SVEGLIARE GESU’

Oltre a questa meditazione il pastore Lamberto Fontana ha scritto quattro libri:

E' più forte di me    Amami Accettami Considerami    Quando Dio ti lascia perplesso    Dio non vuole che i suoi figli soffrano

 

 

“Or in quello stesso giorno, fattosi sera, disse loro: Passiamo all’altra riva. E i discepoli, licenziata la folla, lo presero con loro, così come egli era, nella barca. Con lui c’erano altre barchette. Si scatenò una gran bufera di vento e le onde si abbattevano sulla barca, tanto che questa si riempiva. Egli intanto stava dormendo a poppa, su un guanciale. Essi lo destarono e gli dissero: Maestro, non t’importa che noi periamo? Ed egli, destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci e calmati! E il vento cessò e si fece gran bonaccia. Poi disse loro: Perché siete voi così paurosi? Come mai non avete fede? Ed essi furono presi da gran timore e dicevano tra loro: Chi è dunque costui al quale anche il vento e il mare ubbidiscono?” (Marco 4:35-41).

 

Con la nuova nascita, nel momento cioè in cui riceviamo lo Spirito di Cristo, entriamo in contatto con la dimensione divina, siamo coscienti di Dio, percepiamo fede nella sua Parola, siamo convinti di peccato, sentiamo la necessità di cambiare, sperimentiamo zelo per la sua causa. Siamo una nuova creatura! O, almeno, ci sembra di esserlo. In questa nuova realtà, crediamo che ogni pensiero che ci passa per la mente sia del Signore, che ogni preghiera trovi una risposta immediata, che ogni persona che incrocia il nostro cammino ce l’abbia mandata Gesù, che basti dire al demonio di andarsene, perché questi sparisca. Siamo nella fase dell’infanzia spirituale e tutto ciò che facciamo e sentiamo è il prodotto dell’emotività più che della conoscenza diretta e vera di Dio. Siamo nella fase in cui sul fondamento che è Gesù costruiamo con legno, paglia e fieno, materiali che non resistono al fuoco, ma che vengono arsi fino a diventare solo un mucchio di cenere. Siamo in una fase che, se non viene superata, rischia di mantenerci eterni bambini spirituali, o cristiani carnali, candidati a vivere perennemente sul bordo dell’abisso e forse anche a caderci dentro, perché incapaci di affrontare le prove della vita e gli attacchi sottili del Maligno, e perché non abbiamo sviluppato i muscoli spirituali tramite l’esercizio basato sul discernimento del bene e del male.

 

Ad un certo punto della nostra vita Gesù ci invita a passare sull’altra riva, cioè a svestire i panni del bambino emotivo per indossare quelli dell’uomo maturo. Non vuole più essere Lui a prendere l’iniziativa e a determinare con la sua forte presenza il cammino da percorrere, ma vuole che siamo noi a decidere chi vogliamo diventare e in quali aspetti dobbiamo cambiare. Per questa ragione, durante la traversata, Gesù dorme. Non è più così immediata e puntuale la sua risposta e il suo intervento per superare brillantemente la difficoltà che si para davanti a noi, ma lascia che la tempesta diventi sempre più sferzante e minacciosa.

Non è che Gesù improvvisamente smetta di preoccuparsi per la nostra vita e ci abbandoni al nostro destino, ma vuole che tutti i nostri limiti affiorino con lo scopo preciso di renderci coscienti della nostra debolezza, o carnalità, e, di conseguenza, del bisogno che abbiamo della Sua forza, o santità.

E’ il meccanismo che ci comunica l’apostolo Paolo: “Mi è stata data una spina nella carne, un angelo di Satana per schiaffeggiarmi, affinché non insuperbisca. A questo riguardo ho pregato tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma Egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza è portata a compimento nella debolezza. Perciò molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. Perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo, perché quando io sono debole, allora sono forte” (2 Corinzi 12:7-10) ; “Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli” (Matteo 5:3).

Solo chi si vede incapace e mancante, cioè povero delle qualità o frutto dello Spirito (amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fede, mansuetudine, autocontrollo) cercherà aiuto, invocherà la presenza di Gesù e si aggrapperà al suo potere.

