi lui e i malfattori…E Gesù diceva: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno…E il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si facean beffe di lui, dicendo: Ha salvato altri, salvi se steso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio! E i soldati pure lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: Se tu sei il re de’ Giudei, salva te stesso!…E uno dei malfattori appesi lo ingiuriava, dicendo: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!” (Luca 23:33-39).

Quante volte anche noi abbiamo dubitato della persona di Gesù, del suo amore, del suo interessamento per le nostre vite, del suo potere nei confronti del Maligno, della sua volontà di portarci sempre più vicino al Padre e sempre più lontano dalla realtà di questo mondo, ma il Signore lo comprende, perché, come nel caso della sua morte in croce, il piano di Dio prevede un’apparente vittoria del Male nelle nostre vite, prima della coscienza del trionfo della risurrezione della vittoria finale, definitiva di Gesù in noi. Il suo perdono, quindi, come nel caso dei suoi carnefici, è a nostra disposizione e deve essere vissuto nei nostri cuori come una evidente realtà e uno stimolo a ricercare la sua presenza in noi che ci convince di peccato, di giustizia e di giudizio, trascinandoci in avanti verso la conoscenza sempre più profonda del suo Padre celeste.

 

Se, allora, Gesù ci ama malgrado le nostre debolezze e la nostra incapacità di mettere in atto sistematicamente i suoi precetti, possiamo presentarci sempre e comunque alla sua presenza con la certezza di essere accolti: “Tutto quel che il Padre mi dà, verrà a me e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori” (Giovanni 6:37) e di essere aiutati: “Avendo noi dunque un gran Sommo Sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figliuol di Dio, riteniamo fermamente la professione della nostra fede. Perché non abbiamo un Sommo Sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre infermità; ma ne abbiamo uno che in ogni cosa è stato tentato come noi, però senza peccare. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per esser soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:14-16).