 

Nell’episodio sopra citato vediamo i discepoli cercare in qualche modo di affrontare la tempesta, utilizzando tutta la loro esperienza e la fiducia nelle loro capacità. Gesù lascia fare, non interviene. Pur dormendo, vede ogni cosa e tiene tutto sotto controllo tramite lo Spirito Santo. Vede i tentativi di quegli uomini di domare la furia della natura (simbolo delle passioni carnali che agiscono nelle nostre membra) e aspetta che riconoscano l’inutilità dei loro sforzi. Chi nasce da carne è carne e non può riformare se stesso, non può modificare la sua natura, non può dalla stessa fonte da cui fuoriesce il peccato far scaturire la santità (“La fonte emette forse dalla stessa apertura il dolce e l’amaro? Può, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Così nessuna fonte può dare acqua salata e acqua dolce” Giacomo 3:11-12). E così i discepoli, vista la barca riempirsi pericolosamente d’acqua, si accorgono che Gesù è lì con loro e si ricordano, soprattutto, che ha il potere per soccorrerli e liberarli da quella situazione imbarazzante. Se il peccato ci sta governando e non sappiamo come combatterne la forza, una volta superato lo stupore perché una simile cosa è successa senza che lo Spirito Santo la bloccasse sul nascere, allora dobbiamo ricordarci che Gesù abita nei nostri cuori e dobbiamo prendere la decisione di cercarlo, o svegliarlo, perché prenda in mano la situazione e ci porti al superamento della crisi con la sua capacità, o grazia.

Si rivolgono al loro Maestro, però, con un tono di accusa: “Essi lo destarono e gli dissero: Maestro, non t’importa che noi periamo?” Sono infastiditi in primo luogo dal fatto che Gesù non li avesse soccorsi automaticamente, liberandoli da una situazione di crisi, e in secondo luogo per l’umiliazione sofferta nel dover ammettere la loro incapacità a governare la circostanza. Con la nuova nascita pensiamo di essere già santi e di avere sconfitto il peccato una volta per sempre, ma la realtà della vita deve riportarci con i piedi per terra e capire che il processo della santificazione è appena incominciato e che noi rimaniamo sempre e soltanto “carne”, incapaci di fare alcunché di gradito a Dio, mentre solo Gesù è “Spirito” e solo Lui conosce le intenzioni del Padre e dispone del potere per realizzarle.

 

Gesù, destatosi, sgrida il vento e ordina al mare di calmarsi e, nel tempo di in un attimo, “il vento cessò e si fece gran bonaccia”.

I discepoli avevano lottato ore per riuscire, attraverso la tempesta, a portare la barca in salvo sull’altra riva evitando il naufragio. Quello che noi possiamo fare nella vita è di sforzarci a resistere alle passioni, ai ragionamenti, alle convinzioni, ai dubbi, al senso di giustizia propria, all’amarezza, alla delusione, allo scoraggiamento, alle tentazioni in genere che tentano di travolgerci, rimanendo esposti, però, al rischio di soccombere quando la loro forza supera la nostra capacità di opposizione.

Gesù, non solo non ha lottato per passare indenne attraverso la tempesta, ma ha annullato gli elementi che erano la causa della tempesta stessa. “Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterci i peccati (non tenerne conto, come se non fossero mai stati commessi) e purificarci (cioè liberarci, controllandone il potere) da ogni iniquità” (1 Giovanni 1:9).

 

I venti soffiano dentro di noi, provocati dalle contraddizioni e dalla concupiscenza della nostra natura carnale, come dice la Scrittura: “Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non provengono forse dalle passioni che guerreggiano nelle vostre membra?” (Giacomo 4:1). Dio non solo non li blocca sul nascere, ma a volta li provoca (vedi Giobbe), perché , tramite la sua disciplina, vuole portarci a produrre frutto per la sua gloria: “Perché il Signore corregge chi ama e flagella ogni figlio che gradisce…Egli ci corregge per il nostro bene affinché siamo partecipi della sua santità. Ogni correzione infatti, sul momento, non sembra essere motivo di gioia, ma di tristezza; dopo però rende un pacifico frutto di giustizia a quelli che sono stati esercitati per mezzo suo” (Ebrei 12:6-11). Vuole portarci a pronunciare le stesse parole di Giobbe: “Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora il mio occhio ti vede. Perciò provo disgusto nei miei confronti e mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 42:5-6). E’ suo desiderio, quindi, che ci rendiamo conto della realtà del peccato che abita in noi e della grandezza del suo potere, tramite le circostanze della vita che si succedono normalmente o che sono provocate ad arte, e, per contrasto, della presenza santa di Gesù nei nostri cuori e dell’immensità della sua forza (“Ecco, io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e scorpioni, e su tutta la potenza del nemico; e nulla potrà farvi del male” Luca 10:19). Vuole anche che, dopo aver visto la santità e il potere del Signore nel vincere il peccato, li desideriamo, li cerchiamo e li facciamo nostri.

 

Superata la fase dello stupore, quella cioè in cui prendiamo atto che il Signore non ci protegge più da ogni situazione conflittiva e dolorosa, dobbiamo incominciare a sviluppare l’attenzione su quanto ci succede, il discernimento sui pensieri e sentimenti che riguardano mente e cuore, la decisione di seguire la volontà di Dio, la ricerca della santità e del potere di Gesù in noi e l’applicazione della realtà rivelataci dallo Spirito Santo, se non vogliamo finire tra le braccia di sentimenti manovrati ad arte dal Demonio, quali la delusione, la frustrazione, l’amarezza, lo scoraggiamento, la stanchezza, il senso di abbandono e di scarso valor proprio, il senso di rigetto e di inferiorità, il senso di colpa, l’incredulità, la rabbia, l’autocommiserazione, la suscettibilità, la feribilità, il bisogno di gratificazione o di successo personale, il bisogno di controllare gli altri come forma di potere, la ricerca del piacere come forma di compensazione, o l’attitudine difensiva per evitare ogni forma di sofferenza.

Entrando nel processo di maturazione, quello cioè che deve portarci a diventare “un uomo perfetto, alla misura della statura della pienezza di Cristo, affinché non siamo più bambini sballottati e trasportati da ogni vento di dottrina” (Efesini 4:13-14), dobbiamo imparare innanzi tutto a prestare attenzione a quello che ci succede, o come dice la Scrittura: “Cinti i lombi della vostra mente, siate vigilanti” (1 Pietro 1:13). Non possiamo più agire di impulso, come azionati da un telecomando, ma dobbiamo diventare coscienti, prima di passare all’azione, delle spinte che escono dal cuore e che vogliono determinare il nostro comportamento.

 

Una volta coscienti di questo, dobbiamo valutare in una frazione di secondo il contenuto di questi impulsi, cioè se sono dettati dalla carne o dallo Spirito. “Chiunque usa il latte non ha esperienza della parola della giustizia, poiché è bambino; ma il cibo sodo è per uomini fatti; per quelli, cioè, che per via dell’uso hanno i sensi esercitati a discernere il bene e il male” Ebrei 5:13-14).

Dopo aver valutato i nostri pensieri e sentimenti, dobbiamo decidere da che parte vogliamo stare, o meglio a chi vogliamo ubbidire. Non è possibile rimanere neutrali, così come ha detto Gesù: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Matteo 12:30) e anche l’apostolo Paolo: “Non sapete voi che se vi date a uno come servi per ubbidirgli, siete servi di colui a cui ubbidite: o del peccato che mena alla morte o dell’ubbidienza che mena alla giustizia?” (Romani 6:16).

Presa la decisione di voler seguire la volontà di Dio, dobbiamo cercare la presenza di Gesù Cristo in noi come unica fonte del potere divino. “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppur voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15:4-5).

Trovata la presenza di Gesù e la sua volontà di ubbidire al Padre, dobbiamo lasciar fluire la sua capacità, o grazia, ad agire secondo giustizia. “E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, Colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpo mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siam debitori non alla carne per viver secondo la carne; perché se vivete secondo la carne, voi morrete; ma se mediante lo Spirito mortificate gli atti del corpo, voi vivrete; poiché tutti quelli che son condotti dallo Spirito di Dio, son figlioli di Dio” (Romani 8:11-14); “Camminate per lo Spirito e non adempirete i desideri della carne” (Galati 5:16).